“Qualsiasi teoria fisica è sempre provvisoria, nel senso che è solo un’ipotesi: una teoria fisica non può cioè mai venire provata”(Stephen Hawking). Spazio, ultima frontiera, questi sono i viaggi della navicella Voyager 1 che ha appena arditamente conquistato l’Olimpo dello spazio interstellare. La conferma ufficiale giunge dagli scienziati della Nasa. L’attesa è finita. La Voyager 1 lascia per sempre il Sistema Solare. Le nuove Colonne d’Ercole sono state spostate più in là nel Cosmo. La Voyager 1 è la prima sonda automatica umana gravitazionalmente assistita (priva di propulsori nucleari interstellari come il Motore Carlo Rubbia!) ad entrare nello spazio cosmico esterno alla sfera di influenza radiante del nostro Sole. Congratulazioni alla Nasa, agli Stati Uniti d’America di Pace, Giustizia e Libertà! È la prova che possiamo vedere il segnale radio di eventuali navicelle aliene già ai confini del nostro Mondo? Ora gli ET, se esistono, hanno capito chi siamo? Il messaggio per gli Alieni, confezionato dallo scienziato Carl Sagan negli Anni Settanta del XX Secolo sul disco di bordo, annulla per sempre la nostra Privacy terrestre. Le immagini radio della Voyager 1 sono inequivocabili. Nell’Universo di Star Trek la sonda potrebbe incrociare un vascello Klingon di passaggio, facendo così una brutta fine, magari bersagliata dai laser perché percepita come ostile. Ovvero potrebbe intercettare una navetta Vulcaniana, attirando le attenzioni dei logici, ieratici e buoni ET che finirebbero per sbarcare sulla Terra permettendo così la fondazione della Flotta Stellare e della Federazione Unita dei Pianeti. In Italia, RAI4 (Canale 21 del digitale terrestre) celebra Star Trek ogni Venerdì sera dalle ore 21:10, riproponendo le dieci celebri pellicole cinematografiche della serie cult di fantascienza (1979-2002). Dieci film per dieci settimane per riscoprire il fascino dell’universo futuribile creato da Gene Roddenberry. Il primo appuntamento, Venerdì 13 Settembre 2013, con la proiezione di Star Trek–The Motion Picture, la pellicola Paramount di Robert Wise e le musiche di Gerry Goldsmith. Insieme all’omonima serie tv degli Anni Novanta, il primo film con William Shatner e compagni immortala il Progetto Voyager nel firmamento della cultura intergalattica. In verità, gli scienziati della Nasa avevano preannunziato l’ingresso della Voyager 1 nello spazio interstellare già un anno fa con alcuni piccoli rilievi. Tutti si chiedevano dov’era finita la prima Voyager lanciata nel 1977 per esplorare i confini del Sistema Solare e oltre. Pare che la sonda non avesse trovato quello che si aspettava come Cristoforo Colombo che, credendo di raggiungere le Indie di Marco Polo descritte nel Milione, scoprì invece le Americhe! Sulla carta, la Voyager 1 avrebbe dovuto conquistare lo spazio interstellare, ovvero la regione in cui il campo magnetico del Sole non si fa più sentire, già da un pezzo. Invece gli strumenti della sonda rimandavano a Terra segnali contraddittori che hanno suggerito prudenza ai responsabili della missione. Dichiararla ufficialmente fuori dal nostro Sistema interplanetario prima del tempo, avrebbe avuto poco senso. Tre studi pubblicati su Science Express hanno messo ordine nei dati trasmessi dalla Voyager1. La sonda era entrata in una regione dell’Eliosfera finora non prevista dalle teorie, nell’Elio-guaina, la più esterna dell’Eliosfera, prontamente ribattezzata dai ricercatori “heliosheath depletion region”, in cui il campo magnetico solare è ancora più che mai sensibile ma il flusso di particelle cariche provenienti dal Sole cala drasticamente, lasciando spazio a un flusso di raggi cosmici provenienti dagli abissi interstellari. Tra l’Agosto e il Settembre del 2012 la Voyager 1 ha attraversato per cinque volte, per effetto della sua traiettoria, il confine che delimita questa zona. Leonard Burlaga del Nasa-Goddard Space Flight Center e colleghi si concentrarono sulle misure magnetiche, mostrando che ogni volta che la Voyager 1 attraversava questa linea di confine in precedenza sconosciuta, la forza del campo magnetico misurato dai suoi strumenti aumentava improvvisamente e calava altrettanto vistosamente il numero di particelle cariche misurate. Gli altri due studi, firmati da Stamatios Krimigis della Johns Hopkins University ed Edward Stone del California Institute of Technology, si concentrarono sulla conta delle particelle provenienti dal Sole e degli ioni a bassa energia dell’Eliosfera, mostrando che entrambi scendevano drasticamente e bruscamente all’ingresso in questa regione prima sconosciuta, nell’Agosto del 2012, mentre parallelamente saliva il flusso di raggi cosmici misurato dalla navicella. Il territorio imprevisto e inesplorato dove si trovava la Voyager era insomma un’interfaccia tra la bolla di plasma solare che delimita il nostro Sistema e lo spazio interplanetario. Oggi i dubbi scientifici sono fugati per sempre. Si apre per l’umanità in pace una nuova entusiasmante epopea di esplorazione e conquista diretta dell’Universo, stavolta grazie alla liberalizzazione dell’impresa spaziale privata, resa possibile dallo sviluppo e dalla costruzione di autentiche navi interstellari come la Prometheus e la USS Enterprise. Le profezie della fantascienza