“Dove vediamo odio e buio, cerchiamo di portare un po’ di amore e di speranza, per dare un volto più umano alla società”(Papa Francesco). Lunedì 30 Settembre 2013, alle ore 10, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, durante la celebrazione dell’Ora Terza, Papa Francesco ha tenuto il Concistoro Ordinario Pubblico per la Canonizzazione dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Papa Bergoglio ha decretato che Papa Roncalli e Papa Wojtyla siano iscritti nell’Albo dei Santi il 27 Aprile 2014, Domenica II di Pasqua, della Divina Misericordia. Una settimana dopo la Santa Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo (20 Aprile). Papa Roncalli e Papa Wojtyla sono stati protagonisti della promozione dell’autentica dignità dell’Uomo sulla Terra. “Non possiamo mai rassegnarci di fronte al dolore di interi popoli, ostaggio della guerra, della miseria, dello sfruttamento” – dichiara Papa Francesco richiamando l’invocazione che Giovanni Paolo II lanciò ad Assisi nel 1986 quando radunò i responsabili delle Chiese e delle comunità ecclesiali e religiose di tutti i continenti a pregare per la pace nel mondo, invitandoli a operare “non più gli uni contro gli altri, ma gli uni accanto agli altri”. E proprio nel giorno in cui viene ufficialmente annunciata la data della canonizzazione del Pontefice polacco, Papa Bergoglio rilancia il suo appello di pace incontrando i leader religiosi riuniti in questi giorni a Roma per partecipare all’incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. A loro il Santo Padre ricorda che “non può esservi alcuna giustificazione religiosa alla violenza, in qualsiasi modo essa si manifesti: per la pace ci vuole un dialogo tenace, paziente, forte, intelligente”. Il Pontefice torna a chiedere di pregare per la Siria e il Medio Oriente. Ai membri della Comunità di Sant’Egidio ed ai rappresentanti delle Chiese, delle comunità ecclesiali e delle grandi religioni pres
della Chiesa Cattolica, che afferma: la Chiesa Cattolica sparsa nel mondo «ha una sola fede, una sola vita sacramentale, un’unica successione apostolica, una comune speranza, la stessa carità» (n. 161). È una bella definizione, chiara, ci orienta bene. Unità nella fede, nella speranza, nella carità, unità nei Sacramenti, nel Ministero: sono come pilastri che sorreggono e tengono insieme l’unico grande edificio della Chiesa. Dovunque andiamo, anche nella più piccola parrocchia, nell’angolo più sperduto di questa terra, c’è l’unica Chiesa; noi siamo a casa, siamo in famiglia, siamo tra fratelli e sorelle. E questo è un grande dono di Dio! La Chiesa è una sola per tutti. Non c’è una Chiesa per gli Europei, una per gli Africani, una per gli Americani, una per gli Asiatici, una per chi vive in Oceania, no, è la stessa ovunque. È come in una famiglia: si può essere lontani, sparsi per il mondo, ma i legami profondi che uniscono tutti i membri della famiglia rimangono saldi qualunque sia la distanza”. Il Papa pensa all’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro. “In quella sterminata folla di giovani sulla spiaggia di Copacabana, si sentivano parlare tante lingue, si vedevano tratti del volto molto diversi tra loro, si incontravano culture diverse, eppure c’era una profonda unità, si formava un’unica Chiesa, si era uniti e lo si sentiva. Chiediamoci tutti: io come cattolico, sento questa unità? Io come cattolico, vivo questa unità della Chiesa? Oppure non mi interessa, perché sono chiuso nel mio piccolo gruppo o in me stesso? Sono di quelli che “privatizzano” la Chiesa per il proprio gruppo, la propria Nazione, i propri amici? È triste trovare una Chiesa privatizzata per questo egoismo e questa mancanza di fede. È triste! Quando sento che tanti cristiani nel mondo soffrono, sono indifferente o è come se soffrisse uno di famiglia? Quando penso o sento dire che tanti cristiani sono perseguitati e danno anche la vita per la propria fede, questo tocca il mio cuore o non mi arriva? Sono aperto a quel fratello o a quella sorella della famiglia che sta dando la vita per Gesù Cristo? Preghiamo gli uni per gli altri?”