Incomprensione alternativa

Hanno voluto leggerla come non si doveva la frase di Fassina al convegno di Confcommercio e parlato di un cambio di indirizzo e di sospette frequentazioni (con Brunetta, fotografato più volte in atteggiamenti cordiali), da quando è viceministro. Ma il concetto era già stato espresso nel suo libro, pubblicato a fine della scorsa estate, “il […]

Hanno voluto leggerla come non si doveva la frase di Fassina al convegno di Confcommercio e parlato di un cambio di indirizzo e di sospette frequentazioni (con Brunetta, fotografato più volte in atteggiamenti cordiali), da quando è viceministro.
Ma il concetto era già stato espresso nel suo libro, pubblicato a fine della scorsa estate, “il lavoro prima di tutto” ed è sacrosanto, se compresa nella sua interezza.
“Esiste un’evasione di sopravvivenza. Senza voler strizzare l’occhio a nessuno – ha detto Fassina – senza ambiguità nel contrastare l’evasione ci sono ragioni profonde e strutturali che spingono molti soggetti a comportamenti di cui farebbero volentieri a meno”.
Nel Pd ci si infuria e si dichiara che l’evasione si combatte, punto e basta, mentre gongola il Pdl che dice che finalmente qualcuno ragiona come loro.
Interviene Epifani che commenta dicendo: “che le parole di Fassina sono state interpretate con troppa malevolenza: non si può farlo passare come uno che pensa che gli evasori abbiano ragione, non è così, non è quello che sta facendo” e ne approfitta per una stoccata a Renzi a cui indirizza la frase: “Spesso si dice regole, ma invece sono nodi politici. Risolviamo i nodi politici e poi pensiamo alle regole”.
Duro il giudizio del segretario della Cgil, Susanna Camusso, che definisce quella di Fassina “una battuta infelice”, mentre più ampio è il ragionamento di Matteo Colaninno, responsabile economico dei Democratici, che esprime la necessità di “cambiare: mettere a punto, senza indugio, una strategia di fedeltà fiscale, senza cadere in forme persecutorie, basata su prevenzione e contrasto efficace per fare emergere gradualmente il sommerso, ampliando così la platea dei contribuenti”.
Stefano Fassina, classe 1966, attuale viceministro della economia, è stato responsabile del dipartimento Economia e Lavoro del Partito democratico, economista al Fondo monetario internazionale e, prima e dopo, consigliere economico al ministero dell’Economia con Carlo Azeglio Ciampi.
Le sue idee le ha molto bene espresse nel saggio (Donzellin editore), “Il lavoro prima di tutto L’economia, la sinistra, i diritti”, già esaurito e in corso di ristampa, dove scrive: “Mettere al centro dell’identità culturale e politica di una forza progressista a vocazione maggioritaria la persona che lavora non è ritorno indietro, è sguardo al futuro”.
Secondo Fassina, non siamo dentro una lunga crisi ma nel mezzo di una grande transizione, poiché, tra il 2007 e il 2008 si è rotto l’equilibrio, insostenibile sul piano macroeconomico, sociale e ambientale, promosso nel trentennio alle nostre spalle dal paradigma neo-liberista.
La causa di fondo della rottura non è la finanza avida e irresponsabile. È la regressione del lavoro, dei padri e dei figli, e la conseguente impennata della disuguaglianza di reddito, ricchezza, mobilità sociale e, inevitabilmente, potere economico, mediatico e politico. L’insistenza dei conservatori europei e di larga parte delle tecnocrazie sulla ricetta liberista per uscire dal tunnel porta – è sempre più evidente – alla fine del modello sociale europeo e delle democrazie delle classi medie, oltre che al collasso dell’euro e dell’Unione europea. Le forze del centrosinistra per un lungo periodo sono corse dietro alle mode del momento: ritiro della politica per l’autoregolazione dell’economia; demonizzazione dell’intervento pubblico; “meno ai padri più ai figli”; archiviazione del partito intellettuale collettivo per il vuoto leaderismo mediatico.
Secondo Fassina, soltanto la Chiesa di Benedetto XVI, sulla scia di un pensiero secolare, ha messo a nudo le radici etiche, culturali e politiche dell’equilibrio saltato.
E poiché, dall’altra parte dell’Atlantico e in Europa, i progressisti rialzano la testa e guardano, senza i paraocchi ideologici degli avversari, la realtà: le insostenibili disuguaglianze, le contraddizioni, i conflitti, compito storico del Pd e delle altre forze politiche e sociali del centrosinistra europeo è orientare verso un approdo progressivo la transizione in corso per restituire dignità alla persona che lavora.
Concludendo che per navigare lungo la rotta giusta, la bussola è un neo-umanesimo laburista.
Le sue idee (forse indigeste a certi apparati di partito), sono state espresse con ancor più chiarezza in un lungo intervento, il 26 giugno, su Il Manifesto, che parte da alcune considerazioni di Asor Rosa che prende le distanze dalle: “danze macabre che qualcuno, molto sollecitamente, ha iniziato e con grande entusiasmo, intorno al presunto cadavere del Pd”.