sono la scienza e la tecnologia del domani com’è vero che il sonno porta i sogni. La Voyager 1 è la messaggera dell’umanità. Nel suo disco d’oro di bordo sono incise una grande quantità di informazioni con foto, video e musica terrestri. La Voyager 1 potrebbe finalmente spalancare le porte dello spazio cosmico a tutti. Non soltanto alle sonde automatiche delle missioni burocratiche ed a quei pochi fortunati astronauti pubblici che hanno conquistato la Luna e oggi si limitano ai voli orbitali sulla ISS. Il 21 Febbraio 2003 le antenne del super radiotelescopio Very Long Baseline Array (VLBA, 8mila chilometri di diametro equivalenti) del National Radio Astronomy Observatory hanno catturato l’immagine radio del Voyager 1 già immerso nello spazio profondo. Per quel poco che si sapeva, era la prova regina. La trasmittente principale della sonda irradia qualcosa come 23 watt, quasi quanto una lampadina da frigorifero, grazie al suo potente “cuore” nucleare alimentato dal decadimento dell’elemento Plutonio che ancora oggi produce calore ed energia. Sebbene incredibilmente resistente alle gelide temperature dello spazio siderale prossime allo zero assoluto, ma debole secondo gli standard delle moderni reti di comunicazione, il segnale della Voyager 1 brilla nel firmamento radio rispetto a tutti gli altri oggetti cosmici studiati dai moderni radiotelescopi. L’immagine di 0.5 arcosecondi di lato (come apparirebbe un centesimo a quattro chilometri di distanza!) mostra la forma apparentemente allungata della sonda. È un effetto della configurazione del VLBA. La Voyager 1 era distante 18.5 miliardi di chilometri dal Sole. Il Very Long Baseline Array si estende dalle Hawaii a St. Croix. I radiotelescopi non possono vedere la sonda nella luce visibile all’occhio umano, ma possono leggere il suo segnale radio. Le varie antenne del VLBA raccolgono molte più informazioni di un telescopio ottico concentrando poi il segnale. Il Jet Propulsion Laboratory a Pasadena (California, Usa) comunica con la Voyager 1 praticamente dall’inizio della missione, ogni giorno, grazie al Deep Space Network della Nasa. La sonda è attualmente a 19 miliardi di chilometri dal Sole. È velocissima secondo gli standard terrestri (17 chilometri al secondo, molto più di una Ferrari!) grazie alla potente accelerazione gravitazionale impressa dai maggiori pianeti del Sistema Solare negli scorsi decenni. La Voyager 1 fu costruita proprio per sfruttare la particolare configurazione orbitale dei giganti del nostro Sistema. Solo così fu possibile esplorarli in gran dettaglio. Nessun razzo a propellente chimico avrebbe potuto osare tanto. Fu lanciata il 5 Settembre 1977 da Cape Canaveral, a bordo di un razzo Titan IIIE-Centaur, in un’orbita che le avrebbe permesso di raggiungere Giove per prima. La rotta in cui fu immessa la sonda la portò a sfiorare i due pianeti giganti, Giove e Saturno, per poi proseguire indisturbata verso i confini del Sistema Solare. La Voyager 1 iniziò a fotografare Giove nel Gennaio 1979. La sonda passò vicino al Gigante il 5 Marzo 1979, e continuò a fotografare il pianeta fino ad Aprile. Poco dopo fu la volta della sonda gemella, la Voyager 2. Le due sonde effettuarono numerose scoperte su Giove e i suoi piccoli pianeti rocciosi satelliti. La più sorprendente fu l’osservazione dei vulcani su Io, che non erano mai stati osservati né da Terra né dalle sonde Pioneer 10 e Pioneer 11. La Voyager 1 proseguì il suo viaggio verso Saturno. Il punto di massimo avvicinamento fu raggiunto il 12 Novembre 1980, quando passò ad una distanza di poco più di 120mila Km dal pianeta, fotografando le complesse strutture degli anelli di Saturno e studiando l’atmosfera primordiale della luna più grande, Titano. La sua orbita, progettata per studiarlo da vicino, la portò fuori dal piano dell’eclittica, impedendole di visitare altri pianeti, a differenza della sonda gemella. Nel Novembre 2003 fu annunciato che secondo l’analisi dei dati registrati la Voyager 1 avrebbe passato il “termination shock”, il confine dove le particelle del vento solare vengono rallentate, nel Febbraio 2004. Altri scienziati espressero dubbi in proposito visto che le analisi erano rese difficili anche dal fatto che i rivelatori di vento solare a bordo della Voyager 1 avevano smesso di funzionare nel 1990. Ulteriori dichiarazioni indicavano che avrebbe attraversato il “termination shock” nel Dicembre 2004. I dati inviati dalla sonda nel Dicembre 2012 dimostravano nuove e sensazionali scoperte dei confini del Sistema Solare. La navicella era entrata in una specie di “autostrada magnetica” che collega il Sistema Solare allo spazio interstellare. Probabile rotta degli esploratori interstellari del futuro. Questa “pista” sembra un tapirulan di collegamento fra il campo magnetico del Sole e il mezzo interstellare che permette alle particelle cariche all’interno dell’Eliosfera di uscire fuori ed alle particelle cariche dell’esterno di riversarsi nel Sistema Solare. Gli scienziati però erano scettici. I dati sul campo magnetico non facevano ancora pensare che la Voyager 1 fosse già nello spazio interstellare perché la direzione delle linee del campo magnetico avrebbero dovuto mutare, invece non lo facevano. Pare che la sonda si sia immessa