Con la sua morte se ne va un pezzo importante della nostra musica leggera e non solo degli anni sessanta. Jimmy Fontana, marchigiano di Camerino, giovane appassionato di jazz, che si esibiva come bassista all’Hot Club di Macerata, al secolo Enrico Sbrigoli, ragioniere che aveva scelto il suo nome d’arte in omaggio al clarinettista e sassofonista Jimmy Giuffre, ed il cognome individuato a caso dall’elenco telefonico, è morto l’altro ieri all’età di 79 anni, con una carriera fatta di alti e bassi, iniziata nella Flaminia Street Jazz Band (composta all’epoca da Giorgio Benigni, Umberto De Nigris, Francesco Tomassini, Raffaele Giusti, Aldo Balzani, Giovanni Spalletti, Sandro Santoni, Wilder Petroselli, Leonello Bionda), che incideva con l’etichetta Astraphon.
Decise, poi, che era venuto il momento di formare un gruppo tutto suo: la band Jimmy Fontana and his Trio con tre dei ragazzi della Flaminia Street, Giusti al pianoforte, Santoni al contrabbasso, Bionda alla batteria e fu in quel periodo che si sposò con l’unico grande amore della sua vita: Leda, da cui ha avuto à quattro figli, Luigi, Roberto, Andrea e Paola.
Si era negli anni cinquanta e alla fine di quel periodo fra il difficile dopoguerra e l’inizio del booom, cominciò la sua carriera da solista , con il suo primo Diavolo che, pubblicata anche in Spagna e gli frutta un terzo posto al Festival di Barcellona, mentre con Bevo, nel 1960, vince il Burlamacco d’Oro, un concorso musicale a Viareggio. La prima partecipazione al Festival di Sanremo è del 1961: in coppia con Miranda Martino presenta Lady luna, scritta da Armando Trovajoli e Dino Verde. Non vince ma si fa notare, tanto da essere preso dalla RCA, che incide, nel 1963, Non te ne andare, della quale è anche autore insieme a Gianni Meccia e a Lilli Greco. Ma è due anni dopo che ottiene il primo, vero grande successo grazie a Il mondo (testo di Gianni Meccia, musica scritta in collaborazione con Carlo Pes e arrangiamento di Ennio Morricone), in gara a Un disco per l’estate 1965, che sarà poi reinterpretata da artisti internazionali in diverse versioni. Nello stesso anno debutta al cinema in due “musicarelli”: Viale della canzone e 008 Operazione ritmo, rivelandosi anche buon attore come si vedrà anche nel film musicale Io bacio… tu baci e nella commedia La voglia matta. Poi è un susseguirsi di successi: La mia serenata vince il Disco per l’estate nel 1967, mentre al Cantagiro del 1968 presenta La nostra favola, cover della canzone di Tom Jones Delilah; il retro del 45 giri La nostra favola è la canzone A te, tratta dall’aria Je crois entendre encore dall’opera di Georges Bizet. I pescatori di perle, il 45 giri vende un milione di copie, ottenendo quindi il disco d’oro. Nel 1970 ottiene un buon successo con L’amore non è bello (se non è litigarello) (sigla della trasmissione televisiva Signore e signora, con Delia Scala e Lando Buzzanca).
Il 1971 è per lui un anno fatidico. Scrive la musica in collaborazione con Italo “Lilli” Greco e Carlo Pes e parte del testo insieme a Franco Migliacci di Che sarà, con l’obiettivo di presentarla a Sanremo e produce la registrazione a Los Angeles di Josè Feliciano, che ne fa 3: in italiano, in spagnolo (dal titolo Que serà) e in inglese (titolo Shake a Hand) prodotte da Rick Jarrard
Ma, rientrato in Italia, trova la strada sbarrata per la partecipazione al Festival insieme all’amico e collega portoricano da Ennio Melis, allora Direttore Artistico della RCA, che ha deciso di puntare sì sulla canzone, ma di affidarla a i Ricchi e Poveri, per consacrarne il successo dopo la buona prova del giovane l festival dell’anno precedente, dove hanno interpretato, in abbinamento con l’autore Nicola Di Bari, La prima cosa bella.