. Papa Francesco pone una domanda focale per l’identificazione del cristiano autentico, “ma non rispondete a voce alta, soltanto nel cuore: quanti di voi pregano per i cristiani che sono perseguitati? Quanti? Ognuno risponda nel cuore. Io prego per quel fratello, per quella sorella che è in difficoltà, per confessare e difendere la sua fede? E’ importante guardare fuori dal proprio recinto, sentirsi Chiesa, unica famiglia di Dio!”. Poi il Papa passa al secondo punto. “Facciamo un altro passo e domandiamoci: ci sono delle ferite a questa unità? Possiamo ferire questa unità? Purtroppo, noi vediamo che nel cammino della storia, anche adesso, non sempre viviamo l’unità. A volte sorgono incomprensioni, conflitti, tensioni, divisioni, che la feriscono, e allora la Chiesa non ha il volto che vorremmo, non manifesta la carità, quello che vuole Dio. Siamo noi – avverte Papa Francesco – a creare lacerazioni! E se guardiamo alle divisioni che ancora ci sono tra i cristiani, cattolici, ortodossi, protestanti, sentiamo la fatica di rendere pienamente visibile questa unità. Dio ci dona l’unità, ma noi spesso facciamo fatica a viverla. Occorre cercare, costruire la comunione, educare alla comunione, a superare incomprensioni e divisioni, incominciando dalla famiglia, dalle realtà ecclesiali, nel dialogo ecumenico pure. Il nostro mondo ha bisogno di unità, è un’epoca in cui tutti abbiamo bisogno di unità, abbiamo bisogno di riconciliazione, di comunione e la Chiesa è Casa di comunione. San Paolo diceva ai cristiani di Efeso: «Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace»(4, 1-3). Umiltà, dolcezza, magnanimità, amore per conservare l’unità!”. Il Papa indica in Gesù la Via, la Verità, la Vita. “Queste, queste sono le strade, le vere strade della Chiesa. Sentiamole una volta in più. Umiltà contro la vanità, contro la superbia, umiltà, dolcezza, magnanimità, amore per conservare l’unità. E continuava Paolo: un solo corpo, quello di Cristo che riceviamo nell’Eucaristia; un solo Spirito, lo Spirito Santo che anima e continuamente ricrea la Chiesa; una sola speranza, la vita eterna; una sola fede, un solo Battesimo, un solo Dio, Padre di tutti (cfr vv. 4-6). La ricchezza di ciò che ci unisce! E questa è una vera ricchezza: ciò che ci unisce, non ciò che ci divide. Questa è la ricchezza della Chiesa! Ognuno si chieda oggi: faccio crescere l’unità in famiglia, in parrocchia, in comunità, o sono un chiacchierone, una chiacchierona. Sono motivo di divisione, di disagio? Ma voi non sapete il male che fanno alla Chiesa, alle parrocchie, alle comunità, le chiacchiere! Fanno male! Le chiacchiere feriscono. Un cristiano prima di chiacchierare deve mordersi la lingua! Sì o no? Mordersi la lingua: questo ci farà bene, perché la lingua si gonfia e non può parlare e non può chiacchierare. Ho l’umiltà di ricucire con pazienza, con sacrificio, le ferite alla comunione?”. Poi il Santo Padre affronta “l’ultimo passo più in profondità. E, questa è una domanda bella: chi è il motore di questa unità della Chiesa? È lo Spirito Santo che tutti noi abbiamo ricevuto nel Battesimo e anche nel Sacramento della Cresima. È lo Spirito Santo. La nostra unità non è primariamente frutto del nostro consenso, o della democrazia dentro la Chiesa, o del nostro sforzo di andare d’accordo, ma viene da Lui che fa l’unità nella diversità, perché lo Spirito Santo è armonia, sempre fa l’armonia nella Chiesa. È un’unità armonica in tanta diversità di culture, di lingue e di pensiero. È lo Spirito Santo il motore. Per