Suicidi: necessario sconfiggere atteggiamenti che favoriscono stigma

Sono in aumento le persone omosessuali che chiedono aiuto al servizio di prevenzione del suicidio dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma. L’ultimo episodio tragico, risale alla notte di sabato a Roma, quando un ragazzo di 21 anni si è gettato da un palazzo a Porta Maggiore. Ma le richieste di intervento sono sempre di più e nella […]

Sono in aumento le persone omosessuali che chiedono aiuto al servizio di prevenzione del suicidio dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma. L’ultimo episodio tragico, risale alla notte di sabato a Roma, quando un ragazzo di 21 anni si è gettato da un palazzo a Porta Maggiore. Ma le richieste di intervento sono sempre di più e nella maggior parte dei casi si tratta di giovani adulti tra i 20 e i 35 anni. C’è chi non regge il peso di non essere accettato in famiglia, chi sente su di sé il giudizio degli altri a scuola o a lavoro, e chi non riesce a vivere liberamente la vita di coppia. E, infine, chi si sente discriminato. A sottolinearlo è Maurizio Pompili, psichiatra e responsabile del servizio al Sant’Andrea, uno dei maggiori centri in Italia specializzati sul tema. “Anche se dati certi non sono ancora disponibili, l’esperienza del nostro servizio ci dice che questi casi sono in aumento. E la letteratura internazionale sottolinea sempre più spesso che il legame tra omosessualità e suicidio è causato dalla discriminazione che la comunità gay sente su di sè. Alla base del suicidio c’è infatti una sofferenza psicologica e mentale, che diventa insopportabile, se la persona è vessata e derisa”. Le cause che portano alla decisione di togliersi la vita sono molteplici, spiega ancora Pompili: “come tutte le fattispecie il suicidio ha una natura multifattoriale. Il soggetto suicida accumula più degli altri, perché magari ha una famiglia poco accogliente, o si scopre gay e si sente discriminato -aggiunge – Ma il fattore sociale e ambientale ha un ruolo determinante. Ci sono poi altri motivi: come la difficoltà di adeguarsi a determinati standard dettati dalla società o dalla componente familiare. O ancora fattori genetici: fermo restando che non esistono ‘geni del suicidio’ -sottolinea -in alcuni soggetti c’è la predisposizione a sviluppare comportamenti depressivi”.
Chi si rivolge al Sant’Andrea sempre più spesso evidenzia “la tragicità di vivere il quotidiano -aggiunge Pompili -. Oggi il problema è alla ribalta per i fatti di cronaca, ma noi riceviamo continuamente richieste. Uno dei problemi principali è legato alla difficoltà delle famiglie ad accettare l’omosessualità dei figli, che diventa un peso insopportabile per i ragazzi giovani e adolescenti. C’è poi chi ha problemi di coppia, perché il partner non riconosce la situazione di crisi del suo compagno. E infine, il problema dello stigma -continua Pompili -. La cosa più difficile in questi casi è chiedere aiuto per un problema che nasce da una condizione che si vuole nascondere”.
Quello che si dovrebbe fare, secondo l’esperto del Sant’Andrea è “sconfiggere gli atteggiamenti culturali e i luoghi comuni che favoriscono lo stigma”. E mentre si rianima il dibattito sulla legge contro l’omofobia secondo Pompili “sarebbe utile “una posizione del governo su questi temi, Soprattutto per mettere dei punti fermi sulla questione. Anche se la legge non basta -aggiunge – anche se venisse approvata domani, i retaggi culturali sono talmente duri a cambiare che serve di certo una visione culturale diversa”. Nel quotidiano, invece, chi vive vicino a una persona con tendenze suicide o depressive deve imparare a riconoscere i segnali d’allarme di un soggetto in crisi. Tra questi: l’insonnia, i comportamenti estremi e l’abuso di alcol e droghe. Ma anche la tendenza a disfarsi di cose care e i cambi repentini di umore.(ec-RS)

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