sull’autostrada magnetica il 28 Luglio 2012. Da allora questa regione si è allontanata e riavvicinata ad essa molte volte. Dal 25 Agosto 2012 i dati sono rimasti stabili. Il 13 Dicembre 2010 fu dichiarato che nel Giugno 2010, a una distanza di circa 17 miliardi di chilometri dal Sole, la Voyager 1 aveva rilevato che la velocità del vento solare era diminuita fino a zero. Il 14 Giugno 2012 la Nasa dichiarò che, per effetto del flusso di particelle cosmiche, gli strumenti della sonda avevano registrato segnali nuovi completamente diversi da quelli rivelati prima. Il 3 Agosto 2012 la Nasa ammise che due dei tre segnali-chiave erano cambiati rapidamente come non accadeva da sette anni. Il 31 Agosto 2013 la Voyager 1 si trovava nell’Elioguaina, a una distanza di 125.288 Unità Astronomiche, equivalenti a 17,366 ore luce, ossia 18,743 miliardi di chilometri dal Sole. La sonda si sta allontanando dal Sistema Solare a una velocità di 17,031 Km/sec, pari a 3,593 U.A. all’anno. La Voyager 1 è alimentata da una batteria nucleare che le permetterà di funzionare, seppure in modo limitato, fino al 2025 quando avrà raggiunto gli oltre 25 miliardi di chilometri di distanza dalla Terra. Allora le comunicazioni con la sonda saranno molto difficili perché il giroscopio che le permette di tenere orientata l’antenna verso la Terra, smetterà di funzionare nel 2016 quando è previsto che la Voyager 1 si trovi a una distanza dal Sole compresa tra 133 e 138 U.A.: in base alle previsioni la navicella dovrebbe raggiungere ed analizzare anche l’ipotetico Muro di Idrogeno situato tra l’Eliopausa e il “bow shock”. È altamente improbabile che la sonda sia ancora funzionante nel 2042 quando raggiungerà il “bow shock” situato presumibilmente a circa 230 U.A. dal Sole. All’attuale velocità costante, infatti, in realtà occorrerà più tempo a causa del progressivo leggero rallentamento della sonda che ipoteticamente sta navigando in direzione della Costellazione dell’Ofiuco. Tra circa 38mila anni la Voyager 1 dovrebbe passare ad una distanza di circa 1,7 anni luce dalla stella AC+793888 situata nella costellazione dell’Orsa Minore. Ma l’Universo nel frattempo si espande! E non c’è alcun computer alieno di bordo, alcun reattore, alcun navigatore siderale che possano garantire la felice conclusione della sua missione intergalattica. La Voyager 1 è affidata a sua maestà la Gravità. Potrebbe finire in un buco nero! Porta con sé un disco registrato di rame e placcato d’oro, il Voyager Golden Record, che contiene immagini e suoni della Terra. I contenuti della registrazione furono selezionati da un comitato presieduto da Carl Sagan. Le istruzioni per accedere alle registrazioni sono incise sulla custodia del disco, nel caso qualcuno lo trovasse. Nel 1990 la sonda ha scattato diverse fotografie ai pianeti del Sistema Solare quando si trovava ad oltre 6 miliardi di chilometri dalla Terra. La più celebre è la Pale Blue Dot che mostra la Terra della dimensione di meno di un pixel. Un collage delle altre foto forma un’altra famosa immagine, il Ritratto di famiglia. È la foto del Sistema Solare acquisita dalla Voyager 1, il 14 Febbraio 1990, da una distanza di circa 6 miliardi di chilometri dalla Terra. L’immagine complessiva è il mosaico di 60 foto singole. Furono le ultime riprese della Voyager 1 che da allora continua però ad inviare la propria telemetria. La realizzazione della Pale Blue Dot fu fortemente voluta da Carl Sagan, astronomo, divulgatore scientifico, nonché autore di fantascienza e del celebre Contact. Il Jet Propulsion Laboratory e il Caltech guidano la Missione Voyager da 36 anni. La sonda ha attraversato per un anno lo strato intermedio di gas ionizzato che separa il Sistema Solare dallo spazio interstellare. Ora si trova poco oltre quel confine dove gli effetti della nostra stella sono ancora presenti, rallentandone la corsa. I nuovi dati presentati da Don Gurnett e dal suo team dell’Università dell’Iowa, indicano chiaramente che l’umanità ha appena varcato la soglia dello spazio interstellare. Nuove analisi sono necessarie per stabilire quale sarà ora il destino della sonda. È difficile che la Voyager 1 venga catturata dagli Alieni come nel primo film di Star Trek. Si sta raffreddando lentamente. Quando il suo “cuore” avrà esalato l’ultimo decadimento nucleare, la Voyager 1 morirà continuando la sua apparentemente indisturbata navigazione interstellare come un oscuro ghiacciolo nell’immensità siderale. La sonda aveva rilevato il primo incremento di pressione interstellare rispetto alle particelle cariche prodotte dal Sole nell’Eliosfera nel 2004. Una “deviazione” significativa rispetto a tutto che si sapeva e si immaginava potesse accadere. L’interpretazione dei dati ha richiesto un intero decennio. E, forse, altrettanti ne serviranno per capire il futuro della sonda e dell’esplorazione umana diretta del Cosmo. È escluso che possa raggiungere (come virtualmente continuano a divulgare alcuni) un altro sistema solare alieno con la sola assistenza gravitazionale. Anche se sfiorasse un oggetto di grossa massa senza impattarlo, come un pianeta vagabondo, una nana bruna, un buco nero o una nana bianca, il destino della Voyager è comunque segnato. Purtroppo la sonda non è dotata di una carica