“L’Italia è uscita da dietro la lavagna” dice Letta dal G20, ma intanto un sondaggio ci dice che due italiani su tre preferiscono Renzi alla giuda del Pd, segno inequivocabile che il pur volenteroso Enrico non ha creato quella immagine di novità che avrebbe voluto dare a problemi come lavoro, stato sociale, funzione della pubblica amministrazione, infrastrutture e ripresa.
Alfano approfitta degli studi classici per un sillogismo aristotelico e dice di aver colto, nelle conclusione del G20, “molto interesse” affinchè l’Italia “giochi un ruolo di stabilità e che quindi “c’è bisogno di un’Italia stabile”. Lo dice come introduzione al discorso che gli sta più a cuore: la salvaguardia di Berlusconi ed aggiunge, ciceroniano, che “la fiducia del presidente Napolitano è ben riposta nel presidente Berlusconi che è il leader politico che da due anni sostiene governi che non sono guidati né da lui né da esponenti del Pdl”; per affondare e dire che si sente: “di escludere che il presidente Letta stia lavorando a piani e soluzioni alternative a questa maggioranza e concludere che occorre che la sinistra sappia in ogni caso “che l’unica forma di volontariato alla quale il Pdl possa partecipare è quella che guarda al bene del Paese e mai è poi mai a ribaltoni e sostegni a governi più sinistri di quelli che ha conosciuto la storia recente”.
“È ovvio – ha infine sottolineato – che ogni governo futuro che non prevedesse il Popolo della Libertà sarebbe inevitabilmente un governo di estrema sinistra”.
Interviene Casini, che tenta di ridarsi un tono per il ruolo che potrebbe svolgere nonostante l’esiguo numero di voti ricevuti e dice: “Il mio ragionamento politico ha poco a che fare con i cori della Santanchè. Se prevarrà il falchismo vorrà dire che perderemo un’altra occasione. Ma viste le catastrofi degli ultimi venti anni, devo ammettere di aver chiamato Berlusconi perché “il calcio dell’asino lo lascio ai tanti beneficiati che ora vorrebbero sbranarlo”.
Quanto a Renzi, promosso a pieni voti dagli italiani, secondo Andrea Cuomo de il Giornale, fa melina e, in cuor suo, punta forte sulla poltrona del Nazareno e mette in stand-by le ambizioni per Palazzo Chigi, mostrando così di avere studiato e digerito la lezione di Walter Veltroni, che da sindaco di Roma si impossessò senza problemi delle chiavi del neonato Pd nel 2007 e iniziò a fare terra bruciata attorno al premier di casa, Romano Prodi, fino al voto della primavera 2008 affrontato da candidato del Pd con le stimmate del vincitore annunciato e rovinosamente perso.
Tuttavia, forte dei sondaggi e dei tanti telegrammi di endorsement che gli vengono recapitati non sarà certo lui a scolpire la lapide di Enrico Letta, perché sa che gufare non sta e non porta bene, ma lo lascerà fare, guardando dalle finestra di Palazzo Vecchio a qualcuno dei tanti che stanno lavorando per lui.
Contro Renzi tuona la Bindi da Agorà, mentre Veltroni gli dichiara amicizia e stima, pur distinguendosi da Franceschini, di cui dice di non capire parole e strategie.
E attorno a Renzi si spacca anche “il Mulino”, uno tra i più influenti pensatoi politici italiani, con on-line un lungo articolo del prof. Carlo Galli, socio del Mulino ed eletto in Parlamento alle ultime elezioni politiche nelle file del Partito democratico, titolato “Democristiano e molto ambizioso” estremamente critico e la replica, uscita oggi, del direttore della rivista, Michele Salvati, tradizionalmente più vicino all’area liberal, che è invece a difesa. Qualche anno fa una parte dei soci del Mulino polemizzò perché l’associazione era troppo rivolta verso la sinistra e trascurava il dibattito nel campo dei moderati. Ora sembra che le parti si siano rovesciate.
Alla fine, un vociare fatto di affermazioni e il loro contrario, come capita sovente alla sinistra, che (anche per via del nome del “pensatoio”) ricorda quanto scriveva di Bachelli e del suo sopravvalutato “Mulino del Po” il critico Baldini, che la definiva opera di un formidabile “discorritore” da farmacia, che voleva sempre dire la sua su tutto e non lasciava mai in pace il racconto.
E’ interessante notare che nell’anno del Mulino, il 1957, Gadda dia alle stampe il suo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, destinato a rivoluzionare le forma espressive del romanzo, dopo decenni di retorica ed ora, nella sinistra, si attende, un vero innovatore, un Gadda o uno Svevo che sappiano immaginare un futuro in cui tutti posiamo credere ed identificarci.
Voglio comunque credere, con Eugenio Scalfari, che il popolo di un paese, anche un po’ sballato come il nostro, è più serio e più intelligente di quanto si pensi e se è furbo e un po’ malandrino come molti siano, ha sempre una goccia di saggezza nei momenti di svolta e sa trovare davvero il nuovo e chi lo rappresenti quanto tutto, proprio tutto, sembra perduto.
Carlo Di Stanislao
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