Il 9 ottobre 2013 ricorrono 50 anni dalla strage del Vajont. Per chi non ricordasse o non conoscesse la vicenda ricordiamo in breve l’accaduto.
Il 9 ottobre 1963, alle ore 22,39, una frana dal volume di centinaia di milioni di metri cubi si stacca dal Monte Toc (provincia di Pordenone) riversandosi nel bacino artificiale formato dalla diga del Vajont, da poco costruita. Dal lago si solleva una prima ondata che danneggia i paesi di Erto e Casso (PN), sulla sponda opposta alla frana, e distrugge alcune frazioni dell’omonimo comune. Una seconda ondata, stimata in 50 milioni di metri cubi d’acqua, supera la diga e precipita nella stretta gola del torrente Vajont; lo spostamento d’aria provocato dalla velocità dell’acqua e poi l’ondata stessa radono al suolo letteralmente il paese di Longarone (BL) con molte sue frazioni e danneggiano altri centri vicini. L’acqua si riversa anche nel fiume Piave provocando una grande piena. Al posto dei paesi colpiti resta soltanto una distesa di acqua e fango dalla quale emergono poche rovine; a Pirago, frazione di Longarone, rimane in piedi soltanto il campanile della chiesa. Le vittime sono quasi 2000.
Oltre ad essere una catastrofe di portata nazionale e internazionale, la vicenda del Vajont riguarda indirettamente anche la nostra città: è a L’Aquila infatti che, tra il 1968 e il 1970, si svolsero i processi di primo grado e d’appello relativi alle responsabilità del disastro.
Dopo 50 anni la vicenda del Vajont insegna ancora molto, o almeno dovrebbe. Tra le tante cose, l’importanza di tener conto della storia e della toponomastica locale quando si pianifica e si interviene in un territorio, coinvolgendo e ascoltando le comunità interessate. Le popolazioni del Vajont erano contrarie alla costruzione della diga in quella zona perché il Monte Toc era noto per la sua instabilità: numerose frane si erano verificate nei secoli e negli anni precedenti al disastro, la più recente nel 1960; il toponimo ‘Toc’, nel dialetto locale, equivale nello specifico a ‘toccato’, ‘fradicio’, proprio in riferimento alla franosità della montagna, tanto che su quel lato della valle non si era mai costruito e i terreni venivano utilizzati per l’agricoltura e i pascoli.
La ricostruzione di Longarone cercò di essere il più rispettosa possibile della tradizione locale, pur dovendo riedificare il paese quasi ex novo; si evitarono soluzioni eccessivamente ‘moderniste’ e astratte e, pur nel moderno di sostanza, si adottarono moduli, dimensioni e profili più vicini alla tradizione edilizia locale, in particolare nelle zone del paese storicamente più significative.
Dal 2011 Longarone ha stipulato un patto di amicizia con L’Aquila, motivo in più per cui ci auguriamo che la nostra città, il prossimo 9 ottobre, ricordi il disastro sia a livello istituzionale, come Comune amico, sia come comunità, dedicando un piccolo spazio al racconto del Vajont durante le lezioni scolastiche.
Archeoclub d’Italia – Sede L’Aquila
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