ulteriore di Plutonio né di un computer Apple perfettamente integrato. I suoi “occhi” sono ciechi da anni. Gli scienziati hanno dovuto escogitare un modo per misurare l’ambiente attraversato dalla navicella, calcolando l’ammontare di plasma e gas ionizzato attorno alla navicella per determinarne la posizione. Un’eruzione di massa coronale come quella del Marzo 2012 o un improvviso aumento dell’attività solare (campi magnetici e vento solare) hanno consentito ai ricercatori di ottenere dati preziosi sulla Voyager 1. Il dono davvero inaspettato come il viaggio di Bilbo Baggins nella Terra di Mezzo, è giunto tredici mesi dopo, nell’Aprile 2013. La sonda è stata irradiata da un flusso di plasma che attorno alla navicella ha cominciato a vibrare come una corda di violino. Il 9 Aprile i sensori della Voyager 1 rilevano i picchi di oscillazione del plasma che aiutano gli scienziati a determinarne la densità. Le particolari oscillazioni suggeriscono che la sonda sia investita da un flusso 40 volte più denso rispetto a quello attraversato nell’Eliosfera, ossia conforme all’ambiente interstellare. Le prime evidenti oscillazioni significative risalgono al periodo Ottobre-Novembre 2012. L’estrapolazione delle densità di plasma misurate indicano che la Voyager 1 sia entrata ufficialmente nello spazio interstellare il 25 Agosto 2012. Le informazioni mostrano valori totalmente differenti rispetto all’Eliosfera ed all’Eliopausa, quest’ultima ritenuta da tempo il vero confine con lo spazio interstellare. Le variazioni improvvise nella densità delle particelle cariche sono compatibili solo con l’attraversamento dell’Eliopausa del nostro Sistema Solare. I contributi scientifici e tecnologici di queste scoperte sono incalcolabili. Non si limitano all’effettiva conoscenza del destino delle due sonde Voyager. L’afflusso dei dati continua dallo spazio profondo. I computer sulla Terra proseguono nella loro raccolta dei preziosi bit, garantita almeno fino al 2025. Non sappiamo cosa ci riserva il futuro perché lo spazio profondo è un grande mistero. Tutto è probabile. La Voyager 1 e la sua gemella Voyager 2 furono lanciate nel giro di 16 giorni nell’ambito del Programma Voyager della Nasa. Oggi la Voyager 2 è lontana 15,3 miliardi di chilometri dalla Terra. La sonda viaggia a una velocità di 17 chilometri al secondo circa, alimentata da una batteria che le permetterà di funzionare fin al 2025 quando dovrebbe aver raggiunto una distanza di oltre 25 miliardi di chilometri dal nostro pianeta. Il progetto costa alla Nasa circa 5 milioni di dollari l’anno, con un costo complessivo di 988 milioni di dollari correnti. Entrambe le sonde hanno sorvolato Giove e Saturno. La Voyager 2 ha doppiato Urano e Nettuno. Fu lanciata per prima, il 20 Agosto 1977, quindi è la sonda automatica operativa più longeva in assoluto. Il Centro di controllo di Pasadena continua a ricevere dati da entrambe ogni giorno, sebbene con segnali deboli. Quelli che raggiungono la Terra sono a mala pena dell’ordine di una frazione di miliardesimo di watt. La Voyager 1 trasmette 160 bit al secondo, pescati dalle stazioni radio di 34 e 70 metri di diametro del Deep Space Network della Nasa. I segnali viaggiano alla velocità della luce. I dati, una volta trasmessi al JPL e rielaborati dai vari team di ricerca, sono di pubblico dominio. come la breccia attiva nell’Eliosfera. Ma le Colonne d’Ercole del nostro Sistema Solare vengono regolarmente violate dalla materia interstellare aliena. Gli scienziati della Nasa annunciano nuove osservazioni sulla materia della nostra Galassia, proveniente dai confini del Sistema Solare, grazie all’analisi dei dati acquisiti dal satellite Interstellar Boundary Explorer (Ibex) che ha scoperto materia pesante interstellare aliena in arrivo sulla Terra dai confini del nostro Sistema. In altre parole, energia infinita e gratuita per tutti. Ibex, per la prima volta, ha studiato direttamente l’esatta composizione chimica degli elementi pesanti della Locale Nube aliena a diretto contatto con il Sistema Solare. Le nostre frontiere stellari, si sa, sono piuttosto turbolente, un po’ come i confini sulle isole dell’Oceano. Ricordate l’avventura dell’ingegnere Chuck Noland, alias Tom Hanks, e il suo tentativo di superare la barriera corallina di una sperduta isola del Pacifico a bordo dell’ingegnosa zattera (film Cast Away)? Bene, nello spazio cosmico tra una stella e l’altra, è esattamente quello che accade ogni santo giorno alle particelle del vento solare che cercano di uscire fuori ed ai raggi cosmici galattici delle nubi interstellari aliene che cercano di entrare. La regione che circonda tutto il Sistema Solare ai confini dello spazio profondo, riserva sempre grandi sorprese. Barriera creata dall’energia del Sole, l’Eliosfera è lo scudo che ci protegge dalle pericolosissime radiazioni cosmiche esterne che altrimenti penetrerebbero nel Sistema Solare. La navicella Ibex, un satellite piccolo come la ruota di uno scuolabus, lanciata nell’Ottobre 2008 per realizzare una mappa dei confini della culla della nostra civiltà, meraviglia tutti gli scienziati. Gli Atomi Neutri del vento galattico spazzano i confini magnetici del Sistema Solare. Ibex ha scoperto che questi atomi possono raggiungere la