È la miglior mappa tridimensionale di sempre della regione centrale della Via Lattea, elaborata da due equipe di astronomi sulla base dei dati acquisiti dai telescopi dell’Osservatorio europeo australe (Eso). Le regioni interne assumono un aspetto simile a una croce, secondo l’angolo visuale prescelto. La strana forma è stata ricostruita sulla base delle osservazioni pubbliche del telescopio Eso per survey VISTA insieme alla misura del moto di centinaia di stelle deboli del rigonfiamento galattico. Una delle zone più importanti e massicce della nostra Galassia è la vasta regione nucleare galattica, un’enorme nube di circa 10mila milioni di stelle che si estende per migliaia di anni luce. La sua struttura e la sua origine non sono mai state comprese. Sfortunatamente, dal nostro punto di vista terrestre all’interno del disco galattico, la visuale sulla regione centrale, distante circa 27mila anni luce, è disturbata da dense nubi di gas e polvere. Gli astronomi possono osservare meglio il rigonfiamento galattico scegliendo le lunghezze d’onda maggiori, come quelle della radiazione infrarossa che può penetrare le nubi di polvere. Studi precedenti di tutto il cielo, grazie alla survey infrarossa 2MASS, avevano lasciato intuire che il nucleo della Galassia ha una strana strutttura a forma di X. Ora due gruppi di scienziati hanno ottenuto una visuale migliore della struttura del rigonfiamento. Il primo team del Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics (MPE) di Garching (Germania) con la survey VVV nel vicino infrarosso ottenuta dal telescopio VISTA all’Osservatorio di Paranal dell’Eso in Cile, ha raccolto un totale di 22 milioni di stelle che appartengono a una classe di giganti rosse le cui ben note proprietà permettono di calcolarne la distanza. Questa nuova survey pubblica identifica stelle trenta volte più deboli delle survey precedenti del rigonfiamento galattico. VVV è l’esplorazione “VISTA Variables in the Via Lactea”, una delle sei grandi survey effettuate dal telescopio Eso. I dati della survey VVV sono resi disponibili a tutta la comunità scientifica internazionale attraverso la Science Archive Facility dell’Eso che ha reso possibile il lavoro. “La profondità del catalogo stellare di VISTA è di gran lunga maggiore dei lavori precedenti – spiega Christophe Wegg (MPE), primo autore di uno dei due articoli – e può rivelare l’intera popolazione di queste stelle in tutte le regioni tranne le più oscurate; da questa distribuzione delle stelle possiamo costruire una mappa tridimensionale del rigonfiamento galattico. È la prima volta che viene fatta una tale mappa senza assumere un modello per la forma del rigonfiamento”. La prima equipe è composta da C. Wegg e O. Gerhard del Max-Planck-Institut für Extraterrestrische Physik di Garching. Perché sono state scelte le stelle giganti rosse del ramo asintotico per questo studio? “Perché possono essere usate come candele standard. In questa fase della vita di un astro gigante la luminosità è all’incirca indipendente dall’età o dalla composizione. La quantità di gas e polvere che oscura la stella viene calcolata direttamente dai colori osservati nelle giganti per misurare la distribuzione di brillanza non oscurata. Quindi, poiché le stelle giganti hanno circa la stessa luminosità intrinseca non oscurata, si può ricavare una distanza approssimata per ciascuna stella”. La buona copertura spaziale della survey VVV ha permesso misure in tutta la zona interna della Via Lattea e da queste è stata ricostruita la struttura tridimensionale del rigonfiamneto centrale. “Troviamo che la regione interna della Galassia ha la forma di un’arachide nel suo guscio se vista di lato, mentre appare molto allungata dall’alto – rivela Ortwin Gerhard, coautore del primo articolo ed a capo del Gruppo di Dinamica all’MPE – è la prima volta che vediamo così chiaramente nella Galassia: simulazioni del nostro gruppo e di altri hanno mostrato che questa forma è caratteristica delle spirali con barra che sono nate da un puro disco di stelle”. Strutture simili ad arachidi o croci sono state osservate anche nel rigonfiamento centrale di altre galassie: la loro formazione è stata prevista da simulazioni numeriche. La forma ad arachide è data dalle stelle in orbita che generano una struttura ad X. La seconda equipe internazionale, guidata dal dottorando cileno Sergio Vásquez della Pontificia Universidad Católica de Chile (Santiago) ha optato per un approccio