Le donne dell’Arabia Saudita non ci stanno e schiacciano il piede sull’acceleratore. Il sito web www.oct26driving.com raccoglie firme contro il governo che vieta loro di guidare. Dal 21 settembre il numero di persone che hanno aderito alla petizione è arrivato a 11mila, in soli cinque giorni quasi 3mila firme in più. Anche su Twitter non mancano i sostenitori: negli ultimi giorni quasi 3000 persone hanno parlato della campagna.
Il 26 ottobre, al termine della raccolta firme, se il governo non avrà fornito una giustificazione valida e legale al divieto di guidare, le attiviste si metteranno al volante in segno di sfida. Chi volesse aiutare, si legge poi sul sito, può insegnare a una donna saudita a guidare, stampare il logo della campagna e attaccarlo sulla macchina, o ancora mandare foto e video di supporto alla petizione.
In realtà nessuna norma vieta esplicitamente alle saudite di guidare, neanche nella sharia (la legge religiosa e morale islamica, ndr), eppure non vengono emesse patenti per questa parte della popolazione. È un divieto non scritto.
In Arabia Saudita c’è un regime monarchico conservatore, che si basa appunto sulla sharia, molto restrittiva nei confronti delle donne. Eppure da due anni a questa parte, il re Abdullah, ha attuato delle piccole riforme per promuovere i diritti della parte femminile della popolazione: 30 donne sono state nominate nel Consiglio della Shoura che ha una funzione consultiva per il governo e, alla fine del 2011, aveva affermato che le donne avrebbero potuto candidarsi per cariche pubbliche. Ma patenti femminili ancora non se ne vedono: nei due anni scorsi le campagne per cambiare la situazione non avevano portato a un nulla di fatto, anzi, alcune donne sorprese alla guida erano state detenute brevemente e due erano state accusate di “offendere la monarchia”. Una di loro è stata rilasciata dopo aver promesso che non avrebbe più guidato, mentre l’altra è stata condannata a dieci frustate.
Marcella Vezzoli-RS
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