Gli scenziati alla fine sono tutti d’accordo: il riscaldamento climatico esiste ed è colpa dell’uomo. E finalmente qualcuno (in questo caso Giorgio Napolitano), ha il coraggio di dire che è una delle tante anomalie italiane il ricorso al voto anticipato ogni volta si crea un problema. Gli scenziati parlano da Stoccolma, diffondendo il primo volume di un rapporto effettuato per l’ONU in cui si dice che ognuno degli ultimi tre decenni è stato più caldo di quello precedente e, in generale, più caldo di qualsiasi periodo fin dal 1850, probabilmente addirittura degli ultimi 1.400 anni.
Inoltre la temperatura media della Terra potrebbe aumentare tra 0,3 e 4,8 gradi centigradi in questo secolo e anche la stima dell’innalzamento delle acque del mare è stata rivista al rialzo, tra 26 e 82 centimetri entro il 2100.
Ne sono certi al 95%, perché il 100% nella scienza non esiste, ma sanno ora che in terra, cielo e mare, l’innalzamento delle temperature è “inequivocabile e che “sono necessarie sostanziali e costanti riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra”, per invertire questa tendenza.
Ed oltre alle dichiarazioni dell’Intergovernmental Panel for Climate Change, un’altra condizione storica sta per attuarsi grazie all’ONU e non certo di minore importanza per il mondo intero.
Si tratta dell’ incontro tra i ministri degli esteri Usa e iraniano alle Nazioni Unite, attraverso l’attesa riunione del responsabile degli Esteri iraniano,Javad Zarif, con gli omologhi dei gruppo 5+1 ossia Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia con la Germania, nel Palazzo di Vetro, per la ripresa dei negoziati sul programma nucleare di Teheran. Riunione a cui, dando un ulteriore segnale di disgelo, Kerry siede accanto a Zarif, mentre tra Usa e Iran non esistono relazioni diplomatiche dal 1979.
Il “format” degli incontri prevede che i membri del cosiddetto gruppo dei Paesi del 5+1 si incontrino prima da soli, e che il capo della diplomazia di Teheran arrivi a riunione iniziata, ma il tono e lo spirito dell’incontro sono stati “estremamente buoni”, come ha dichiarato il ministro degli Esteri britannico William Hague che ha precisato che i ministri degli esteri hanno concordato con Zarif un preciso calendario di negoziati. Nell’incontro a due con il segretario di stato Usa John Kerry seguito a quello allargato ai 5+1 ha detto che “l’obiettivo dell’Iran è raggiungere un accordo entro un anno” con la comunità internazionale sui nodi del suo programma nucleare.
Se nel mondo, anche se surriscaldato, si respira aria di pace, con icinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che “hanno trovato un accordo su una bozza di risoluzione vincolante” per la Siria, aria di guerra ormai inevitabile si respira nella politica nostrana, col Epifani che rimbrotta il Pdl dicendo che i traditori sono loro ed Enrico Letta, appena arrivato a Roma, di ritorno dalla sua missione in Canada e Stati Uniti, che nel pomeriggio sarà ricevuto al Quirinale dal Capo dello Stato, impegnato in mattinata a Milano a una cerimonia in ricordo di Luigi Spaventa e con la riunione del Consiglio dei ministri, prevista anch’essa per questo pomeriggio, che non è stata ancora convocata, perché si attende la conclusione dei colloqui tra il premier e il Capo dello Stato.
Naplitano è fermo nelle sue posizioni e in un passaggio del suo intervento all’università Bocconi, avverte che oggi in Parlamento “le distanze e gli scontri sul piano delle idee e del rapporto tra maggioranza e opposizione” producono uno “smarrimento di ogni nozione di confronto civile e di ogni costume di rispetto istituzionale e personale” e ricorda che Spaventa tentò nel 1994 “una missione quasi impossibile” candidandosi alla Camera nello stesso collegio in cui correva Silvio Berlusconi. “E lo fece essendo mosso non dall’intento di tornare in Parlamento ma dal gusto della sfida, del confronto antidemagogico sui problemi dinanzi ai cittadini”.
E’ irato Napolitano che parla contro quella polutica che si muove non “come consapevolezza dell’interesse generale, senso del dovere civico, percezione responsabile dei problemi della società e dello Stato, perché di questa dimensione, propria del vivere in democrazia, ogni cittadino dovrebbe essere partecipe”.
Econimista insigne, morto quest’anno a Roma a 78 anni di età, Prof. di economia politica presso l’università di Roma “La Sapienza”, Luigi Spaventa fu deputato come indipendente nelle liste del PCI (1976 e 1979) ed è stato ministro del Bilancio e della Programmazione economica (1993-94), Presidente del consiglio di amministrazione della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (1997-98) e dell’Italian international bank di Londra (1997), per assumere, dal 1998 al 2003, la carica di presidente della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB).