differente atto a definire la struttura del bulge galattico. In pratica, confrontando le immagini prese a undici anni di distanza con il telescopio da 2,2 metri dell’MPG/ESO, gli scienziati hanno potuto misurare i minuscoli spostamenti in cielo dovuti al moto delle stelle del rigonfiamento. Questi dati sono stati combinati con misure del moto degli stessi astri in direzione della Terra, in avvicinamento o allontanamento, misurando così più di 400 stelle in tre dimensioni. Le osservazioni di queste velocità radiali sono state effettuate con lo spettrografo FLAMES-GIRAFFE accoppiato al Very Large Telescope dell’Eso e con lo spettrografo IMACS dell’Osservatorio di Las Campanas. “Questa è la prima volta che così tante velocità in tre dimensioni vengono misurate per le singole stelle in entrambi i lati del rigonfiamento galattico – fa notare Vásquez – le stelle osservate sembrano muoversi lungo i bracci del rigonfiamento a forma di X mentre le orbite le portano sopra e sotto il piano della Galassia. È tutto ben descritto dalle previsioni dei modelli più all’avanguardia!”. La seconda equipe è composta da S. Vásquez (Pontificia Universidad Católica de Chile, Santiago, ESO, Cile), M. Zoccali (Pontificia Universidad Católica de Chile), V. Hill (Université de Nice Sophia-Antipolis, CNRS, Observatoire de la Côte d’Azur, Nice, Francia), A. Renzini (INAF − Osservatorio Astronomico di Padova, Italia; Observatoire de Paris, Francia), O. A. González (ESO, Santiago, Cile), E. Gardner (Université de Franche-Comté, Besançon, Francia), V. P. Debattista (University of Central Lancashire, Preston, UK), A. C. Robin (Université de Franche-Comté), M. Rejkuba (ESO, Garching, Germania), M. Baffico (Pontificia Universidad Católica de Chile), M. Monelli (Instituto de Astrofísica de Canarias & Universidad de La Laguna, La Laguna, Tenerife, Spagna), V. Motta (Universidad de Valparaiso, Cile) e D. Minniti (Pontificia Universidad Católica de Cile; Vatican Observatory, Città del Vaticano). Gli astronomi pensano che la Via Lattea fosse all’origine un disco di stelle formatesi qualche miliardo di anni fa. Molte galassie, tra cui la Via Lattea, mostrano strutture allungate, dette barre, nella regione centrale. Determinante è la presenza di Materia ed Energia oscure che controbilanciano la loro azione, rispettivamente gravitazionale ed antigravitazionale, anche attorno al massiccio buco nero centrale di oltre 4 milioni di masse solari. La parte interna si è quindi incurvata a formare l’arachide tridimensionale che si osserva nelle foto ad alta risoluzione pubblicate dall’Eso. Lo studio è stato presentato nell’articolo “Mapping the three-dimensional density of the Galactic bulge with VVV red clump stars” di C. Wegg et al., in pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, e nell’articolo “3D kinematics through the X-shaped Milky Way bulge”, di S. Vásquez et al., pubblicato recentemente dalla rivista Astronomy & Astrophysics. Un nuovo potente occhio elettronico è pronto per il Very Large Telescope: il MUSE (Multi Unit Spectroscopic Explorer) è il risultato di dieci anni di progettazione e sviluppo degli scienziati del Centre de Recherche Astrophysique di Lione in Francia. Testato ed approvato, il sensore che ricorda le potenti, oscure e spietate macchine aliene di Matrix, è in partenza per il Cile. MUSE in realtà è più pacifico che mai nonostante l’aspetto, al servizio della Verità e della comunità astronomica mondiale. MUSE darà la caccia agli esomondi alieni extraterrestri più vicini con una risoluzione senza precedenti dai cieli australi. Entusiasta è Tim de Zeeuw, Direttore generale dell’Eso. Tra poche settimane l’Osservatorio Paranal potrà contare sulla potenza di fuoco di una macchina rivoluzionaria. MUSE è un puro concentrato benigno di tecnologia europea di altissima qualità: dotato di 24 spettrografi a campo integrale, è in grado di acquisire simultaneamente immagini e spettri di porzioni significative di cielo, mappando le velocità ed altre proprietà delle galassie e di molti altri oggetti esotici inquadrati. L’obiettivo scientifico primario di MUSE è l’osservazione dell’Universo primordiale, il Primo Cosmo. Quando materia ed energia si disaccoppiarono per formare le prime stelle e galassie. MUSE studierà le proprietà chimico-fisiche delle galassie vicine, esplorando in gran dettaglio la periferia del nostro Sistema Solare fino a spingersi più in là, agli estremi confini dei sistemi solari