questo è importante la preghiera, che è l’anima del nostro impegno di uomini e donne di comunione, di unità. La preghiera allo Spirito Santo, perché venga e faccia l’unità nella Chiesa. Chiediamo al Signore: Signore, donaci di essere sempre più uniti, di non essere mai strumenti di divisione; fa’ che ci impegniamo, come dice una bella preghiera francescana, a portare l’amore dove c’è odio, a portare il perdono dove c’è offesa, a portare l’unione dove c’è discordia. Così sia”. Gesù ci aspetta sempre, questa è l’umiltà di Dio. È quanto affermato da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa prende spunto dal Salmo “Andremo con gioia alla Casa del Signore”, sottolineando che il Sacramento non è un rito magico, ma l’incontro con Gesù che ci accompagna nella nostra vita. Una presenza nella storia del Popolo di Dio. “Ci sono momenti belli che danno gioia – osserva il Santo Padre – e anche momenti brutti di dolore, di martirio, di peccato. E sia nei momenti brutti sia nel momenti belli una cosa sempre è la stessa: il Signore è là, mai abbandona il Suo popolo! Perché il Signore, quel giorno del peccato, del primo peccato, ha preso una decisione, ha fatto una scelta: fare Storia con il Suo popolo. E Dio, che non ha Storia, perché è eterno, ha voluto fare Storia, camminare vicino al Suo popolo. Ma di più: farsi uno di noi e come uno di noi, camminare con noi, in Gesù. E questo ci parla, ci dice dell’umiltà di Dio”. Ecco allora che “la grandezza di Dio è proprio la Sua umiltà: ha voluto camminare con il suo Popolo”. E quando “il suo Popolo si allontanava da Lui con il peccato, con l’idolatria, Lui era lì ad aspettare. E anche Gesù, ha detto, viene con questo atteggiamento di umiltà. Vuole camminare con il Popolo di Dio, camminare con i peccatori; anche camminare con i superbi. Il Signore ha fatto tanto per aiutare questi cuori superbi dei farisei. Umiltà. Dio sempre aspetta. Dio è accanto a noi, Dio cammina con noi, è umile: ci aspetta sempre. Gesù sempre ci aspetta. Questa è l’umiltà di Dio. E la Chiesa canta con gioia questa umiltà di Dio che ci accompagna, come lo abbiamo fatto con il Salmo. ‘Andremo con gioia alla casa del Signore’: andiamo con gioia perché Lui ci accompagna, Lui è con noi. E il Signore Gesù, anche nella nostra vita personale ci accompagna: con i Sacramenti. Il Sacramento non è un rito magico: è un incontro con Gesù Cristo, ci incontriamo il Signore. È Lui che è accanto a noi e ci accompagna”. Il Papa spiega che Gesù si fa “compagno di cammino. Anche lo Spirito Santo ci accompagna e ci insegna tutto quello che noi non sappiamo, nel cuore e ci ricorda tutto quello che Gesù ci ha insegnato. E così ci fa sentire la bellezza della buona strada. Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo sono compagni di cammino, fanno Storia con noi. E questo la Chiesa lo celebra con tanta gioia, anche nella Eucaristia con la quarta preghiera eucaristica dove si canta quell’amore tanto grande di Dio che ha voluto essere umile, che ha voluto essere compagno di cammino di tutti noi, che ha voluto anche Lui farsi Storia con noi. E se Lui è entrato nella Storia di noi, entriamo anche noi un po’ nella Storia di Lui, o almeno chiediamoGli la grazia di lasciarci scrivere la Storia da Lui: che Lui ci scriva la nostra Storia. È sicura”. Papa Bergoglio rivela che “per conoscere Gesù, bisogna coinvolgersi con Lui. Gesù non si può conoscere in prima classe, ma nella vita quotidiana di tutti i giorni”. Il Santo Padre indica i tre linguaggi necessari per conoscere Gesù: “della mente, del cuore e dell’azione”. Chi è costui, da dove viene? Papa Francesco muove dalla domanda che Erode si pone su Gesù. “Un interrogativo che in realtà pongono tutti coloro che incontrano Gesù. È una domanda che si può fare per curiosità o si può fare per sicurezza: leggendo il Vangelo, vediamo che alcuni incominciano a sentire paura di questo uomo, perché li può portare a un conflitto politico con i Romani. Ma chi è questo che fa tanti problemi? Perché davvero Gesù fa problemi. Non si può conoscere Gesù senza avere problemi. E io oserò dire: ‘Ma se tu vuoi avere un problema, vai per la strada di conoscere Gesù. Non uno, tanti ne avrai!’