Che poteva importargli a loro se la gente moriva o non moriva? L’essenziale era il business”. Con queste parole nel 1997, Carmine Schiavone racconta l’amara verità di quella che oggi chiamiamo la Terra dei Fuochi. Il camorrista audito in commissione ecomafie presieduta dall’on. Massimo Scalia riferisce quello che sa e che ha gestito per anni nel campo dello “smaltimento illegale” di rifiuti tossici nelle terre dell’aversano, del Molise, del Lazio e della Puglia.
Si legge nel verbale desecretato pochi giorni fa “So per esperienza che fino al 1992, la zona sud fino alle Puglie era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta l’Unione Europea”. – “Noi arrivavamo fino alla zona di Latina, Borgo San Michele e le zone vicine erano già di influenza bardelliana, perche avevano società che vendevano nella zona di Latina insieme ai Diana”.
Schiavone parla di un commercio che procurava ai clan un giro di soldi intorno ai 2,5 miliardi al mese che si svolgeva con il consenso dei comuni, amministrati da uomini dei clan con i quali vigeva un accordo tacito sulla gestione degli appalti “gli affari fino a 100 milioni di lire li gestiva il comune, oltre i 100 milioni con i consorzi, ci portavano l’elenco dei lavori e noi li assegnavamo”. Un sistema che vedeva il coinvolgimento delle discariche autorizzate che emettevano regolari bolle di conferimento in discarica e poi passavano i camion i clan che avevano il compito di far sparire il carico in qualche cava.
“Erano le discariche autorizzate a pagare noi, non noi loro! In effetti, all’inizio si agiva in una certa legalità. Se, ad esempio, la Di.Fra.Bi doveva scaricare fanghi tossici o non tossici nella sua discarica, quanto tempo ci avrebbe messo a riempirla? Forse due giorni. Ecco allora che la Di.Fra.Bi o la società di Chianese scaricavano nelle nostre cave e pagavano tanto al chilo”.
Un’ingegneria della discarica che ha goduto di mancati controlli e “protezioni” a livello politico. Schiavone nel corso dell’audizione fa riferimento a contatti con Licio Gelli e centri culturali del nord, dove di fatto avveniva una sorta di promozione del “servizio”. “Erano di tutti i partiti, democristiani, socialisti. Parliamo per esempio di De Lorenzo, Gava, Scotti, Santonastaso. De Mita fa ancora il politico. Non che fossero dei clan, che fossero mafiosi, purtroppo ognuno ha un solo voto e per raccogliere tanti voti, soprattutto in certe zone”.
Insomma, quello raccontato dalle cronache odierne era pienamente conosciuto fin dal 1997 alla commissione parlamentare tanto che lo stesso boss dichiarò che per “bonificare la zona ci vorrebbero tutti i soldi dello Stato di un anno” e che “gli abitanti del Paese rischiano di morire tutti di cancro entro venti anni, non credo infatti che si salveranno gli abitanti di Casapesenna, Casal di Principe, Castelvolturno e così via. Avranno forse vent’anni di vita”. ( sdb)
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