Terra e che c’è più ossigeno nel nostro Sistema Solare rispetto alla materia interstellare a noi più vicina. Dunque, delle due l’una: o il Sole si è formato in un’altra parte della Galassia oppure al di fuori del nostro Sistema Solare l’ossigeno vitale si trova intrappolato nei granelli di polvere e ghiaccio impossibilitati a muoversi liberamente nello spazio. Ibex ha scoperto che il vento galattico soffia verso il Sole dalla costellazione dello Scorpione alla velocità di 52mila miglia orarie. Questo fenomeno influenza direttamente i nostri confini stellari e la forma dell’Eliosfera nel suo viaggio galattico. Il Sole irradia di particelle cariche tutta la bolla magnetica fino agli estremi confini del nostro sistema stellare. All’esterno, le particelle elettricamente cariche del vento galattico colpiscono l’Eliosfera e rimbalzano su di essa. Nulla può entrare. Ma le particelle neutre possono fare breccia. In effetti varcano tranquillamente il confine come se non ci fosse nulla a ostacolarle e continuano il proprio viaggio per altri 7,5 miliardi di miglia per finire catturate, dopo circa 30 anni, dalla Gravità del Sole. Ibex, che era in agguato, le ha attese al varco e le ha osservate, misurandone le caratteristiche. La sonda analizza l’intera volta celeste e ogni mese di Febbraio i suoi strumenti sono in grado di puntare nella giusta direzione per intercettare questo inarrestabile flusso di Atomi Neutri alieni in arrivo. Dopo le misure preliminari del 2009-10, la sonda nel 2012 è riuscita a confezionare il migliore “set” di dati disponibili sulla materia aliena. Dapprima increduli e poi entusiasti, gli scienziati della Nasa e della collaborazione internazionale sono oggi sempre più convinti del fatto che là fuori vi sia un ambiente alieno totalmente diverso dal nostro. Poiché la materia contenuta nel vento galattico è totalmente diversa rispetto a quella del Sistema Solare. Sono stati analizzati quattro specifici atomi dello spazio interstellare, la cui composizione non coincide assolutamente con quella osservata negli atomi del Sistema Solare. Le nuove misure di Ibex gettano nuova luce sui segreti della regione più esterna del nostro sistema stellare, dove comincia il vero spazio profondo che, prima o poi, dovremo attraversare per raggiungere gli altri mondi. Perché non sono soltanto importanti per determinare la distribuzione degli elementi che compongono il vento galattico, ma forniscono indizi sul “come” e “quando” si è formato il nostro Sistema Solare, sulle forze fisiche in gioco nel processo di creazione dei mondi e, in definitiva, sulla nostra storia, sul nostro destino, sull’evoluzione delle stelle nella Via Lattea e in tutte le altre galassie. Le pubblicazioni scientifiche sulle principali riviste internazionali come l’Astrophysics Journal rivelano che per ogni 20 atomi di Neon del vento galattico ci sono 74 atomi di Ossigeno. Nel nostro Sistema Solare, invece, per ogni 20 atomi di Neon (sulla Terra gas nobile e raro) ci sono 111 atomi di Ossigeno. Dunque, c’è più ossigeno nel Sistema Solare che nello spazio interstellare. Secondo i ricercatori della Nasa questo significa che il nostro ambiente “solare” è totalmente differente dallo spazio esterno. Due sono le ipotesi: o il Sistema Solare si è evoluto in una regione “separata e più ossigenata” della Galassia rispetto a quella dove oggi viviamo oppure l’Ossigeno, essenziale per le forme di vita, può essere intrappolato in granelli di polvere e ghiaccio senza alcuna possibilità di muoversi liberamente nello spazio. Ad ogni modo, le scoperte di Ibex possono rivoluzionare i modelli scientifici proposti per spiegare l’origine del Sistema Solare e della vita sulla Terra. Ora disponiamo di informazioni fresche sulle interazioni tra l’eliosfera e lo spazio esterno, un obiettivo fondamentale per Ibex. In passato altre navicelle avevano dimostrato l’esistenza di questi rapporti. La sonda Ulisse, ad esempio, aveva osservato, nel suo viaggio oltre Giove, l’arrivo di atomi alieni di Elio misurandone la velocità in 59mila miglia orarie. Ibex ha scoperto che il vento galattico soffia a una velocità più bassa, circa 52mila miglia orarie, e da differenti direzioni, con una probabile compensazione di quattro gradi rispetto alle misurazioni precedenti. Sembra poco significativa ma equivale a una differenza del 20 percento per la pressione esercitata dal vento galattico sull’eliosfera. Questi risultati sono notevoli perché consentono di capire meglio la forma e le dimensioni del nostro Sistema Solare che viaggia nella Galassia, e della Nube di materia nella quale tutti noi siamo attualmente immersi. Gli scienziati la chiamano Nube Locale interstellare per distinguerla da tutte le altre miriadi di nubi di particelle che attraversano la Via Lattea, ciascuna dotata di composizione e velocità proprie. Il Sistema Solare e la sua Eliosfera negli ultimi 45mila anni hanno navigato attraverso la Nube Locale. Poiché le osservazioni della sonda Ulisse indicavano una velocità del vento galattico compresa tra quella attesa per la Nube Locale e la Nube adiacente, i ricercatori pensavano che il Sistema Solare non si trovasse nel bel mezzo di questa Nube, semmai ai suoi confini. E che fossimo comunque in transito verso una nuova