Silenzio assordante”. Così Shady Hamadi, scrittore italo siriano classe 1988, definisce la posizione assunta dai movimenti pacifisti in Italia da tre anni a questa parte, da quando è iniziata la rivoluzione democratica a Damasco. “Molti, soprattutto tra coloro che si trovano in sintonia con i palestinesi, difendono Assad in quanto antimperialista contro gli americani. Non si capisce che in Siria non c’è ancora stato un intervento solo per interessi geopolitici troppo grandi”. Se ci fosse stato il petrolio, come in Libia, continua Hamadi, si sarebbe già intervenuti. Lo scrittore sostiene questa tesi nel suo ultimo libro, “La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana”. “Già nel 2006, all’inizio di questo processo, io e padre Paolo Dall’Oglio (il gesuita rapito in Siria, dal 14 agosto dato per morto da alcune fonti, ndr) avevamo invitato i pacifisti ad andare sul campo per vedere quello che accade”.
Lo scacchiere anche tra gli oppositori di Assad è difficile da comporre. Sul campo, in questo momento, ci sono pèiù di 1.200 gruppi armati. Hamadi si definisce “scettico” su una reale efficacia di un intervento armato. Anche perché le voci di un imminente intervento militare si rincorrono ogni volta che c’è un massacro, come ad Hula (110 morti, nel maggio 2012) o ad Homs (nel marzo 2012 e nal gennaio 2013). Ciò che si può fare per scongiurare un conflitto armato, sostiene Hamadi, è sostenere le forze più laiche e democratiche, “che si stanno opponendo sia al regime di Assad che le forze jiahidiste esogene al contesto siriano”. Tra loro spicca il Coordinamento delle forze siriane per un cambiamento democratico, un gruppo di base a Parigi che raggruppa forze molto di sinistra e che è stato tra coloro che hanno chiesto da tempo una no fly zone mai attivata sui cieli di Damasco.
La frammentazione delle forze in campo, secondo Hamadi, ha una precisa ragione storica: “Il regime ha desertificato la politica siriana e ha trasformato la società, rendendola molto più individualista e non abitata al dialogo o al pensiero critico”. È da questa mentalità che stanno cercando di allontanarsi gli attivisti siriani in tutto il mondo.
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