“L’uomo si distrugge con la politica senza princìpi, col piacere senza la coscienza, con la ricchezza senza lavoro, con la conoscenza senza carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la fede senza sacrifici”
Mahatma Gandhi
“I dogmi religiosi, politici, scientifici, derivano dalla convinzione erronea che il pensiero può contenere e racchiudere la realtà o la verità”
Eckhart Tolle
Non è una novità che il nostro sistema sanitario sia in crisi. In realtà, lo è ormai da decenni, prova ne sono gli enormi buchi di bilancio in cui versa la sanità di alcune regioni (Lazio, Campania, Abruzzo, Molise e Calabria, per l’80% del totale). Certamente esistono sprechi ma vi sono altrtettanto certamente più ampi problemi.
Ad esempio, la rapida crescita nell’utilizzo di dotazioni tecniologiche, fatalmente porta ad un eccesso di offerta che a sua volta induce una domanda inappropriata, con le relative conseguenze sulla spesa sanitaria. Questo sembra particolarmente evidente in Italia, dove per esempio si registrano 21,6 apparecchiature di risonanza magnetica ogni milione di abitanti contro le 7 e le 6 apparecchiature per milione di abitanti rispettivamente in Francia e nel Regno Unito.
Per contro, una migliore programmazione e una maggiore efficienza nell’utilizzo delle apparecchiature diagnostiche possono certamente incrementarne la produttività da un lato e portare alla riduzione dell’ inappropriatezza della domanda dall’altro e possono condurre ad una riduzione degli sprechi collegati all’attuale situazione di sovradotazione.
Inoltre, il sistema attuale dei ticket non è il massimo in materia di equità, trasparenza e omogeneità sul territorio e se non si effettutano provvedimenti subito, dal 2014 – sulla base di una decisione presa dal governo precedente – scatteranno due miliardi di ticket aggiuntivi, un numero elevatissimo che non è decisamente sostenibile da parte del sistema sanitario nazionale.
Ancora, negli ultimi anni, in tutti i sistemi sanitari dei Paesi sviluppati, incluso l’Italia, è in atto un processo finalizzato a trasferire progressivamente prestazioni sanitarie dall’ assistenza ospedaliera a quella extra-ospedaliera. Tuttavia, l’Italia registra ancora tassi di ospedalizzazione elevati, soprattutto in alcune Regioni. Tale situazione nasconde alcune aree di inappropriatezza a cui si associa una carenza dei servizi e delle strutture sul territorio per le cure intermedie e di lungo termine. L’obiettivo di fondo di tale processo di trasferimento di prestazioni sanitarie dall’ospedale ad altre modalità assistenziali riguarda il miglioramento del percorso di cura del paziente, l’incremento dell’efficienza del sistema ed è correlato al ripensamento del ruolo dell’ospedale, che deve tornare a essere un luogo di cura per acuti.
Come si vede il ragionamento non è solo economico e comunque non si può andare avanti a forza di tagli, soprattutto in settori delicati e già stressati come la sanità.
Per questo oggi scioperano i 115 mila medici e veterinari dipendenti del Servizio sanitario e anche i 20mila dirigenti sanitari, amministrativi, tecnici e professionali del Ssn, che protestano anche per il blocco del turnover e del contratto (fermo dal 2009), e per la mancata tutela assicurativa, incrociando le braccia per quattro ore all’inizio di ogni turno, ma assicurando, naturalmente, tutte le urgenze.
L’adesione allo sciopero è stata del 70%, mentre la ministra della Salute Beatrice Lorenzin, in visita a un ospedale israelitico, ha laconicamente commentato dicendo: “non entro nel merito delle trattative per il rinnovo del contratto dei medici, che rientra in un quadro più ampio che è quello del contratto del pubblico impiego per il quale c’è un blocco. Punterei piuttosto l’attenzione sul cosiddetto rinnovo a costo zero” aggiungendo che, “a questo punto di vista ho incontrato le parti sociali e sto lavorando per avviare almeno in questo settore una riqualificazione della professione che credo sia necessaria anche per non svilire la funzione sociale della professione medica e delle professioni ad essa collaterali”.