regione dello spazio. I dati di Ibex mostrano, invece, che noi viviamo proprio immersi nella Nube, almeno per ora. Perché nel giro di pochi secoli o migliaia di anni, un batter d’occhio per Dio Creatore e per i tempi della Galassia, la nostra Eliosfera dovrebbe lasciare la Nube Locale interstellare per raggiungere un ambiente galattico totalmente differente. Queste ricerche gettano nuova luce anche sulla composizione dell’Universo locale. Sappiamo che il Big Bang primordiale (13.7 miliardi di anni fa) portò alla creazione di Idrogeno ed Elio, gli elementi più abbondanti del Cosmo. Ma furono le enormi e frequenti esplosioni di stelle giganti, le ipernovae e le supernovae, a cucinare tutti gli altri elementi chimici più pesanti, tra cui l’Ossigeno e il Neon osservati da Ibex. Il nostro sangue rosso è di natura interstellare. Ma non fu creato dal nostro Sole, bensì in un’altra grande stella esplosa miliardi e miliardi di anni fa, prima che il Sole nascesse. Ragion per cui conoscere le esatte quantità di materia aliena in libera circolazione nel Sistema Solare e le abbondanze chimiche interstellari, consente agli scienziati di realizzare una precisa Mappa della Vita nel Cosmo. Ora che sappiamo cosa osservare tra le centinaia di stelle che circondano il Sistema Solare entro poche decine di anni-luce, molte delle quali dotate di pianeti di taglia terrestre, la sfida culturale e ingegneristica è quanto mai aperta alla liberalizzazione dell’impresa spaziale privata. I Politici se ne facciano una ragione e diano il loro benestare. L’esatta conoscenza delle coordinate spaziali dove la massa e l’energia rendono possibile la vita nella Galassia, è solo questione di tempo: interpolando i dati scientifici raccolti dalle sonde Ulisse, Voyager, Ibex e tutte le altre ancora attive, è possibile attraversare ogni secondo quella “frontiera” per espandere la percezione del nostro ruolo nell’Universo. Che non è di decrescita ma di crescita. Per la prima volta possiamo farlo davvero. L’attività operativa di Ibex era stata estesa dai preliminari due anni a tutto il 2012. L’Eliosfera è la zona d’influenza solare, il volume di spazio dove è preponderante l’azione del Sole. Al di là, oltre le Colonne d’Ercole della radiazione solare, lo spazio non risente più dell’influsso elettromagnetico solare e si considera ormai spazio interstellare. La zona di divisione tra l’Eliosfera e lo spazio interstellare, ha una discontinuità chiamata “Eliopausa”, preceduta da una zona turbolenta dove interagiscono il vento solare e i flussi di particelle emessi dalle altre stelle. Nel 2009 Ibex realizza una delle scoperte più interessanti in assoluto: un gigantesco strano nastro magnetico di energia che alcuni scienziati credono sia un riverbero causato dalle particelle cariche del vento solare nel tentativo di uscire verso lo spazio interstellare. Il gigantesco campo magnetico osservato da Ibex, sarebbe in grado di riflettere queste particelle all’interno del Sistema Solare. Se così fosse, non sappiamo davvero quali e quante siano ancora le già flebili speranze di poter comunicare con altre civiltà aliene della Galassia utilizzando le mitiche onde radio (Seti). Alcuni scienziati suggeriscono, infatti, che i segnali artificiali spediti dalla Terra vengano regolarmente riflessi all’interno del Sistema Solare e comunque dispersi nello spazio già dopo pochi miliardi di chilometri. Nel 2010 Ibex riprende una zona di collisione ben oltre i pianeti, una regione dove il “vento” ipersonico delle particelle cariche provenienti dal Sole, impatta violentemente nel più colossale “frontale” cosmico con la Bolla magnetica che circonda anche il nostro pianeta Terra, così schermato dalle letali radiazioni stellari. Il dipanarsi di un fiotto di particelle in un nastro di energia misteriosa, sarebbe la dimostrazione del fatto che la regione più lontana del nostro Sistema Solare, ai confini con lo spazio interstellare, è un luogo molto più energetico di quanto finora pensato. Ma è mai possibile che nulla possa penetrare o sfuggire questa barriera magnetica solare? Ibex ha osservato rapide evoluzioni delle condizioni dell’Eliosfera, la bolla protettiva che scherma il Sistema Solare dai letali raggi cosmici. La mappa del nostro Sistema Stellare realizzata da Ibex consente di valutare l’interazione tra la materia proveniente dall’interno del Sistema Solare con quella della nostra Galassia. Ibex misura l’energia emessa dalle particelle di Atomi Neutri (ENA) prodotti nella regione di confine dove il vento solare impatta alla velocità di un milione di miglia orarie. Un flusso di particelle di incredibile energia se si pensa che queste collisioni con il mezzo interstellare costringono gli Atomi Neutri a viaggiare in direzione opposta, verso il Sole, a velocità comprese tra le 100mila e le 2,4 milioni di miglia orarie. La scoperta di queste interazioni tra il vento solare e le radiazioni esterne è di fondamentale importanza per tutti noi, visto il gran appetito di “energia verde” sulla Terra affetta dal gravissimo Global Warming che ci sta cuocendo a fuoco lento prima della grande glaciazione. Comprendere la natura di queste interazioni è importantissimo anche per capire come ideare i futuri scudi magnetici attivi che dovranno