Stavolta il pronostico è stato rispettato ed il Nobel per la Fisica è andato a Higgs e Englert, che hanno previsto, indipendentemente, l’esistenza della particella che permette l’esistenza della massa e che è stata verificata nella realtà lo scorso anno al Cern di Ginevra, nel corso di un esperimento che ha coinvolto anche i laboratori dell’Istituto di Fisica Nucleare del Gran Sasso. Peter Higgs, scozzese, 84 anni, è ancora professore emerito della Università di Edimburgo, mentre Francois Englert è docente presso l’Università di Bruxelles.
Ci sono voluti quasi 50 anni perché l’ipotesi formulata da Higgs prima e da Engelert poi fosse confermata sperimentalmente e, alla fine, l’Accademia di Svezia ha dovuto attribuire un premio che forse i due ricercatori meritavano molto prima.
Definita “la particella di Dio”, il bosone, dal nome del fisico Satyendra Nath Bose, il bosone di Higgs è una particella che obbedisce alla statistica di Bose-Einstein e con i fermioni è una delle due classi fondamentali in cui si dividono le particelle, ma, mentre i fermioni hanno spin semi-intero ed obbediscono al principio di esclusione di Pauli (secondo il quale un singolo stato quantico non può essere occupato da più di una particella), i bosoni sono liberi d’affollare in gran numero uno stesso stato quantico.
La sua importanza è quella di essere portatore di forza del campo di Higgs, che secondo la teoria permea l’universo conferendo la massa alle particelle elementari.
Il 13 dicembre 2011, in un seminario presso il Cern, veniva illustrata una serie di dati degli esperimenti ATLAS e CMS, coordinati dai fisici italiani Fabiola Gianotti e Guido Tonelli, che individuavano il bosone di Higgs in un intervallo di energia fra i 124 e 126 GeV con una probabilità prossima al 99%.
Il 5 aprile 2012, nell’anello che corre con i suoi 27 km sotto la frontiera tra Svizzera e Francia, veniva raggiunta l’energia massima mai toccata di 8 000 miliardi di elettronvolt e gli ulteriori dati acquisiti permettevano di raggiungere la precisione richiesta di 5 sigma e l’annuncio da parte del CERN, il 4 luglio 2012, della scoperta di una particella compatibile con il bosone.
Nell’agosto dello stesso anno, i neutrini lanciati dal Cern di Ginevra verso i Laboratori del Gran Sasso arrivano a destinazione prima della luce, confermando l’esistenza del bosone e la validità della teoria di Higgs.
Come scrisse nel 2011 Lucia Tancredi, scoprire il bosone di Higgs non è una questione semplice, nemmeno avendo a disposizione un acceleratore di particelle potente come l’LHC. Innanzi tutto la probabilità di produrre un bosone di Higgs in collisioni tra protoni nell’LHC è terribilmente bassa. Per avere una probabilità ragionevole di creare almeno un singolo bosone di Higgs è necessario produrre varie decine di miliardi di scontri tra protoni. In altre parole, è più probabile trovare un singolo individuo tra tutti gli abitanti della terra che il bosone di Higgs nelle collisioni dell’LHC. In realtà la situazione è ancora peggiore. Infatti, appena creato, il bosone di Higgs si disintegra rapidamente, vivendo mediamente un millesimo di miliardesimi di miliardesimi di secondo. La sua esistenza è così breve che nemmeno gli avanzatissimi strumenti dell’LHC sono in grado di rivelarla direttamente.
Senza gli esperimenti del CERN e dei Laboratori del Gran Sasso, i fisici avrebbero dovuto procedere a tentoni, per così dire, proscciugando il lago di Loch Ness per scoprire se dentro c’è davvero Nessi.
Invece, grazie agli studi teoretici di Higgs e di Englert e agli esperimenti del CERN iniziati fin dal 2008 (con “armi da fine del mondo” come hanno deto gli scenziati Walter Wagner e Luis Sancho, come LHC, capsce di produrre buchi neri tanto grandi da inghiottire prima Ginevra e poi il mondo intero), oggi tutti i libri di testo possono finire in archivio e si può cambiare il cosidetto “modello standard” grazie alla scopeta del bosone e grazie alla prossma dimostrazione (si spera in tempi non troppo lunghi), delle particelle supersimmetriche dette “Susy”, che potrebbe spiegare la materia oscura e di massa abbastanza elevata da non poter essere state prodotte finora artificialmente.
