Dopo il tradimento con la pornodiva Michelle McGee e altre scappatelle del marito Jesse James, venute scandalisticamente alla luce nel 2010, adesso Sandra Bullock, una delle attrici, registe e doppiatrici più celebri e apprezzate di Hollywood, dichiara di “non avere più bisogno di uomini” , con, sulle pagine della rivista National Enquirer, una amica a spiegare: “ “Sandra ha imparato nel modo più duro che non si può dipendere dagli uomini nella propria vita. Evidentemente la sofferenza inflittagli dall’esperienza l’ha resa più forte e sicura di sé, comprendendo che pur sentendosi sola, a volte, è sicuramente meno doloroso dell’avere il cuore spezzato”.
Divenuta celebre con “Speed” , “Un amore tutto suo”, “Crash – Contatto fisico” e “Premonition”, la Bullock ha avuto la consacrazione nel 2005, anno in cui si è guadagnata una stella sulla Hollywood Walk of Fame e, dopo 20 anni di carriera, ha riceveto, nel fatidico anno del tradimento, il 2010, il premio Oscar come miglior attrice per la sua interpretazione nel film “The Blind Side”.
Protagonista (insieme a George Clooney) del film “Gravity”, campioni di incassi di queste settimane, sta ora lavorando al film comedy “The Heat 2”, con una storia che ruota intorno al rapporto di lavoro non proprio facile tra un agente donna dell’FBI e un non convenzionale squadra di poliziotti al femminile.
La dichiarazione della Bullock mi offre il destro per una riflessione sul conflitto uomo-donna, divenuto esplosivo in questi anni, che sfocia in gesti di violenza inusitata ed in femminicidi che sembrano senza fine.
Come ha scritto Mariacandida Marzilli, ancora oggi molte madri riservano ai propri figli maschi, trattamenti privilegiati rispetto alle figlie, si mostrano più permissive, sono predisposte a proteggerli e a giustificarli su tutto. E’ facile così per questi figli scivolare in quella dipendenza emotiva che, in qualche modo, ostacola o addirittura congela il raggiungimento della propria autonomia. Per gli uomini possono così crearsi delle difficoltà sulla via dell’emancipazione (non nella sfera economica ma in quella intima, dove è richiesta
libertà interiore e la capacità di fare a meno del consenso e del giudizio degli altri).
Un problema aggiuntivo ed attuale è che le donne, scavalcando i limiti culturali, hanno cominciato in tempi più recenti a competere con gli uomini, si attivano per fare tutto quello che fanno gli uomini, hanno acquisito un senso critico che, inevitabilmente, deforma l’immagine maschile (facendo
emergere aspetti meno idealizzati) e soprattutto hanno cominciato a rifiutare quel “ruolo” di spalla e sostenitrice dell’uomo. Il risultato è che gli uomini trovano maggiori difficoltà a conservare potere e credibilità agli occhi dell’altro sesso e perdono progressivamente quella posizione privilegiata di cui spesso godevano in passato nel rapporto con la partner.
Così gli uomini, di fronte a questo nuovo, assertivo femminile, tentano di rimanere a galla instaurando nuove esperienze relazionali, creandosi così attorno altre occasioni per godere di consenso, ammirazione e sostegno femminile. Il tempo passa, il bisogno di “conferme” e di ricostruire un’immagine unitaria di sè si fa più intenso e in questi casi sono frequenti le relazioni con donne più giovani. Convincersi di
valere perché ci si rispecchia negli occhi di qualcuno che ci idealizza e non è in grado di vederci in quella che è la nostra verità, è segno di grande vulnerabilità e debolezza: c’è il pericolo di perdere il contatto con la realtà e di allontanarsi definitivamente dai propri bisogni autentici e, soprattutto, dalla conoscenza di sé.