schermare le nostre astronavi (Star Trek) per proteggere gli equipaggi nei voli interplanetari e interstellari. La scoperta del misterioso nastro luminoso di particelle ENA, ha sorpreso ed entusiasmato gli scienziati poiché i precedenti modelli teorici sui confini del Sistema Solare non prevedevano nulla del genere. La Natura aborre il vuoto ed è più fantasiosa della fantasia. Certamente svelare i segreti del nastro di energia è di fondamentale importanza per dimostrare che la regione che circonda l’eliosfera può cambiare molto rapidamente in relazione proprio alle caratteristiche di propagazione degli Atomi Neutri. L’interazione tra il Sole e la Galassia origina una regione di sorprendente e incredibile dinamicità. Le scoperte sono pubblicate su molte riviste scientifiche internazionali come il Journal of Geophysical Research – Space Physics. Le misure di Ibex sono consistenti con altri studi che evidenziano anche quanto velocemente le cose possano cambiare ai confini del Sistema Solare, influenzando direttamente la vita sulla Terra e non solo. Negli ultimi anni l’Eliosfera, secondo gli scienziati, pare si sia leggermente indebolita a causa della pressione delle radiazioni esterne e della minore intensità del vento solare la cui attività gonfia come una bolla lo schermo protettivo del nostro Sistema Stellare. Questa variazione non è di poco conto secondo i ricercatori, cioè non è una preoccupazione banale. La contrazione dell’Eliosfera dimostra che la protezione della bolla non è così buona come pensato. I raggi cosmici galattici, quindi, possono fare breccia e trovare il modo di penetrare nel Sistema Solare. Con quali conseguenze per la vita sulla Terra e l’attività umana nello spazio? Alcuni scienziati suggeriscono che il nastro delle emissioni di Atomi Neutri Energetici, potrebbe essere spiegato da un effetto geometrico causato da un’interazione del Sole al confine tra la Nube di gas interstellare locale e un’altra Nube di gas molto calda (miliardi di gradi Kelvin in termini di velocità dei gas in espansione e non di temperature dello spazio profondo!) chiamata Local Bubble. Se questa ipotesi è corretta, il Sole e tutti noi sulla Terra potremmo entrarvi in un centinaio di anni. La prima mappa del cielo delle emissioni energetiche degli Atomi Neutri ottenuta dal satellite Ibex, già mostrava una sorprendente caratteristica ad arco. La scoperta annunciata dalla Nasa è uno dei risultati più importanti in fatto di esplorazione dello spazio. Sono state proposte sei ipotesi per spiegare il fenomeno, tutte concordi sulla sua relazione con i processi in corso all’interno dell’eliosfera o nelle sue immediate vicinanze. In un articolo pubblicato su Astrophysical Journal Letters, un gruppo di ricercatori polacchi offre una spiegazione alternativa: l’osservazione della barra multifunzione è coerente con il fatto che il Sole si sta avvicinando al confine tra la nostra Nube di gas interstellare locale e un’altra Nube di gas molto calda e turbolenta. La sorgente di energia degli Atomi Neutri, registrata da Ibex, sarebbe da collocare al di fuori della caldissima Bolla Locale che si ricarica con gli atomi relativamente freschi della Local Cloud. Gli ENA non hanno carica elettrica e quindi possono precipitare liberamente in linea retta dal loro luogo di nascita. Alcuni di essi possono così raggiungere l’orbita terrestre per essere rilevati da Ibex. “Se la barra multifunzione ENA è stata creata presso i confini dell’Eliosfera, il loro luogo di nascita sarebbe relativamente vicino, nel giro di un paio di centinaia di unità astronomiche” – fa notare il dottor Andrzej Czechowski, uno dei coautori della ricerca. Il team di scienziati polacchi e statunitensi suggeriscono che il nastro ENA nasca dallo scambio di carica elettrica tra gli atomi che “evaporano” dalla nube interstellare e una bolla molto calda e completamente ionizzata di gas. La Bolla Locale è probabilmente un residuo di una serie di esplosioni di Supernova che si sono verificate alcuni milioni di anni fa. Quindi non solo è molto calda (milioni di gradi Kelvin) ma anche turbolenta. Secondo questa teoria, i protoni nella Locale Bolla al confine con la Nuvola Locale strappano gli elettroni dagli Atomi Neutri e fuggono in tutte le direzioni. “Se la nostra ipotesi è corretta allora stiamo catturando atomi che provengono da una nube interstellare che è diversa dalla nostra” – afferma il dottor Maciej Bzowski, coinvestigator della missione e capo del team polacco di Ibex. Dal momento che il fenomeno degli atomi ENA si sta verificando in tutto lo strato limite complessivo tra le nuvole, perché vediamo la barra multifunzione? “È un effetto puramente geometrico che osserviamo perché il Sole è attualmente appena al posto giusto, ad un migliaio di unità astronomiche dal confine della nuvola” – spiega Grzedzielski. Il modello sviluppato dal team polacco-statunitense suggerisce che il confine tra la Nuvola Locale e la Bolla Locale possa non essere a pochi anni luce dal Sole, come si credeva in precedenza, ma molto più vicino. In tal caso potrebbe raggiungerci molto presto perché distante appena un migliaio di unità astronomiche, cioè mille volte più vicino del previsto! Questo potrebbe significare che il Sistema Solare e tutti