Nella “Metafisica” Aristotele definisce in modo chiaro la posizione del medico: egli deve cercare di fare tutto il possibile con la scienza ma anche con le arti divinatorie, per curare e guarire i propri pazienti.
Ora pare, con i continui tagli, che si voglia lasciare solo alla divinazione e alla magia la possibilità di dar sollievo ai malati.
Occore rivedere il ruolo del medico di medicina generale, organizzare non solo teoricamente la medicina territoriale, non gravare sugli ospedali che da soli sembrano dover fronteggiare le richieste dei pazienti, condividere lineee guida per accessi corretti che riducano le liste di attesa a tem,pi ragionevoli.
Non si deve dover dire sempre sì ad indagini sofisticate, costose ed inutili ed occorre sempre ricordare che dall’eccesso all’accanimento non solo terapeutico, ma diagnostico, il passo è breve.
Nei decenni seguiti al secondo dopoguerra, la meritoria figura del “mio dottore”, come si usava dire, è entrata via via in dissolvenza, si è consumata, svuotata, fino a lasciare di sé, soprattutto nelle generazioni più mature, soltanto un ricordo permeato di rimpianto. Oggi “il dottore” non c’è più, ma quello che conta, al di là dell’elogio del passato, è non rassegnarsi all’idea che i suoi pregi e principi debbano considerarsi un patrimonio irrimediabilmente perduto. La diagnosi della “scomparsa del dottore” formulata da Giorgio Cosmacini in un recente libro edito da raffaello Cortina, può essere la premessa di una prognosi che anticipa ed auspica, con lo sguardo rivolto ai medici di domani, un recupero dei valori di cui quella figura era depositaria.
Come ha recentemente scritto Salvatore Di Pasquale, “E’ più importante conoscere la persona che non la malattia”, sosteneva Ippocrate già nel V secolo a.C., ma con l’affermazione della medicina basata sulle evidenze (EBM) si è sviluppata la tendenza a considerare la malattia soltanto un insieme di dati, segni clinici e sintomi. Così, se da un lato l’EBM ha permesso migliori possibilità diagnostiche e terapeutiche, dall’altro ha causato una progressiva perdita della capacità di ascoltare il paziente, di comprenderne sofferenze, paure e speranze, trascurando di conseguenza la componente umana e relazionale della malattia e quindi il rapporto medico-paziente.
Ma non è detto che tutto ciò debba compensarsi con esami di laboratorio e costose ricerche pe immagini (TAC e Risonanza Magnetica).
Una alternativa è la cosidetta Medicina Narrativa (NBM) che, come si evince dal nome, si fonda sulle narrazioni: narrare, cioè ascoltare, raccontare ed interpretare delle storie, costituisce la base delle relazioni umane e quindi anche del rapporto medico paziente.
Comunque, la prima cosa da fare, è recuperare la figura del medico di base, che è oggi visto come un burocrate di autorizzazioni e carte, mentre ben altre sono le sue conoscenze, competenze e responsabilità, perché, intanto la sua formazione professionale deve consentirgli la conoscenza di tutte le malattie e la sua competenza deve comprendere un intuito per riconoscere un problema sin dai primi sintomi per potere eventualmente indirizzare ad uno specialista e, per questo, è stato giustamente definito una via di mezzo tra un investigatore ed un’enciclopedia scientifica.
Oltre a questo il medico di famiglia deve avere delle caratteristiche psicologiche e di sensibilità che includano la capacità di ascolto, la cautela nel comunicare, una delicatezza di intervento, che permetta di mettere il paziente a proprio agio per farlo “raccontare” di sé anche per aspetti intimi e per rassicurarlo nel caso in cui le comunicazioni siano per lui negative.
