Non bastano attentati e povertà dilagante, ma anche i terremoti sono una piaga inesauribile in Pakistan, repubblica islamica con più di 180 milioni di abitanti, sesto stato più popoloso del mondo e secondo maggior stato musulmano dopo l’Indonesia, importante membro dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, e, sotto il profilo geologico, punto di incontro della placca Indiana, a Sud-Est, di quella Araba a Sud-Ovest e della Eurasiatica a Nord, per questo area sismica fra le più attive, con soprattutto la faglia Kirthar ad essere particolarmente pericolosa, per l’attrito fra le tre placche ed il continuo scivolamento reciproco di 2-4 cm l’anno.
E lì, alle 13,31 ora italiana (le 16 e 31 locali), che la terra ha tremato, scossa da un terremoto di magnitudo di 7.8 della scala Richter, con ipocentro ad una profondità di 15 km nella regione del Belucistan ed epicentro ad un centinaio di chilometri dalla città di Khuzdar, inserita nel 2011 da Reporters sans frontie’res fra i 10 luoghi più pericolosi al mondo, soprattutto per i giornalisti, che vengono spesso aggrediti e minacciati e a volte anche uccisi.
Nel terremoto di oggi i morti accertati sono 50, ma il bilancio è destinato a salire.
Come si ricorderà, nello scorso aprile, un terremoto di magnitudo 7.4 nell’Iran sud-orientale nei pressi del confine con il Pakistan provocò 41 morti, di cui 40 nel Belucistan, mentre l’ultimo sisma avvenuto in Pakistan e confrontabile con quello di oggi risale al 1935, a Quetta, con una magnitudo compresa fra 7.7 e 7.8 e nel 2005, un terremoto di magnitudo 7,6 scosse la regione del Kashmir, causando più di 30.000 vittime, di cui gran parte bambini.
Il Bulichistan è una vasta area deserta e montagnosa, la più grande provincia del Pakistan, del quale costituisce circa il 48% della superficie totale, con 1.800.000 abitanti e capitale Gilgit, riunitosi al Pakistan dopo la vittoria per l’indipendenza contro il dominio Dogra, il 1° novembre del 1947.
L’etnia più presente è quella baluchi, diffusa fra Iran, Pakistan e Afghanistan, insediata, anche se in numero minore, nel Bahrein e nella provincia del Punjab in India, composta principalmente da mussulmani di confessione sunnita della dottrina Hanafi, nomadi che vivono fra le montagne, con un idioma di origine iranica nordoccidentale, famosi per i loro tappeti, annodati a mano e di piccole dimensioni, dai motivi vivaci, per lo più usati per la preghiera, con colori dominanti rosso, marrone e blu scuro, ordito in lana o miscela di lana e pelo di capra.
Come detto essi vivono principalmente nei terreni di montagna, il che gli ha permesso di mantenere un’identità culturale distinta e resistere alla dominazione dei confinanti.
Secondo le cronache arabe del X secolo, probabilmente provengono dall’altopiano iraniano e sembra che i loro antenati risalissero al tempo dell’impero mediana, dove furono inviate tribù baluci e curde per proteggere i confini dell’Impero nelle regioni del Makran e Toran.
L’economia tradizionale è basata su una combinazione di agricoltura e pastorizia semi-nomade, anche se, attualmente, i loro insediamenti agricoli sono diventati più comuni e vi si allevano cammelli e altri animali.
Per fortuna il terremoto di oggi ha interessato una zona poco abitata, ma è stato avvertito fino in India a Nuova Delhi a causa della sua profondità, che ha consentito alle onde superficiali di propagarsi ad una maggiore distanza, con i palazzi più alti della capitale indiana che hanno oscillato per alcuni minuti.
Comunque, secondo il capo segretario della provincia, Babar Yagoob Fateh Mohammed “un grande numero di case sono crollate” nell’area di Awaram, a sudest di Dalbandi e le squadre di soccorso sono state inviate nella zona non distante del capoluogo che porta il medesimo nome della provincia, abitata da poco più di 100.000 persone.
Il sismologo italiano Ganluca Valensise, ha affermato che, secondo le prime stime, la rottura della faglia potrebbe avere un’estensione notevole, fino a 200 chilometri nella regione montuosa e deserta del Belucistan, affacciata sull’Oceano Indiano.
In questa zona- ha spiegato – si trova una catena montuosa con molti sistemi di pieghe, generati dal movimento di compressione causato dall’incontro delle tre placche sopraricordate.
Con il termine di terremoto dell’Iran del 2013 s’identifica un evento sismico manifestatosi a partire dalla seconda settimana dell’aprile 2013, costituito da una serie di scosse localizzate in una vasta area geografica che comprende il territorio meridionale dell’Iran e le regioni di Bushehr e di Sistan e Baluchistan, area in cui da quarant’anni non si manifestava una scossa di tale potenza, paragonabile a quella avvenuta nel 1978 con epicentro a Tabas e che aveva causato 15.000 morti.
Sempre ad aprile (il 22), nel Sichuan, in Cina, un terremoto di magnitudo 6,6 ha provocato 203 morti, 11,800 feriti e 100.000 senza tetto.
Sempre in Cina, nello steso Sichuan e nel vicino Yunnann, il 31 agosto, un terremoto di magnitudo 5,9 ha causato frane enormi che hanno completamente bloccato le strade principali.
Il 1° settembre, poi, un forte ma profondo terremoto ha colpito al largo dell’Indonesia orientale, provocando il panico tra gli abitanti di Timor Est, ma senza causare né feriti né tsumani.
Tre giorni dopo, il 4 settembre, tre forti scosse nel giro di circa 2 ore, rispettivamente in Canada, Alaska (Isole Auletine) e Giappone, con magnitudo attorno al 6 Richter, ma con profondità ipocentrali molto diverse.