. Ma è la strada per conoscere Gesù! Non si può conoscere Gesù in prima classe! Gesù si conosce nell’andare quotidiano di tutti i giorni. Non si può conoscere Gesù nella tranquillità, neppure nella biblioteca. Conoscere Gesù!”. Dov’è il Maestro? “Certo, si può conoscere Gesù nel Catechismo, perché il Catechismo ci insegna tante cose su Gesù. Dobbiamo studiarlo, dobbiamo impararlo. Così conosciamo il Figlio di Dio che è venuto per salvarci; capiamo tutta la bellezza della storia della Salvezza, dell’amore del Padre, studiando il Catechismo. E tuttavia – chiede Papa Francesco – quanti hanno letto il Catechismo della Chiesa Cattolica da quando è stato pubblicato oltre 20 anni fa? “Sì, si deve conoscere Gesù nel Catechismo. Ma non è sufficiente conoscerlo con la mente: è un passo. Ma Gesù è necessario conoscerlo nel dialogo con Lui, parlando con Lui, nella preghiera, in ginocchio. Se tu non preghi, se tu non parli con Gesù, non lo conosci. Tu sai cose di Gesù, ma non vai con quella conoscenza che ti dà il cuore nella preghiera. Conoscere Gesù con la mente, lo studio del Catechismo; conoscere Gesù col cuore, nella preghiera, nel dialogo con Lui. Questo ci aiuta abbastanza, ma non è sufficiente. C’è una terza strada per conoscere Gesù: è la sequela. Andare con Lui, camminare con Lui. Bisogna andare, percorrere le sue strade, camminando. È necessario conoscere Gesù col linguaggio dell’azione”. È la Teologia dell’Azione di Papa Francesco. “Ecco allora come si può conoscere davvero Gesù con questi tre linguaggi – della mente, del cuore e dell’azione. Se io conosco Gesù così, mi coinvolgo con Lui. Non si può conoscere Gesù senza coinvolgersi con Lui, senza scommettere la vita per Lui. Quando tanta gente – anche noi – si fa questa domanda ‘Ma chi è questo?’, la Parola di Dio ci risponde: ‘Tu vuoi conoscere chi sia questo? Leggi quello che la Chiesa ti dice di Lui, parla con Lui nella preghiera e cammina sulla sua strada con Lui. Così, tu conoscerai chi è quest’uomo’. Questa è la strada! Ognuno deve fare la sua scelta!”. Papa Francesco il 4 Ottobre sarà ad Assisi. Non per copiare il Beato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Per celebrare San Francesco, Patrono d’Italia, il dono di Dio all’umanità. Tra i santi gesti memorabili del pontificato di Giovanni Paolo II figura la Giornata di preghiera ad Assisi del 27 Ottobre 1986, quando il Concilio Vaticano II viene “incarnato” creativamente con uno stile di vicinanza antropologica senza precedenti tra le diverse religioni sulla Terra. Anche i Nativi Americani parteciparono. Il Santo Papa polacco fece fare un balzo in avanti di millenni al dialogo tra le fedi. La nuova consapevolezza di sempre fu ed è una sola: Dio non ha che una passione universale e un’unica parola da insegnare agli Uomini: la Sua Pace. Dio non può e non deve essere invocato per legittimare guerre o violenze. In nessuna religione. In nessun credo. Dal 1986, allora, Assisi non solo si è ripetuta, ma si è dilatata all’Universo intero. Il capolavoro di Giovanni Paolo II è così diventato la Benedizione per tutti perché la “forza debole” della preghiera è talmente potente di fronte a Dio, perché chiama in causa ogni Popolo, da suscitare Misericordia. Il rapporto di Benedetto XVI con Assisi e con il suo figlio più illustre, San Francesco, è personale, intimo. Se per Giovanni Paolo II, Assisi è luogo di incontro tra fedi religiose e quindi di dialogo, Papa Benedetto