Ancora, poi, bisogna ricordare al paziente che anamesi e visita permettono, in più della’80% dei casi, di capire se vi è o non una patologia e questo, senza ulteriori visite specialistiche o prescrizioni di analisi costose.
Un’altra qualità indispensabile per il medico di base è la concisione, la capacità di riassumere e cogliere quello che veramente è indicativo di una diagnosi.
Egli dovrà quindi essere consapevole che non sempre il paziente è in grado di offrire una descrizione chiara e completa dei sintomi che ha e che spesso il suo racconto è viziato dall’aspetto emotivo legato alla sofferenza ed al disagio.
Infine, sia per il medioco di baee che per lo specialista ospedaliero, è importante curare la “relazione”, che è il cuore e la sostanza del rapporto di aiuto, dove gioca il livello di comunicazione che comprenda l’attenzione, l’ascolto, la comprensione, l’educazione alla salute, la responsabilizzazione e la scelta nel metodo di cura.
Molti pazienti devono essere “convinti” di affrontare terapie o indagini di approfondimento. Frasi come “questo esame è bene che venga fatto” oppure “ pensiamo insieme alla possibilità di fare questo accertamento” sono frasi che spesso il medico di base si trova a formulare per ottenere dal soggetto una collaborazione comune, senza suscitare ansia o paura. È quindi importante conoscere la personalità ed il carattere del paziente, le sue reazioni emotive e la tendenza che ha di reagire al male. C’è infatti chi lo amplifica, chi lo svilisce, chi nasconde la testa dentro la sabbia ed evita di affrontarlo.
Vanno pertanto intuite le problematiche diverse che il ruolo di medico di base vive quotidianamente legate alla difficoltà di una diagnosi e nella confusione o ricchezza di sintomi descritti dal paziente.
“Leggere” le sue reazioni ed i suoi atteggiamenti alla luce di queste considerazioni permetterà di conoscere meglio e di aiutare colui che è una figura fondamentale nella vita di tante persone.
Almeno in teoria, l’orientamento attuale del sistema sanitario nazionale è rivolto ad un cambiamento culturale nei medici di famiglia verso un sistema di gruppo e di associazionismo in cui si razionalizza l’utilizzo delle risorse, crea vantaggi nel miglioramento della qualità del servizio erogato agli utenti, utilizza flussi informativi in rete.
I nuovi progetti del Ministro della Sanità parlano di una medicina accessibile, facilmente fruibile e visibile che abbia la stessa autorevolezza dell’ospedale e che riduca i tempi di attesa. Il ruolo del medico di famiglia entra in questi nuovi orientamenti come elemento attivo di un sistema più coordinato e integrato. Si parla di Casa della Salute, medicina di gruppo, Utap, ecc. tutti modelli in cui il medico diventa protagonista in una continuità assistenziale con le realtà distrettuali ed in una risposta più efficiente e completa al paziente.
Ma allore, per passare dalla teoria alla pratica, occorrono risorse adeguate e medici motivita pronfondamente sullla necessità di un cambiamento che sia anche educazione dell’utenza e non semplice transito burocratico verso i servizi.
Attualmente, va detto, che sono cambiati i rapporti uomo-struttura; il malato è al centro della complessa attività assistenziale di un personale sempre più qualificato; l’interdisciplinarietà gioca un ruolo di primaria importanza nei rapporti fra i vari reparti; su tutti i problemi emergenti si è aperto un confronto che dovrebbe avere come obiettivo la razionalizzazione dell’assistenza nel rispetto della personalità umana e di tutti quei valori etici che la riguardano.
Da anni la bioetica è andata sviluppandosi in un ampio dibattito tra diverse concezioni culturali e molti problemi restano ancora aperti, quasi a testimoniare che il progresso della scienza porta con sé anche responsabilità per il modo in cui affronta le tematiche relative alla cura delle malattie dell’uomo nella società moderna.