Due anni fa, proprio in questi giorni, uscì un libro che ha avuto grande successo: “Gli uomini vengono da Marte da Marte le donne da Venere”, del guru della coppia John Gray, in cui ci veniva ricordato che sebbene diversi, uomini e donne possono comprendersi e dialogare imparando a riconoscere ed apprezzare le differenze, a capire fino in fondo che: “Il cuore di un uomo si apre quando riesce a gratificare una donna. (…) Il cuore di una donna si apre quando sente di ricevere il sostegno di cui ha bisogno”.
Oppure potremmo ricordare la frase meno sdolcinata di Helen Cox, scritta nel libro: “Women in Bushfire Territory”: “Nel loro vitale ma sconosciuto ruolo, le donne riparano il tessuto delle loro comunità,
mentre gli uomini ricostruiscono le strutture”.
Comunque, ancora oggi, anzi soprattutto oggi, la reazione maschile alla crescita di consapevolezza femminile è la violenza o l’abbandono; sicché se la risposta “sbagliata” di una donna può essere, come nel caso della Bulock, la rinuncia, quella dell’uomo passa per la forza e la volontà di sottomissione.
Un problema di cui si discute poco, inoltre, è quello legato all’aumento e alla diversificazione dei rischi di povertà al femminile che non comporta necessariamente una maggiore visibilità della stessa dato che, al contempo, agiscono importanti meccanismi di occultamento: la povertà che colpisce le donne “rimane un fenomeno oscuro, difficilmente rilevabile e spesso ancora invisibile”, come ha scritto nel 2000 Elisabetta Ruspini, che ha anche rilevato scientificamente come la natura dei problemi di povertà, disagio, esclusione sociale delle donne sia diversa da quella degli uomini, perché diversi sono i fattori che concorrono direttamente a determinare gli stati di deprivazione.
C’è poi il femminicidio e la violenza sulle donne, con 66 vittime dall’inizio dell’anno e l’ultimo episodio avvenuto ieri a Vigonovo, in un laboratorio calzaturiero, dove un uomo di nazionalità cinese ha cosparso la faccia della consorte di collante industriale e poi ha appiccato il fuoco.
Mi viene in mente la vicenda di Zarin, una giovane prostituta fra le protagoniste del film “Donne senza uomini” di Shirin Neshat, Leone d’Argento nel 2009, che si rende tragicamente conto che non riesce più a vedere i volti degli uomini, perché oggetto o testimone di infinite violenze.
Il giardino islamico, più volte rappresentato nel film, si lega all’immagine dell’oasi ed è al contempo metafora del Paradiso e appagamento dei sensi. Quale immagine della creazione divina, è perfetto e geometrico; al di fuori di esso si oppone la natura selvatica, ostile al credente. La sua forma geometrica deriva dal giardino persiano ed è suddiviso dai corsi d’acqua in quattro zone regolari, con i fiumi convergono al centro in una fontana o in un laghetto; una rete di canali minori si alterna ad alberi da frutto ed aiuole fiorite. Esso è inoltre circondato da un alto muro che, in questo modo, lo esclude e distacca dal resto del mondo. Il giardino è, quindi, contemporaneamente un luogo reale e ideale. Come in latino abbiamo l’hortus conclusus ed in greco chórtos e hórtos, così anche il persiano pairidaeza possiede il significato di spazio delimitato, di luogo protetto nel quale è possibile, in solitudine e attraverso la meditazione, avvicinarsi a Dio. Ma per farlo occorre essere in due: un uomo e una donna, perché solo così la geometria risulta completa.
Milton, nel suo “Paradiso perduto”, si convince che ciò che fa fallire l’ambizioso progetto di Satana è il fatto che egli separi l’uomo dalla donna creando una umanità divisa e a sua immagine, con uomini e donne in conflitto perenne e che sono in un’incessante lotta intellettuale, senza alcuna abilità di pensare adottando imnvece un’ottica morale e rappacificatrice.
