Mentre il soffio dei primi venti autunnali coccola i rami delle piante e culla i fili d’erba cresciuti in mezzo al borghi distrutti, una amara solitudine accarezza le rovine incrostate sui siti in cui essi sorgevano. Un tempo, a settembre, sedute nei fondaci delle case, le spigolatrici intonavano canti e raccontavano storie che la fervida fantasia popolare voleva costellate di figure oniriche sempre presenti per giustificare le difficoltà che si frapponevano alla buona riuscita del raccolto o alle quali si attribuivano i mali che avrebbero potuto affliggere i loro familiari. Oggi un altro tipo di preoccupazioni sollecitano la nostra mente. Preoccupazioni che assumono ben altro profilo. Le abitudini della gente sono cambiate, il paesaggio è cambiato, e con esso sono cambiati anche i nostri paesi. A Roio Piano – L’Aquila, l’abitato disteso verso la valle, nel piccolo rione chiamato “Marchittu”, c’è ancora una scritta gialla, molto persuasiva, che è impressa sul muro di una casa, una di quelle rimaste ancora in piedi: “OK me ne vado”. Una scritta profetica, dunque. Diverse famiglie che abitavano questo paese se ne sono dovute andare davvero. Roio Piano – L’Aquila è uno dei borghi del circondario che non ha edifici di notevole rilevanza storica e artistica (tranne qualche scorcio di particolare pregio e un palazzo signorile del Seicento). L’abitato era costituito da fabbricati distesi su spazi contigui, edificati attraverso un processo di accrescimento, incongruo e spontaneo, che ne ha ampliato di fatto la vulnerabilità sismica. La strada legislativa adottata per la ricostruzione dei centri storici rurali del circondario ruota intorno alla formula degli aggregati edilizi. Queste unità d’intervento, intese nell’insieme come un unicum, pongono dei limiti che compromettono la rimodulazione dell’impianto viario e urbanistico delle frazioni e non consentono un agevole rientro a coloro che nell’ambito degli aggregati medesimi hanno delle priorità poiché possessori di case in cui avevano l’abitazione principale. Pertanto, almeno nei paesi come Roio Piano, si sarebbe quantomeno potuto valutare un’alternativa (attraverso un piano di ricostruzione) magari assegnando, in base alle proprietà, dei sedimi che ricadono all’interno del perimetro urbano dell’antico paese: una sorta di sostituzione edilizia in loco. Ciò avrebbe consentito di riappropriarsi ex novo dell’area villica precedentemente occupata dai vecchi fabbricati e ricostruire il borgo in maniera più omogenea intorno al suo cardo principale. In questo modo, i nuovi edifici antisismici ed ecosotenibili sarebbero potuti nascere calandosi perfettamente in un nuovo e migliorato assetto viario che avrebbe incluso aree di sosta e di raccolta messe a disposizione della comunità. Intanto, mentre il 2013 si va pian piano defilando, e gli ex residenti di Roio Piano attendono l’inizio dei lavori come da cronoprogramma, ai bordi di via San Franco, nei pressi dell’Aia grande, una nota positiva ha assunto le sembianze di un palazzo della belle epoque roiana, il primo che è tornato a nuova vita nell’immediata periferia del centro storico. Invece, la struttura polifunzionale Caritas, più volte inaugurata, attende di assolvere alle funzioni per cui è nata e con essa resta un sogno veder recuperato e terminato l’edificio pubblico antisismico ubicato in via della Parrocchia, tra Roio Piano e Santa Rufina: una promessa, questa, sussurrata e mai mantenuta! C’è chi, come mio padre, si riappropria dei propri affetti semplicemente riaffacciandosi quotidianamente al suo paese, nei luoghi che lo hanno visto nascere, crescere e realizzarsi; e seduto nella panchina dell’Aia, a “Muntiliò”, nonostante l’età, trova la forza di attendere scambiando due parole con i suoi compaeseani. Mia madre invece no, non ha più la forza nemmeno di fare questo: seduta sul divano del Map, ricorda il passato e cancella il presente, è una cosa che gli riesce bene, purtroppo!
Fulgenzio Ciccozzi
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