E’ un duro colpo per lui, aggravato dal fatto che, pur continuando ad incidere, non ottiene il successo del decennio precedente. Decide di lasciare tutto, di tornarsene nella sua Macerata e di gestirvi un bar.
Ma dopo cinque anni quella vita gli diventa insopportabile, scrive e incide Identikit che diventa la sigla della serie televisiva Gli invincibili e poi Beguine, che viene presentata con buon successo al Festival di Sanremo 1982, e che ha una particolarità: la musica nasce da una delle prime melodie scritte dal figlio Luigi, che poi lo accompagnerà, come collaboratore musicale, pianista e cantante, fino alla fine.
Fonda poi il gruppo “I Super 4, insieme ai colleghi Gianni Meccia, Nico Fidenco e Riccardo Del Turco e partecipa a vari programmi tv e serate musicali in giro per l’Italia.
Nel 1994 lo ricordiamo a San Remo, nello speciale gruppo, appositamente costituito, “Squadra Italia” (con Cianfoli, Fiorini, Rosanna Fratello,Wilma Goich, Nilla Pizzi, Gianni Nazzaro, Manuela Villa, Wess e Toni Santagata), messi insieme come una squadra di calcio (erano 11) per cantare il brano pezzo, scritto da Stefano Jurgens e Marcello Marrocchi, Una vecchia canzone italiana, omaggio ad un tipo di musica ormai praticamente scomparsa e così poco amata, ormai, che si classificò penultimo.
Era un mite con una grande passioni per le armi, Jimmy Fontana, che nella sua collezioni privata annoverava una mitraglietta Cz 61 Skorpion, ritrovata nel 1988 in un covo delle Brigate Rosse e riconosciuta come arma utilizzata in numerosi attentati tra cui la strage di Acca Larentia (1978) e l’attentato a Roberto Ruffilli (del 1988).
Essendo io un dipendente dalle immagini, lo ricordo soprattutto per una sua canzone, Bambola bambina, utilizzata come sigla italiana del telefilm La donna bionica, serie nata negli USA, articolata in 3 stagioni per un totale di 58 episodi (a cui ne vanno sommati alcuni in coproduzione con L’uomo da sei milioni di dollari) che si snodano fra il 1976 e 1978, basata sul personaggio di Jaime Sommers, interpretato dalla biondissima Lindsay Wagner, con musica e testo che evidenziano la complessità del personaggio: una ragazza che fa fatica ad accettarsi per le parti “diverse” che la compongono, ma che va avanti, con determinazione, quella stessa che lo ha sempre animato, anima multicolore che ha coniugato il jazz alla canzonetta e saputo proseguire anche quando la strada era in salita.
Era il 1962 quando uscì (e vidi) “La voglia matta”, in cui Luciano Salce, grazie a Tognazzi e Catherine Spaak, racconta l’opposizione di due generazioni, l’abisso profondo fra padri e figli, sotto una apparenza svagata.
Lì vi cantava la canzone ‘Stasera’, in cui diceva, fra l’altro, che si esce dal mondo senza rimpianti se si è vissuti fino in fondo e con coerenza. In quel film, nel suo modo tanto intelligente da essere avanti e non compreso, Salce: le classiche ‘canzonette’ (Brigitte Bardot, Cha cha cha dell’impiccato) per gli anni spensierati e pieni di vita della gioventù ed anche e soprattutto dell’Italia del boom economico che “inseguono” scherzi, risate, goliardate; ma utilizza quella di Jimmy e di altri , ad esempio Sassi, cantata da Gino Paoli, per rappresentare il dolore e lo struggimento che si mescolano al riso di una commedia tutta nostrana.
Per caso l’ho risentito a Laurito, un piccolo comune in provincia di Salerno, nel 2006, in occasione dei festeggiamenti della Madonna del Carmine, mentre ero in visita, con amici, nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, ai piedi delle balze rocciose del monte Fulgenti nell’alta valle del fiume Mingardo e ricordo più lui che la festa e gli splendidi dintorni.
Carlo Di Stanislao
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