“Naturalmente il tema di maggiore delicatezza è stato rappresentato dalla rivisitazione della forma di governo, ma ha visto registrare opinioni differenti ma anche importanti presupposti comuni nella diagnosi dei problemi. La Commissione è stata unanime nel segnalare la necessità di introdurre quegli elementi di razionalizzazione e di stabilizzazione della nostra forma di Governo che i costituenti, pur ritenendoli necessari, non poterono adottare per la presenza di vincoli politici interni ed internazionali. Si tratta di meccanismi istituzionali che assicurino all’Esecutivo maggiore stabilità ed effettiva capacità decisionale, favorendo al contempo l’autorevolezza del Parlamento e l’efficacia della sua azione. A tal fine, le due principali opzioni discusse in tema di forma di governo sono state la forma di governo parlamentare razionalizzata e il semipresidenzialismo”. Così il Ministro delle Riforme, Gaetano Quagliariello nel corso della sua informativa alla Camera dei Deputati sul lavoro dei saggi.
“I diversi auspici sui quali ciascuna di esse si fonda sono richiamati nelle premesse della Relazione. Nel primo caso si confida che i partiti politici siano in grado di superare l’attuale crisi e di tornare a svolgere correttamente una funzione di collegamento tra la sfera della società civile e quella delle istituzioni politiche, in un quadro costituzionale da rinnovare ma che conservi i necessari elementi di flessibilità propri della forma di governo parlamentare. La seconda linea, invece, presuppone che i problemi possano risolversi innanzitutto con la creazione di istituzioni a investitura popolare diretta e l’eliminazione dei troppi poteri di veto, anche come presupposto della rigenerazione del sistema dei partiti. In particolare, i componenti della Commissione che hanno sostenuto la forma di governo semipresidenziale ritengono che questo modello istituzionale riesca più e meglio del tradizionale modello parlamentare a garantire unità, stabilità, continuità, flessibilità, responsabilità. Nel sistema semipresidenziale, infatti, è l’elezione del Presidente – quindi la scelta di una persona – che dà unità al sistema politico. Il semipresidenzialismo assicurerebbe dunque continuità (la durata in carica del Capo dello Stato è fissata in Costituzione e non può essere abbreviata), stabilità (in quanto il sistema elettorale crea maggioranze sufficientemente coese), flessibilità (che si consegue sostituendo il Primo Ministro, per sedare tensioni politiche e per rispondere a esigenze manifestate nell’opinione pubblica), nonché, aspetto certo non trascurabile, l’individuazione del vincitore. Il modello semipresidenziale, inoltre, presenterebbe un significativo “tasso di innovazione” che potrebbe essere particolarmente gradito all’opinione pubblica. Per quanto concerne i limiti derivanti dalla mancata presenza di una figura neutrale al vertice dello Stato, spesso invocati dagli oppositori di qualunque evoluzione in senso semipresidenziale della nostra Repubblica, si è sottolineato come potrebbero essere superati con adeguati meccanismi e contrappesi idonei a fugare i timori di derive plebiscitarie, considerando anche che l’inserimento di gran parte delle democrazie del vecchio continente nella trama istituzionale dell’Unione Europea rappresenta il più efficace antidoto contro i rischi di abuso del potere della maggioranza. A tale riguardo vorrei inoltre rilevare come l’argomento del ruolo neutrale e di garanzia del Capo dello Stato non sia in realtà ancorato a solide basi storiche e giuridiche. Il Presidente della Repubblica non venne affatto disegnato dai padri costituenti italiani come figura neutra, quasi notarile, priva di poteri di natura politica. Egli dispone infatti di alcuni poteri spiccatamente politici: dal potere di autorizzare la presentazione in Parlamento dei disegni del Governo al potere di rinviare al Parlamento le leggi approvate dalle Camere, fino al penetrante potere di intervento nella risoluzione delle crisi politiche, eventualmente decidendo di sciogliere le Camere. Il punto è semmai comprendere fino a che punto i Presidenti che si sono succeduti abbiano esercitato i poteri che la Carta fondamentale riconosce”.