alieni, alla ricerca di tracce luminose di civiltà extraterrestri. Se esistono, non ci sfuggiranno! D’altra parte l’Universo è pieno di sorprese che invitano alla contemplazione della Verità come suggeriscono San Francesco e Papa Francesco. Se la Pace trionferà sulla Terra. Da quando sono state scoperte per la prima volta, qualche decina di anni fa, grazie soprattutto all’entrata in funzione di strumenti sempre più sensibili nelle bande dell’infrarosso, le stelle nane brune sono state gli oggetti celesti che hanno rivoluzionato l’ordinata classificazione di astri e pianeti. Le loro masse e temperature superficiali, infatti, non permettevano agli astronomi di incasellarle secondo gli schemi degli oggetti stellari. Troppo bassa la loro temperatura che poteva tranquillamente scendere anche ad appena mille gradi Kelvin. Troppo piccola la loro massa che, sotto il limite degli otto centesimi di quella del Sole, ne certificava la loro impossibilità a produrre energia dalle reazioni di fusione termonucleare nel loro nucleo. Stelle mancate o fallite, dunque, ma che pur dovevano avere una loro dignità cosmica nella popolazione astrale. Allora venne allargata verso il basso la classificazione spettrale degli astri, aggiungendo oltre alle canoniche classi O,B,A,F,G,K,M anche la L e la T che competevano ad oggetti con temperature fino ai mille gradi Kelvin. Le sorprese non finiscono mai. Quando tutto sembrava aver ritrovato il suo giusto ordine, ecco il nuovo recentissimo colpo di scena magistrale che insegna l’umiltà e la perseveranza. Stavolta firmato dall’Osservatorio spaziale WISE della Nasa, un paio d’anni fa, oggi riattivato per motivi di Protezione Civile Cosmica, per fugare ogni ulteriore timore, forse esagerato, sugli improvvisi devastanti impatti sulla Terra di asteroidi e comete ignoti! L’analisi delle immagini a grande campo del cielo visto nell’infrarosso dai sensibilissimi strumenti di WISE aveva infatti portato all’identificazione di potenziali stelle nane brune di masse comprese tra le 5 e le 20 volte quelle di Giove e con temperature che forse potevano scendere fino a valori di soli 300 gradi Kelvin, ovvero 25-30 gradi Celsius! Come considerare queste preziose unicità nelle rarità? Nane brune mini e fredde ovvero pianeti supergiganti temperati? Un dilemma scientifico non da poco, visto che gli oggetti candidati, per i quali è stata coniata una nuova classe spettrale, la Y, erano comparsi in cielo spingendo al limite estremo strumenti e tecniche per l’analisi dei dati. A gettare nuova luce sull’intricato caso, arrivano oggi i risultati di un lavoro di Trent Dupy e Adam Kraus, rispettivamente dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e dell’Università del Texas (Stati Uniti) pubblicati online su Science Express. I ricercatori hanno sfruttato il metodo della parallasse stellare, il più preciso in assoluto tra quelli disponibili, per calcolare le distanze di alcune decine di questi astri candidati basandosi sul confronto di immagini raccolte nel medio infrarosso tra il 2011 e il 2012 dalla Infrared Array Camera (IRAC) a bordo del Telescopio spaziale Spitzer della Nasa. Il loro obiettivo era quello di risalire con la maggior precisione possibile di sempre alla determinazione della temperatura superficiale di queste nane brune, un risultato ottenibile solo a patto di avere un’accurata misura della loro distanza. I risultati di questa indagine confermano che le più fredde e piccole tra le nane brune hanno temperature che scendono intorno ai 400-450 gradi Kelvin con masse comprese tra 5 e 20 volte quelle di Giove. Tra tutte, la palma della nana bruna extra mini spetta alla stella WD0806-661B che in superficie non supera i 380 gradi Kelvin e possiede una massa inferiore alle dieci gioviane. In pratica, potrebbe essere l’anello mancante tra le stelle più piccole e i pianeti di grande massa. “Il lavoro di Dupuy e Kraus dimostra che il limite inferiore di masse stellari si sovrappone al limite superiore di masse planetarie osservate e fornisce misure affidabili per una classe di oggetti decisamente molto difficili da osservare ed altrettanto difficili da modellare – spiega Fabrizio Massi dell’Osservatorio Astrofisico Inaf di Arcetri – gli autori, indagando oggetti del tipo spettrale Y, trovano inoltre che a questi valori estremamente bassi delle masse la distribuzione in lunghezza d’onda dell’energia emessa cessa di avere una semplice relazione con la temperatura efficace, il