Vengono in mente le riflessioni di Giacomo Scarpelli e Stefano Velotti, nella perefazione al volume (edito da Bulzoni nel 2009): “ Storia universale della natura e teoria del cielo,”di Immanuel Kant, in cui il grande filosofo della ragione, della cfritica e del giudizio, citando il saggio: “Storia universale della natura e teoria del cielo ovvero Saggio sulla costituzione e sull’origine dell’intero universo secondo i principi newtoniani” è pubblicato anonimo nel 1755, a Koenigsberg, parla da uomo a uomo e invita (se stesso e) il suo stimato “Signore / Federico / Re di Prussia” (a cui l’opera è dedicata) ad andare avanti e oltre sulla strada della scienza (come dice Newton) e della saggezza (come suggerisce Pope), senza separarli e senza assoggettare l’una all’altra.
Da convinto propugnatore dell’umanesimo anche nella scienza, mi vien fatto di avverire di non confondere ora Galileo con Kant, “come va il cielo” con “come si va in cielo” e di rammentare (come fece Hegel, ne “Le orbite dei pianet”, nel 1801), di ricordare che Kant non stravolge la lezione di Keplero (che aveva a pieno la vittoria di Galilei, con un più che significativo “Vicisti, Galilaee!”), ma ne riprende la vecchia indicazione di coniugare geometria platonica e Santissima Trinità cattolico-imperiale.
Sicché alla luce di questa lezione e del bosone detto “particella di Dio”, che affolla ogni luogo ed ad ogni cosa da forma e massa, penso all’Anima del Mondo, con un Dio che si è riconciliato con l’universo e , con se stesso, e ora parla “da solo a solo”, come già il giovane Holderlin, ma anche con l’uomo risvegliatio, con l’Uomo Supremo di Emanuel Swedenborg, con l’uomo che concepisce versi come: “La gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra, e risplende / in una parte più e meno altrove” – e chiude la sua opera eccelsa con: “L’amore che muove il Sole e le altre stelle”; tanto da far dire a Arthur O. Lovejoy, ne: “La Grande Catena dell’ Essere” (“The Great Chaim of Being. A Study of a Histoy of an Idea”, del 1936). Che la “storia universale della natura è la teoria del cielo”; ovvero, come nella Tavola Smerardila,che “come in alto così in basso” o di credere che davvero Ermete Termegisto fosse il “senza errore né menzogna”.
Una traduzione di Isaac Newton, della Tavola Smerardina, che si trova tra le sue carte alchemiche dice: “Questo testo è vero e senza menzogna. Ciò che è in basso è come ciò che è al di sopra e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli del tutto. E come tutte le cose sono state fatte da una, per la mediazione dell’uno: così tutte le cose sono nate da questa cosa unica sono per adattamento. Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre. Il vento ha portato nel suo ventre, la Terra la sua nutrice. Il padre di ogni perfezione in tutto il mondo è qui. La sua forza o potenza è intera se essa è convertita in Terra.
Separerai la terra dal fuoco, il sottile dallo spesso dolcemente e con grande abilità.
Sale dalla terra al cielo, nuovamente discende in terra e riceve la forza delle cose superiori e inferiori.
In questo modo avrete la gloria di tutto il mondo e l’oscurità fuggirà da te. La sua forza è soprattutto la forza, perché vince ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida. Così è stato creato il mondo. Da questo sono e non sono adattamenti mirabili che, i mezzi (o di processo) sono in questo. Quindi io sono stato chiamato Ermete Trismegisto, avendo le tre parti della filosofia di tutto il mondo. Ciò che ho detto dell’operazione del Sole è compiuto e terminato”.
Il rabbino L. Jesboama, in un testo tratto dal trattato “PRO SCHOLA”, edizione fuori commercio del 1975 della Casa Editrice Universale di Roma, ci rammenta (con molte dotte citazioni a partire da Plutarco), che ogni conoscenza profonda è conoscenza alchemica, trasformativa e che l’Alchimia, sintesi di scienza e di filosofia, è, come la Genesi Mosaica, figlia della Cabbala Caldea, ed in tutte le significazioni alchimiche, bibliche e cabbalistiche si rinvengono e tracce della famosa Decade Pitagorica, così egregiamente applicata nel Sepher Yezirah alla nozione completa ed assoluta del mondo superiore o divino; decade composta dell’unità e di un triplice ternario (1 + 3 + 3 + 3 = 10) e che i Rabboni ossia i Rabbini, Maestri Ebraico-Esseni, hanno chiamato il Bereschit e la Mercavah, L’albero luminoso dei Sephirotti e la Chiave dei Semhamphoras, dove una “particella” divina da forma ad ogni cosa visibile.
Carlo Di Stanislao
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