noi terrestri potremmo entrare nella nube di gas incandescenti già nel prossimo XXII Secolo. “Niente di insolito, il Sole attraversa spesso aree irregolari di gas interstellare durante il suo viaggio galattico” – rivela Grzedzielski. Tali nubi sono di densità molto bassa, molto inferiori al miglior vuoto ottenibile nei laboratori sulla Terra. Una volta entrati in essa, la nostra Eliosfera avrebbe tutto il tempo di potenziarsi per ristabilire il suo raggio d’azione, mentre il livello delle radiazioni cosmiche introdotte nella magnetosfera terrestre potrebbe aumentare. Ma niente di preoccupante. Se ne gioveranno l’industria dei dispositivi elettronici portatili (capaci magari di auto-ricaricarsi) e gli esperimenti scientifici a caccia di Antimateria eredi del nostro AMS-II attualmente a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, alla ricerca di atomi di anti-Idrogeno ed anti-Elio provenienti da lontani anti-Mondi. Un’altra breccia su misura nell’Eliosfera per altre affascinanti avventure scientifiche. “Forse le generazioni future dovranno imparare a proteggere meglio il loro hardware spaziale contro radiazioni più forti” – suggerisce Grzedzielski. Ibex è una missione spaziale scientifica basso costo della Nasa, sviluppata dal Southwest Research Institute di San Antonio (Texas, Usa) e condotta in collaborazione con partner internazionali e il Goddard Space Flight Center di Greenbelt (Md.) sede del Science Mission Directorate. Conoscere in gran dettaglio la distribuzione di queste radiazioni in tutto il Sistema Solare, potrebbe aiutare le agenzie spaziali a delineare meglio le future missioni con equipaggio. Può essere saggio, infatti, pianificare i viaggi interplanetari quando l’Eliosfera si rafforza, almeno fino a quando non avremo inventato gli scudi magnetici attivi in grado di proteggere gli astronauti dai raggi cosmici. La conoscenza dei segreti dell’eliosfera è anche di fondamentale importanza nella ricerca di altre forme di vita sugli esomondi (http://planetquest.jpl.nasa.gov/). Poiché un forte scudo magnetico stellare (eso-Eliosfera) può rivelarsi decisivo nell’evoluzione della vita aliena sui pianeti extrasolari. Queste ricerche consentono di aumentare le probabilità di scoperta di un esomondo come la Terra poiché ora possiamo capire quali regioni sono più abitabili di altre nei sistemi solari alieni, in particolare nella loro fascia “Riccioli d’oro”. Se a tutto questo aggiungiamo che un nuovo studio della Nasa ha smascherato definitivamente l’attività umana come la principale responsabile del Global Warming sulla Terra, allora capiremo bene la cruciale importanza culturale, politica, economica e sociale di queste ricerche, e l’estrema urgenza di far cessare e spegnere immediatamente tutte le fonti di inquinamento prima che sia troppo tardi. La Terra, infatti, assorbe più energia del normale nonostante la bassa attività solare registrata dal 2005 al 2010. Ma non la disperde più così bene nello spazio. Sappiamo che l’energia elettrica verde e infinita, può essere catturata direttamente nello spazio interstellare, nell’orbita dei pianeti giganti come Giove e Saturno, anche nelle nostre ben più vicine Fasce di Van Allen dove un oceano di elettroni gratuiti prodotti dall’impatto delle particelle cariche del Sole con il nostro campo magnetico, attende di poter essere sfruttato grazie a speciali fattorie energetiche orbitali in grado di trasmettere sulla Terra l’energia raccolta sotto forma di microonde: potremo alimentare direttamente dallo spazio i nostri dispositivi portatili Apple, gli elettrodomestici, le navi, i treni a levitazione, gli aerei, gli spazio-plani, le industrie e le città, garantendo un futuro alla Biosfera Terra. Le osservazioni e le scoperte di Ibex, quindi, permettono di progettare altre missioni spaziali (umane) a lungo raggio, ben oltre le Colonne d’Ercole del Sistema Solare, poiché oggi siamo in grado di misurare e catturare questa enorme quantità di energia disponibile. Il non plus ultra è soltanto un mito. La conquista dello spazio interstellare ad opera della Voyager 1 è un evento significativo come la scoperta dell’America? Ai posteri l’ardua sentenza. Entrerà certamente negli annali della storia della scienza e della tecnologia, aggiungendo un nuovo affascinante capitolo all’infinito volume dei sogni più arditi dell’umanità. Alla Nasa ne sono certi. Forse gli esploratori futuri dello spazio, come Cristoforo Colombo con le sue caravelle mezzo millennio fa, incroceranno tra alcuni decenni le due sonde Voyager, le doppieranno riflettendo sulla nostra storia, sulle reali motivazioni che hanno spinto il genere umano ad affrontare decisamente di petto il volo interstellare. Per vincere la stagnazione economica, l’abisso della decadenza politica, antropologica, morale, etica, economica e sociale che oggi rischia di condannare l’umanità alla più stupida, indegna, improvvisa e immaginabile fine. Anche se l’Uomo si estinguerà per cause naturali, di una cosa occorre convincersi: le due navicelle Voyager ghiacciate proseguiranno nel loro volo interstellare gravitazionale, finalmente libere dall’attrazione solare, al di là delle Colonne d’Ercole del mito.
© Nicola Facciolini
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