Accanto alle tematiche relative alle grandi questioni morali che giustamente impegnano in primo luogo teologi e ricercatori scientifici, ma anche medici e specialisti di molte discipline, e che attengono ai grandi problemi della vita e del suo sviluppo, non possono essere trascurati altri aspetti etici che interessano la salute dei cittadini ed il modo con cui viene garantita.
Nella letteratura anglosassone questi concetti sono rappresentati con una certa evidenza ed hanno così allargato il campo del dibattito sui problemi della salute e sulle strategie utili alla sua salvaguardia.
Il diritto alla salute è tutelato dall’art. 32 della Costituzione italiana e dall’art 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Secondo un rapporto dell’OMS, nell’anno 2000 l’Italia risultava per rendimento sanitario globale al secondo posto nella classifica dei 191 paesi membri; al terzo posto per il livello di salute della popolazione.
A questi dati che ci pongono in una situazione di privilegio, si contrappongono studi che almeno parzialmente smentiscono queste valutazioni e che dimostrano come in vari campi dell’assistenza sanitaria vi siano deficienze importanti e divari notevoli tra classi sociali per quanto riguarda i tassi di mortalità e lo stato di salute.
Se si considerano ad esempio il rendimento sanitario e il livello di salute in rapporto alle classi sociali, si può prendere in considerazione il rischio di morte, da qualunque causa esso sia derivato, nella popolazione in base al livello di istruzione: negli anni ’90 il rischio di morte era del 100% più alto nella popolazione a basso livello di istruzione. Inoltre le cure prenatali sono nel sud d’Italia meno accessibili e meno frequentate dalle donne con basso livello di istruzione.
Nel settore ospedaliero, poi, si è creato, a causa della diversa disponibilità di tecnologie (ma non di professionalità), un divario nord-sud, concretizzatosi a danno del meridione in una carenza di strutture ad alta tecnologia espressa in posti letto disponibili, in apparecchiature diagnostiche ed operatorie, in una spesso non razionale distribuzione nel territorio di queste insufficienti strutture.
Le conseguenze si possono facilmente trarre, e sono confermate da quanto i mezzi di comunicazione diffondono quasi giornalmente: liste di attesa incredibilmente lunghe per indagini diagnostiche che comportano ritardi spesso disastrosi nel riconoscimento tardivo di patologie che invece dovrebbero essere curate precocemente ( vedi tumori ), liste di attesa per ricoveri ed interventi di analoga urgenza ed indifferibilità; liste di attesa per cure riabilitative che spesso in tal modo diventano tardive e inutili e comportano gravi oneri successivi per le famiglie e per le strutture sociali interessate al trattamento dei disabili. Ma ancora: affollamenti e ingorghi a livello del pronto soccorso e delle astanterie degli ospedali, nonché ricerca affannosa del posto letto di ricovero da parte di ambulanze ed elisoccorso spesso a centinaia di chilometri da dove si è verificato l’evento.
Considerando l’insieme dei dati ed anche se il governo continua con i suoi tagli, si può affermare che la possibilità di beneficiare di cure qualificate non è equamente distribuita tra gli italiani. Per quelli che si trovano nel sud questo diritto viene da decenni conculcato.
Si viene a formare pertanto una massa di emarginati della sanità pubblica, di più deboli che vengono maggiormente colpiti dalla morte perché curati meno tempestivamente e meno efficacemente che nel resto d’Italia, oppure sottoposti a procedure mediche inutili e a volte perfino dannose.
Tali disuguaglianze toccano in vari settori dell’assistenza sanitaria livelli che fanno rientrare i fenomeni negativi che ne derivano tra quelli che incrinano i valori e i principi morali che stanno alla base della scienza bioetica. Pertanto al di là di ogni visione ottimistica circa la salute degli italiani vista da una prospettiva internazionale di stampo statistico, molto resta da fare per migliorare sul piano della riduzione delle disuguaglianze e non limirtarsi ad interventi e tagli di natura economica.
Carlo Di Stanislao
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