Continua il Ministro: “Non c’è dubbio che nei primi decenni di storia repubblicana i Presidenti hanno fatto un esercizio assai misurato di tali poteri. In quel periodo la presenza di un sistema di partiti forte, strutturato e pervasivo rispetto alla dialettica istituzionale, ha posto in secondo piano la funzione di indirizzo politico generale che la Costituzione indubitabilmente assegna al Presidente della Repubblica. Ma non è un caso che non appena i partiti sono stati interessati dal vento del cambiamento e, da ultimo, sono stati travolti dalla tempesta dell’”antipolitica”, il ruolo del Presidente sia tornato a espandersi pienamente, rendendo chiara a tutti la natura intrinsecamente politica della sua funzione. Sotto l’altro punto di vista, i sostenitori della forma di governo parlamentare razionalizzata muovono da un’analisi solo parzialmente coincidente con quella appena espressa. Essi osservano infatti che sul piano istituzionale non vi è un fenomeno di endemica debolezza dell’Esecutivo, quanto piuttosto di complessivo squilibrio e confusione nei rapporti fra Esecutivo e Legislativo. Il deficit di capacità decisionale effettiva del sistema politico-istituzionale deriverebbe per lo più da altri fattori: sul piano politico dai conflitti all’interno delle maggioranze, e soprattutto, sul piano attuativo, dai caratteri assunti dalla dimensione amministrativa, che non dipendono dalla forma di governo, ma dalla debolezza del “comando” politico e dal moltiplicarsi delle sedi di influenza degli interessi particolari o corporativi; aspetti, questi, su cui appaiono decisivi i processi di effettiva riforma dell’amministrazione. Il governo parlamentare avrebbe inoltre il pregio di assicurare l’omogeneità di indirizzo generale fra Esecutivo e Legislativo nell’ambito di un sistema equilibrato e flessibile, capace di funzionare in presenza di contesti politici diversi e di adattarsi alle circostanze senza esasperare i motivi di tensione. Il presupposto di fondo è che le elezioni determinino un Parlamento nel quale si esprime una maggioranza corrispondente all’opinione prevalente nell’elettorato, che a sua volta esprime un Governo sulla base di indirizzi programmatici coerenti ed espliciti. Da questo punto di vista, i sostenitori di tale modello sottoneano l’importanza di una sistema elettorale che contemperi le istanze di rappresentatività con l’esigenza di facilitare convergenze ed evitare l’eccesso di frammentazione partitica. Gli eventuali mutamenti di Governo durante la legislatura rispondono al costituirsi di nuovi indirizzi della maggioranza o al formarsi di una diversa maggioranza esplicita; mentre in assenza di tali condizioni lo scioglimento anticipato della Camera (da configurare come prerogativa “duale”, che richiede il concorso di Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio) consente di risolvere la crisi con il ricorso all’elettorato. Il corretto funzionamento del sistema e l’equilibrio fra le ragioni di conflitto e le ragioni di unità sono garantite dalla figura di un Presidente della Repubblica dotato di poteri di controllo, di coordinamento e di influenza legittimati dalla sua posizione super partes, che gli consentono altresì di operare un raccordo con gli altri poteri propriamente di garanzia (potere giudiziario e organo di giustizia costituzionale) nel rispetto dell’equilibrio costituzionale e dell’indipendenza reciproca dei poteri. Naturalmente anche la prospettiva del parlamentarismo razionalizzato, come dimostra l’esperienza comparata, può essere in grado di soddisfare le esigenze di stabilità dei Governi e di coerenza degli indirizzi politici. Ciò a condizione che rispetto al modello del parlamentarismo puro vengano introdotti degli efficaci fattori di “razionalizzazione”, quali: la riserva alla sola Camera del compito di dare e revocare la fiducia al Governo, con il vincolo della mozione di sfiducia costruttiva, approvata a maggioranza assoluta; il rafforzamento del vincolo fiduciario col Parlamento, attribuendo esplicitamente al Governo idonei poteri nell’ambito del procedimento legislativo che gli garantiscano tempi certi per le deliberazioni parlamentari rilevanti ai fini dell’attuazione del programma; il rafforzamento della posizione di primazia rivestita dal Presidente del Consiglio nell’ambito del Governo; la disciplina dello scioglimento della Camera secondo linee di chiarezza e responsabilità. Ma il lavoro della Commissione non si è limitato solo ad un approfondimento delle due principali forme di governo presenti in Europa. Nello sforzo di esaltare gli elementi di analisi e di proposta condivisi e di giungere per quanto possibile a una sintesi, la Commissione ha approfondito anche una terza ipotesi volta a coniugare le istanze organizzative e di radicamento sociale della politica con le esigenze di efficienza e di stabilità, preservando al contempo il ruolo di garanzia e di arbitrato del Presidente della Repubblica e restituendo al Parlamento funzioni e responsabilità perdute. Si tratta della proposta di “forma di governo parlamentare del Primo Ministro”, diretta a far emergere dalla consultazione elettorale non solo una chiara maggioranza parlamentare ma anche l’indicazione del Presidente del Consiglio, in modo da incorporare la scelta del leader nella scelta della maggioranza. Tale opzione si prefigge di coniugare i vantaggi del modello semipresidenziale con quelli propri di un regime di tipo parlamentare, attraverso un connubio fra meccanismi costituzionali e regole elettorali tale da favorire l’affermazione di quel modello “Westminster” che l’Italia vanamente insegue da vent’anni. Esso consentirebbe alla forma di governo parlamentare di stabilizzarsi, al corpo elettorale di scegliere veramente non solo chi li rappresenterà in Parlamento ma anche chi eserciterà la funzione di governo, e a un Governo così fortemente legittimato di guidare effettivamente i processi istituzionali e quindi di realizzare la sua funzione. In questo modello, a una legge elettorale da cui emerga la chiara indicazione del partito (o della coalizione) vincente e del leader che guiderà il Governo, sono associati meccanismi incisivi di stabilizzazione e razionalizzazione del governo parlamentare che riguardano sia la fase genetica del Governo (attraverso il rafforzamento del premier al momento della nomina dei ministri e dell’ottenimento della fiducia parlamentare), sia l’attività del Governo durante il suo mandato (con il rafforzamento dei poteri del Governo in Parlamento, ad esempio rispetto alla formazione dell’ordine del giorno), sia la fase delle crisi politiche (con meccanismi di sfiducia costruttiva e di richiesta di ricorso anticipato alle urne che rappresentano i migliori antidoti contro le degenerazioni del parlamentarismo). Così configurata, la forma di governo parlamentare del Primo Ministro rappresenta una variante del modello semipresidenziale, rispetto alla quale conserva la funzione di garanzia e di interprete delle emergenze propria del Presidente della Repubblica. E l’analogia fra semipresidenzialismo e forma di governo del primo ministro è confermata dal fatto che il sistema elettorale che meglio si adatterebbe a tale modello è quello che prevede, dopo lo svolgimento del primo turno, un ballottaggio fra i primi due partiti o coalizioni, ciascuno dei quali indicherebbe il proprio candidato per la carica di Primo Ministro, il quale quindi otterrebbe dalla consultazione elettorale una legittimazione diretta”.
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