Autore di vari saggi, articoli e monografie, Cavaliere di Gran Croce dal 1994, interessato alle problematiche relative allo sviluppo economico e alla distribuzione del reddito a livello sia empirico sia applicato, si è sempre più occupato di temi di politica economica. Figura di primo piano nel dibattito italiano su tali argomenti, ha spesso mosso critiche ai programmi e agli interventi dell’esecutivo, in contrasto con i maggiori attori e interpreti delle politiche economiche adottate, e i suoi severi interventi hanno fornito spunto a numerose discussioni sulle azioni di governo dagli anni Sessanta a oggi.
Come si ricordava, sfidò direttamente Berlusconi nel suo colleggia nel 1994: una sdconfitta annunciata ma a cui non si sottrasse per senso del dovere e dello Stato.
Ogni morto è una mancanza, ma ve se non certe che rendono il mondo più piccolo e vuoto. Quella di Luiogi Spaventa è uno di queste e non solo perché, come ha scritto Walter Veltroni, fu “uomo colto, severo, coraggioso e indipendente capace di difendere le sue idee, insieme, di essere al servizio del suo Paese”, ma perché capace di non sottrarsi mai a nessuno dei suoi diveri.
Mi viene in mente un altro Spaventa, Silvio, minore del filosofo Bertrando, abruzzese di Bomba, esiliato con l’accusa di aver sostenuto la resistenza del generale Guglielmo Pepe, che influenzato dalla concezione hegeliana dello Stato, fu uno dei più originali teorici del liberalismo nell’Italia dell’Ottocento, sostenitore di uno Stato forte ma non autoritario e tenace sostenitore della rigorosa separazione della sfera politica da quella amministrativa; in polemica col trasformismo di Agostino Depretis, propugnatore un bipartitismo vero e aperto, di tipo inglese.
E capisco che l’Italia è più incline agli incuici e alle ammucchiate con un bipatirtismo che non è mai stato bipolarismo vero, con un sistema politico che come ha detto Giorgio Galli, di fronte alle disfunzioni del sistema politico questa corrente di pensiero si è venuta scindendo orientandosi da una parte verso la critica della “partitocrazia” e delle istituzioni, dall’altra verso un sociologismo che riconduce i difetti del nostro sistema politico alla inferiorità degli italiani rispetto ai più progrediti e civili anglosassoni.
Sicché, come ha scritto su “Il Mulino”, In Italia, purtroppo, esiste un sistema misto, di “bipartitismo imperfetto”, cioè con due grandi partiti che funzionano da poli di attrazione e che nel dopoguerra hanno sostanzialmente monopolizzato il governo e l’opposizione: la democrazia cristiana e il partito comunista, non abilitato a governare.
E, ancora, come ha chiaramente espresso su “Bipartitismo imperfetto. Comunisti e democristiani in Italia”, uscito nel lontano 1967, in fondo (ed anche prima di Berlusconi), il cattivo funzionamento della nostra democrazia è dovuto alla libidine di potere e alla prepotenza politica del partito dominante, assieme ai cedimenti periodicamente rinnovativi dell’ala destra del movimento operaio, e l’anticomunismo più sfrenato che in un clima perenne di “Annibale alle porte”, viene usato come strumento di ricatto contro il popolo italiano.
Secondo questa visione, Berlusconi è il figlio della crisi degli anni 90, una cisi ideale e morale prima che politica e che investito l’intera società.
Aveva ragione Giorgio Galli, tacciato di reazionario dalla sinistra, definito uno “strascicato” Colin Crouch di “Postdemocrazia” e che invece (con Giovanni Santori), aveva capito che alcune funzioni dei partiti sono venute meno ed altre sono permaste, soprattutto il loro ruolo di selettori degli interessi, con la destra (aiytata da una sinistra sempre meno capace) che s’è organizzata bene a riguardo, malgrado l’anomalia privatistica che incarna e cn il leader unico e il ceto medio ribelle (alle tasse, all’IMU, alle regole europee) a far blocco, un blocco che si è chiamato (e si chiama di nuovo, non a caso) “Forza Italia”, che nell’ultimo decennio non ha costruito un blocco sociale, bensì un consenso elettorale trasversale, con Partite Iva e individualismo proprietario diffuso, basato su un consenso elettorale fluido, innervato su alcuni interessi, come il fisco, che include una certa cultura individualistica, che è italiana e che Berlusconi ha saputo ben intercettare.
Carlo Di Stanislao
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