Platone, nel suo “Simposio”, immagina che prenda la parola il commediografo Aristofane, il quale esprime la sua opinione sull’amore narrando un mito. Un tempo – egli dice – gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione.
L’isolamento, la separazione, il conflitto fra uomini e donne non possono mai essere una soluzione.
Ed invece di attenuarsi il conflitto aumentata. Come e ha scritto di recente le Monde fa, esiste un nuovo movimento fatto di uomini che chiedono di partecipare e pretendono pari diritti rispetto alle donne. Sono convinti che la società ormai favorisca la componente femminile, incominciando dalla scuola e poi, andando avanti, nel lavoro e nella coppia. È il “mascolinismo”, termine che nella saggistica anglosassone, ma ora anche in quella francese, dovrebbe equivalere al femminismo: un movimento di lotta di eguaglianza ed emancipazione e di fatto di conflittualità dura e netta separazione.
La vita nasce e si moltiplica dalla differenza di due poli basata sull’attrazione di alcune caratteristiche ritenute fondamentali per la completezza del nostro essere. Jung, analizzando i bisogni dell’inconscio, rileva che nell’altro ricerchiamo ciò che ci appartiene e che avvertiamo come nostro e con la definizione di “logica” o Logos dal greco, garantisce una collocazione al principio maschile attribuendogli la capacità di individuare, discernere, applicare e dare forma nel senso pratico, ad un pensiero.
Al principio femminile viene assegnato un significato ancestrale riferito all’Eros legato per immagini e contenuti all’amore universale, all’amore madre-figlio, all’unità con il tutto indivisibile con la Natura.
Questi due principi, straordinariamente insiti nella sfera del profondo convivono quali archetipi e permettono agli umani, maschi e femmine, di potersi incontrare su piani inconsci che ricondotti sul piano materiale creano un’assonanza unica e irripetibile.
Con Hilmann, poi, abbiamo compreso (o avremmo dovuto farlo), come ciascuno ha bisogno di trovare, prima in se stesso, sia l’Anima che l’Animus, per poi riferilo all’altro (o altra), per realizzare il processo di individuazione per divenire interi – in cui questi elementi riaffioreranno per manifestarsi attraverso le esperienze con l’altro sesso, e soprattutto per completarsi.
Vanno rispettate le prerogative we le differenze, biologiche, emotive, comportamentali ed archetipiche, quelle che Milton già esprime nel suo poema dove, secondo Willian Blake Eva, a differenza di Adamo, non è desiderosa di apprendere, perchè non è compito del femminile andare in cerca della conoscenza in modo indipendente, riservando al maschile un ruolo razionale e alla coppia la potenza di umana unità, in cui le due parti sono a reciproco completamento; sicché la caduta, diviene felix culpa che deve indurci a riunirci nel corso della vita.
Le antiche tradizioni ci corrono in aiuto, a partire da quelle astrologiche (molto ben rappresentate in I misteri della donna di M.E. Harding, edito da Astrolabio nel 1973), dove Sole e Luna rappresentano le due polarità basilari; il primo la polarità attiva, sil maschile yang che e corrisponde alla necessità di realizzarsi e costruirsi il futuro trovando una sua collocazione visibile e autentica nella società; mentre l’altra, lo yin femminile e lunare, amplifica la ricettività e si relaziona intimamente con i sentimenti, i quali rappresentano la parte dell’essere umano più fantasiosa, empatica e sognatrice, ma anche quella che misteriosamente ciclicamente si rinnova.
Sicché, come ci dicono alchimisti e cabalisti, ma anche psicoterapeuti e uomini di conoscenza, solo lavorando su se stessi, imparando ad amare ciò che di noi non ci piace che si apprende a trasformare l’immagine negativa che ci siamo costruita negli anni, ed a riconciliare il maschile e il femminile dentro di noi e non aggredirlo, distruggerlo, annientarlo o separarlo, come se fosse questo il gesto di una compiuta maturazione.
Carlo Di Stanislao
Lascia un commento