E ne approfitta per dire che la scelta del Pd di promuovere e sostenere il governo Letta non è la rassegnata accettazione dell’impossibilità di un cambiamento progressivo nel secolo asiatico., cioè scelta di affrontare la sfida nelle condizioni date, segnate da rapporti di forza economici, sociali, culturali e politici drammaticamente sbilanciati e dall’arretramento insostenibile, effettivo e temuto, delle condizioni materiali di vita delle persone, in particolare della classe media popolare, oltre che delle fasce sempre marginali.
Ed aggiunge (a quanti sono polemici nei confronti di chi ha fatto e voluto ed ha partecipato a questa scelta), che essa, sul piano culturale, è un salto di qualità: la riapparizione della politica sul terreno dell’economia e, per quanto paradossale possa apparire, l’attuale governo di larghe intese, proprio perché rimuove la rendita anti-berlusconiana, è una opportunità di disvelamento o di maturazione.
Ma è proprio questo, forse, che non piace a certo Pd (quello di Renzi e della Camusso e di Citati, ad esempio): il sentirsi chiamati una volta per tutte ad esprimere la propria identità di forza del cambiamento progressivo nel confronto-conflitto-compromesso quotidiano con il Pdl, una isdentità che non può soltanto basarsi sull’antiberlusconismo, ma esprimere una sua propria alternativa.
Nel suo intervento a Confcommercio Fassina ha detto che priorità resta “fermare l’aumento dell’Iva” e contemporaneamente rivedere l’Imu e proposto di lasciare l’Imu sulla prima casa sugli immobili “di maggior valore”, pari al “15%” del totale, così da recuperare “2 miliardi per scongiurare l’aumento dell’iva”. Quindi, si potrebbe eliminare l’Imu prima casa per “l’85% delle famiglie” e destinare le risorse derivanti dal restante 15%, o per lo stop al rialzo Iva o “in interventi fiscali sui redditi più bassi, a sostegno dei consumi, o a sostegno della cassa integrazione in deroga”.
Questo in controtendenza rispetto a Brunetta, che invece parla di “bugia già ascoltata” e di continua “confusione delle carte”, argomentando che: “a superare la soglia dei 400 euro di versamento per la prima casa sono il 14,86% dei contribuenti. Il valore versato da queste famiglie è pari al 46,32% dei quattro miliardi complessivi di Imu per l’abitazione principale”.
Punti di vista diversi e diversi orientamenti, con la necessità del governo di trovare un equilibrio fra i due.
Un progetto politico come piattaforma per l’alleanza di interessi diversi orientati verso la rigenerazione europea della civiltà del lavoro evocata dall’articolo 1 della nostra Costituzione, capace di ridurre ed azzerare le asimmetrie di potere tra chi organizza il lavoro e chi offre il lavoro.
Un progetto che, a sinistra quanto a destra, dovrebbe superare quanto denunciato dalla dottrina sociale della Chiesa e che può essere affrontato, come ricorda Pierre Carniti in “La risacca”, soltanto a partire dal senso del lavoro per la dignità della persona e per la costruzione della comunità.
Perché soli i politici che cambiano con la storia e le necessità, quelli degni di tale nome, degni di essere considerati i fautori dei cambiamenti che portano a migliorare le società e non limitano il proprio ruiolo a quello di censori autogarantiti che giudicano dalla finestra dei loro previlegi.
Scriveva l’8 luglio Giuseppe Spezzaferro su Internettuale.net, che la crisi economica è in fase terminale, negli Usa la ripresa è già cominciata e fra poco l’Europa vi si aggancerà portandosi appresso anche l’Italia. A ottobre-novembre, dovremmo vedere i primi segnali positivi e poi da gennaio 2014 ricominceranno le vacche grasse.
E conclude che, proprio per questo, al Pd conviene, come vorrebbero Civatti e Renzi e tanti altri, sfilarsi dal governo, per non far credere che vada al Pdl il merito di aver curato l’Italia.
Ragionamento che al centro ha la “partitica” e non certo la politica come scelta di salvaguardia di una Nazione.
Invece di pensare a strategie che recuperino quella che Berlinguer chiamava “la spinta propulsiva”, i vecchi apparati (Veltroni, D’Alema), cercano di blindarsi contro Renzi (e Barca), Civbati si traveste da grillino democratico (che che abbraccia senza esitazione la cancellazione del programma F-35, vuol favorire i matrimoni gay e la legalizzazione delle droghe leggere) e come un Di Battista di più alto livello, con argomentazioni stucchevolmente populiste, manda sferzate a Epifani e Letta, accomunati ad Alfano e Berlusconi, in questo periodo di anomalia governativa, in cui sa comodo scambiare gli alti contenuti di Fassina, per discorsi eversivi da bar.

Carlo Di Stanislao

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