che potrebbe indicare che altri parametri fisici diventano importanti”. Le nane brune pongono anche dei problemi relativamente ai meccanismi di formazione all’interno delle galassie. Si spingono, sempre più fredde, fino al limite delle masse planetarie degli esomondi alieni. Il loro studio è quindi fondamentale per chiarire i meccanismi di formazione stellare e planetaria. Non è da escludere la presenza di esomondi rocciosi alieni in orbita attorno alle nane brune. “Come notano giustamente gli autori nel loro articolo, un pianeta molto massiccio in orbita attorno ad una stella – rivela lo scienziato – potrebbe essere piuttosto una nana bruna di massa molto piccola. Il confine tra stella e pianeta è legata ai meccanismi di formazione ed alla sua struttura interna”. L’Inaf, anche attraverso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, ha fornito notevoli contributi scientifici in questo campo. “Mi riferisco in particolare alla scoperta ed allo studio di dischi e getti collimati in nane brune giovani in cui hanno avuto un ruolo importante Antonella Natta e Leonardo Testi. E già nel 2004 organizzammo un congresso internazionale specificamente dedicato all’argomento, proprio qui in Italia”. Gli esomondi alieni possono essere studiati meglio con la luce polarizzata, sfruttando una proprietà fondamentale e non tanto misteriosa dei fotoni (quanti di luce) in grado di rendere visibile l’invisibile. La tecnica sperimentata dall’Eso grazie al Very Large Telescope (il futuro European Extremely Large Telescope farà miracoli!) consente di eliminare il “rumore” elettromagnetico della stella madre mostrando le informazioni più genuine degli esopianeti rocciosi che occupano la fascia verde abitabile nel loro sistema solare. Sarà l’Open Day dell’Eso, in programma il 19 Ottobre 2013 nel campus di Garching a Monaco di Baviera in Germania, ad illustrare le ultime novità. In Italia c’è FISICAST. È il nome di un podcast di fisica in lingua italiana con l’ambizioso obiettivo di spiegare la fisica alle persone comuni (non ET alieni!) con una modalità davvero antica quanto la Terra. Cioè raccontandola con un brano audio che impegni soltanto le orecchie e il cervello senza ulteriori divagazioni visive! Autori di FISICAST sono tre fisici: Gianluca Li Causi dell’Inaf, Riccardo Faccini e Giovanni Organtini dell’Università La Sapienza. La fisica si presta veramente ad essere raccontata? Si può davvero renderla comprensibile a tutti? “È proprio grazie alla conoscenza condivisa diffusa dai media – spiegano i ricercatori – che FISICAST può andare oltre l’informazione scientifica e spingersi a spiegare la fisica alla gente. Rispetto al panorama corrente perciò non siamo ridondanti, ma esplicitamente complementari”. Su quali argomenti avete focalizzato le vostre puntate e cosa pensate di trattare nel futuro? “Parliamo dei concetti della fisica, delle tecnologie di uso comune e dei fenomeni della natura, ma puntiamo sempre a riferirci al quotidiano mostrando la fisica in ciò che sperimentiamo ogni giorno, a casa o altrove. Abbiamo trattato argomenti diversissimi, rispondendo a domande tipo: “come fanno gli astronomi a misurare distanze così grandi stando fermi sul nostro minuscolo pianeta?”, o “perché non si può superare la velocità della luce?”, o “a che serve il bosone di Higgs?”, domande semplici con risposte tutt’altro che scontate. Per il prossimo futuro particelle elementari, meccanica quantistica e ancora fisica classica”. Argomenti anche ostici, dunque. Non pensate di lasciare troppa gente per strada? “Il nostro target è quello di chi già si informa di scienza attraverso i media ed è quindi desideroso di qualcosa di più: è un pubblico vasto e le nostre statistiche lo dimostrano, visti i 35mila ascolti in un anno che abbiamo totalizzato con ben poca promozione. E sono contenti di essere per così dire obbligati a pensare, come un ascoltatore che ci scrive:“se il vostro intento è quello di fare riflettere noi comuni mortali, devo dire che la cosa funziona”. Al momento le puntate di FISICAST (www.fisicast.it) sono scaricabili, oltre che dal nostro sito, anche da iTunes e YouTube, con una frequenza mensile che ci siamo imposti di mantenere”. Ci si può davvero limitare a raccontarla, la fisica? Sembra impossibile che possiate farlo senza neanche un video, un iPad o almeno un foglio e una penna! “Il formato audio è la specificità di FISICAST, lo abbiamo scelto perché è vantaggioso per l’ascoltatore, poiché