è affascinato dal tema della conversione di Francesco, dalla radicalità evangelica di questa figura singolare di santo nella storia della Chiesa. La lettura dei 111 discorsi e interventi dove si fa riferimento al santo di Assisi, nei primi sei anni di pontificato, cristallizza e impressiona questa verità storica. Il legame tra Papa Bergoglio e il santo di Assisi è fissato inequivocabvilmente nel nome scelto dal primo Pontefice sudamericano della Chiesa Cattolica per lo svolgimento del suo ministero petrino. È il primo Papa a scegliere il nome Francesco. Una scelta sorprendente che ha fatto discutere suscitando enormi aspettative. Papa Francesco, però, non guarda il santo di Assisi attraverso le mode di un romanticismo post-moderno che tutto giustifica e consente in nome del mercato, ma vede in san Francesco il grande riformatore della Chiesa attraverso la scelta radicale della povertà, della marginalità, della essenzialità evangelica. Amare concretamente i poveri per toccare la carne di Cristo. Se una delle espressioni più citate da Papa Francesco è “periferie” esistenziali e fisiche, con accezione larga agli ultimi, ai piccoli, non è difficile comprendere la sintonia con san Francesco che scelse come emblema del suo ordine serafico la minorità, raggiungendo tutti nella loro propria condizione per annunciare, prima con l’esempio e poi con la parola, il Vangelo che salva. Su Francesco d’Assisi la convergenza con Benedetto XVI è facilmente individuabile nell’enciclica Lumen fidei, nella quale Papa Francesco “assume il prezioso lavoro” (n. 7) del predecessore con suoi contributi. “La luce della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo. Per quanti uomini e donne di fede i sofferenti sono stati mediatori di luce! Così per san Francesco d’Assisi il lebbroso” (n. 57). Il tema della conversione, che sta molto a cuore a Benedetto XVI, si coniuga con quello dell’incontro con gli ultimi, caro a Papa Francesco. Come Giovanni Paolo II, anche Papa Bergoglio ha la chiara visione di una Pace mondiale alla quale tutte le religioni nel rispetto e nell’esercizio della propria identità – “Fede e violenza sono incompatibili” ricorda all’Angelus del 18 Agosto 2013 – possono e devono contribuire. E lo ha dimostrato indicendo una Giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria. Ascoltata da Putin, dal Presidente della Siria, dagli Usa, dall’Europa e dall’Italia. Ma l’attenzione ai poveri, alla giustizia globale, è un dato che ritorna e fa la differenza. E nella lettera del 4 Settembre scritta a Putin che presiedeva il G20, Papa Bergoglio parla della pace nel contesto di “una nuova economia in grado di consentire una vita degna a tutti gli esseri umani”. L’Economia del Credito alla Persona. Non più del debito che umilia, offende, uccide i più deboli. La Santa Madre Russia cristiana ha raccolto questa sfida impegnativa ed affascinante sul piano scientifico e politico. Nel viaggio ad Assisi di Papa Francesco non potrà non risuonare ancora una volta il melodioso cantico: “Francesco, va’ e ripara la mia casa!”. Perché è in rovina. Quell’armoniosa preghiera celeste che da 800 anni scalda il cuore di milioni di giovani nel Mondo. Sul lungomare di Copacabana, lo scorso 27 Luglio 2013, insieme al richiamo alla radicale scelta di povertà spirituale che ha reso Francesco fratello universale delle creature celesti, all’ultimo posto e per questo vicino a tutti, Papa Francesco ha chiaramente fatto intendere chi è il “propulsore” del santo di Assisi: Cristo Re dell’Universo, il “distruttore” dei nostri peccati. Il Salvatore del mondo. “Preghiamo veramente? Senza un rapporto costante con Dio, è difficile avere una vita cristiana autentica e coerente”. Dio benedica e salvi l’Italia.
© Nicola Facciolini
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