Infine il 7 del mese, un terremoto di magnitudo 6,6 sulla scala Richter si è verificato in Guatemala, causando oltre 30 i feriti, alcuni edifici crollati e tanta paura.
Comunque, anche se alcuni dicono il contrario, i terremoti, che restano eventi imprevedibili, non stanno affatto aumentando in nessuna parte del mondo, mentre è certo che sono da attribuire all’uomo gran parte dei danni conseguenti, soprattutto là dove non è stato costruito a dovere, con materiali antisismici o in zone pericolose.
Ad esempio (per non parlare ancora de L’Aquila), nel recente terremoto in Emilia abbiamo visto che in diverse zone si è verificata la liquefazione del terreno con conseguente cedimento degli edifici e questo si verifica quando si costruisce su terreni apparentemente stabili ma fortemente impregnati d’acqua (si veda il video su: http://www.youtube.com/watch?v=JrAaHmOErrQ&feature=share).
Se prendiamo le statistiche dell’ultimo decennio vediamo che la sequenza smentisce che il numero dei terremoti – che sono in tutto il pianeta un miliardo l’anno circa – sia tendenzialmente in aumento. Eppure non si tratta di numeri casuali: il terremoto ha sempre una ragione e il numero dei morti anche. La ragione del terremoto ci è sconosciuta: le placche si spostano, si infilano una sotto l’altra, liberano quantità enormi di energia. Conosciamo abbastanza bene il meccanismo, ma perché queste masse si scontrino in quel punto proprio in quel momento è ignoto. Finora, costruire un modellino credibile è risultato impossibile, perché i fattori in gioco – come nelle previsioni del tempo – sono troppi. Quanto al numero dei morti dipende dalla profondità dell’epicentro e dalla violenza della scossa, naturalmente. Ma anche dal criterio con cui costruiamo, dall’investimento che facciamo in sicurezza. Ci sono posti dove non bisognerebbe proprio stare. Ma tante volte è inutile farlo sapere. Gli uomini ci si piazzano lo stesso, certi che il sisma arriverà, ma chissà quando.
Va ricordato che i terremoti possono essere previsti solo statisticamente analizzando la storia sismica di una determinata zona, che rende possibile stimare la probabilità che si verifichi un terremoto entro un certo intervallo di tempo. Ma, come dimostrano gli eventi degli ultimi anni, le scosse hanno anche colpito proprio zone insospettabili e se è vero che esistono dei “precursori sismici”, ovvero parametri chimici, fisici e geologici che subiscono dei cambiamenti prima di un terremoto, essi non sono né sufficienti né tato sicuri da poter permettere di prevedere con sicurezza un terremoto.
Questa e la verità e non fantasiose idee sul radon (che non è un precursore dei terremoti ma solo un gas nobile che non interagendo con altre sostanze, esce dalla crosta terrestre e si stratifica fino a 10 centimetri da terra e se respirato in quantità elevate porta, questa volta sì e con certezza, al cancro ai polmoni) o altre basate sulla convinzione il campo gravitazionale del pianeta Terra è ormai gravemente deformato e questo sta incrementando le sollecitazioni meccaniche all’interno.
Affermare che l’Oceano del Sud sta immagazzinando piu’ calore rispetto agli altri oceani del pianeta e siccome l forma della terra è uno sferoide deforme, il cui centro di gravità sta sempre più spostandosi grazie ad un’ondata di forti terremoti che hanno scosso il pianeta negli ultimi 7 anni, non è meno bislacco ( e pericoloso) che continuare a costruire dove non si deve ed in modo improprio.
Il 7 febbraio scorso, su l’Espresso, Emilio Fabio Torsello ha scritto che a L’Aquila, a quattro anni dal terremoto più berlusconiano, mediatico ed ipnotico del mondo, la vita quotidiana si restringe, si riduce nello spazio di un baco da seta, lasciando fuori tutto il resto.
A L’Aquila quella trovata (e condivisa), doveva essere la soluzione provvisoria in attesa della ricostruzione: promessa delle promesse fatta dall’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che adesso sta logorando tutti noi cittadini, ridotti a fantasmi, come la nostra città.
Ed un terremoto, mi viene da pensare, oltre che distruggere spoglia: di prospettive, di speranza, anche di specificità.
Così, come nei primi tempi con noi medici ospedalieri e di base allontanati dalla Protezione Civile, ora sono i ricercatori “esterni” a spogliarci del modo di esaminare noi stessi, per venire a studiarci (come cavie prive di libertà), con neurologi della D’Annunzio di Chiesti ed i epidemiologi della Fondazione “Giovanni Paolo II” di Campobasso, che ci raccontano che siamo stressati, immunodepressi e metabolicamente scombinati, come se tutto questo non lo ravvisassimo nel nostro quotidiano.
Leggo i loro articoli su “Nutrition, metabolism and cadiovascular diseases” e mi fanno lo stesso effetti delle case vuote e senza vita del centro, delle chiese scoperte e sventrate, dei sostegni metallici che cedono in più punti.
Potremmo anche vedere di risolvere paura e depressione se non arrivassero a frotte rappresentanti tronfi del governo e scienziati in cerca di una pubblicazione che ci fanno sentire come gli abitanti del Rwanda, un paese dell’Africa che dall’inizio del XX secolo fu sottoposto al controllo coloniale belga, per poi raggiungere l’indipendenza nel 1962, dopo travagliate vicende di conflitto tra i diversi gruppi di potere, con lotte interne continuate fino a metà degli anni ’90, sfociate in quello che è universalmente conosciuto come ” genocidio del Rwanda”; solo con un numero minore di morti e con efferatezze meno eclatanti e più raffinate.
Carlo Di Stanislao
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