ne stimola la riflessione e ne facilita la fruizione (si può ascoltare mentre si fa altro) ed allo stesso tempo è vantaggioso per noi relatori, poiché ci obbliga a trovare la spiegazione più semplice. Inoltre, poiché riteniamo che la fisica debba essere spiegata da chi la fa, le voci sono le nostre, anche se decisamente non siamo degli speaker professionali”. Ok, comunque l’audio è solo un mezzo. Cos’è che vi rende originali, a parte il formato? “Il punto di forza di FISICAST è quello di essere fortemente “orientato all’ascoltatore”, infatti tutto il nostro lavoro si basa su tre punti chiave: comprendere la fisica della gente; usare il linguaggio della gente e tenere in estrema considerazione i commenti della gente. È questa filosofia a renderci originali”. È possibile avere qualche esempio concreto, per capire meglio questi tre punti? “Prima di scrivere su un nuovo argomento, ci chiediamo qual’è l’immagine che ne ha la gente. Per esempio, viene naturale a molti pensare che dando una piccola spinta a un oggetto posto nello spazio questo si metterà in moto ma prima o poi si fermerà “perché l’energia fornita pian piano si dovrà esaurire…”, perciò se parliamo dell’inerzia è da qui che dobbiamo partire. Dobbiamo poi usare le parole soltanto col significato che hanno nel linguaggio comune. Per esempio, parlare di “deformazione” dello spazio invece che di “curvatura” evita che nella mente dell’ascoltatore si visualizzi un’immagine sbagliata, che poi dobbiamo correggere, infatti nel gergo matematico “curvatura” ha un significato ben diverso da quello che ha nel linguaggio comune. Infine facciamo leggere il testo da degli ascoltatori-test prima di ogni pubblicazione; persone di cultura generica, non scientifica, che abbiamo scelto per il loro senso critico e che più di una volta ci hanno portato a riscrivere tutto partendo di nuovo dal foglio bianco! Senza un simile confronto non indovineremmo mai quali immagini evochino le nostre frasi nella mente della gente”. Sembra un’attività decisamente impegnativa. Ma chi ve lo fa fare? Cosa ve ne viene, da tutto questo? “Impegnativa, ma anche stimolante e gratificante! Per noi è un’occasione unica per re-imparare la fisica al di là delle formule che intervengono a un più alto livello e ne nascono discussioni tra di noi dalle quali ne usciamo con le idee più chiare. I commenti positivi e le domande che riceviamo dagli ascoltatori sono poi una bella gratificazione e un ulteriore stimolo per continuare. La speranza è di realizzare le finalità fondatrici del progetto: “fornire spunti di riflessione e stimolare la mentalità scientifica e l’interesse nella ricerca in una società, come la nostra, che ne è povera, cercando di innescare nell’ascoltatore una “scintilla” che lo faccia pensare”. Ma fate tutto da soli? C’è qualcuno o qualche ente che vi da una mano? “FISICAST non esisterebbe senza il contributo di Frascati Scienza, in particolare di Giovanni Mazzitelli dell’INFN e di Carlo Mancini del CERN. E non esisterebbe senza la sala di registrazione di Radio Sapienza e la voce di Chiara Piselli che ci intervista. Poi abbiamo l’aiuto di Edoardo Massaro, Antonella Bartoli e Chiara Crociata per musica e montaggio audio e quello di Marco Castellani e Simone Antoniucci per la promozione e il canale YouTube. L’infrastruttura di FISICAST è ormai ben oliata, perciò se altri ricercatori hanno voglia di spiegare della fisica alla gente sono i benvenuti, come hanno già fatto Gianvittorio Pallottino e Giovanni De Cesare, che ringraziamo”. Di cosa avreste bisogno per continuare con più sicurezza e tranquillità? “FISICAST ha superato il primo anno di rodaggio, perciò ora cerchiamo di incrementarne la diffusione, in modo da dare sempre più senso all’impresa e raggiungere un maggior numero di ascoltatori. Speriamo poi di incontrare qualche altro collega che si appassioni al progetto e ci dia una mano, nel lavoro di preparazione e validazione dei testi come nella realizzazione di molte idee che abbiamo nel cassette”. Il racconto della Teoria della Relatività vede protagonista l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziale dell’Inaf, durante la Notte dei Ricercatori del 27 Settembre 2013, con replica all’Osservatorio Astronomico Inaf di Roma in una delle sue Serate del Venerdì. Le più grandi scoperte giungono dalla libertà della ricerca scientifica e dal totalmente inatteso.
© Nicola Facciolini
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