Cosa succede ai lavoratori atipici che si spostano da un Paese europeo all’altro in cerca di una situazione di vita migliore? Che sono discriminati “non una, ma tre volte” rispetto a chi ha un contratto standard: “hanno redditi bassi e precari quando lavorano, sono scarsamente protetti dai sistemi di sicurezza sociale quando restano disoccupati, perdono una parte dei loro diritti quando si spostano in un altro stato Ue”. Attraverso l’analisi della situazione dei lavoratori che si spostano all’interno dell’Europa, molti dei quali con contratto atipico, emergono le incongruenze che nascono dall’applicazione dei regolamenti europei su protezione sociale e libera circolazione: che “sono oggi, di fatto, impraticabili a una schiera crescente di lavoratori atipici e precari, di cui governi e istituzioni nazionali ed europee non conoscono le dimensioni, le caratteristiche e i bisogni”.
Questi, in sintesi, i risultati, presentati questa mattina, del progetto europeo Accessor (Atypical Contracts and Cross-border European Social Security Obligations and Rights, ndr), che si è occupato di tracciare un quadro delle nuove forme di contratto atipico in otto Paesi europei: Italia, Regno Unito, Germania, Svezia, Spagna; Belgio, Slovenia e Francia. Partner italiano dell’iniziativa è il patronato Inca Cgil, che ha lavorato insieme alle realtà sindacali delle altre nazioni coinvolte.
In tutti gli otto Paesi questa tipologia di contratti è molto aumentata negli ultimi 20 anni e, pur nella varietà delle forme possibili, dato che si va dal lavoro interinale, al “finto lavoro autonomo”, ai cosiddetti “mini-jobs”, hanno molti tratti in comune: precarietà, stipendi più bassi e discontinui, minori opportunità di formazione e carriera, condizioni di salute peggiori, meno diritti sindacali, scarsa copertura per le indennità di disoccupazione, difficoltà a crearsi una pensione dignitosa.
Un aspetto evidenziato dai rapporti nazionali Accessor è che i lavoratori atipici, la cui mobilità è in aumento, si trovano a dover interagire con diversi sistemi nazionali di sicurezza sociale, ciascuno con le proprie regole di apertura di diritti come assicurazione, indennità di disoccupazione, pensione. Norme che non si armonizzano tra loro, rendendo l’atipico che nel corso della sua vita è occupato in più Paesi un lavoratore di serie B. Un esempio significativo viene dal caso di un cameriere svedese sessantacinquenne: nella sua vita ha alternato diversi brevi periodi lavorativi in Italia e in Svezia, e, a causa dei diversi sistemi che non si parlano, non raggiunge i requisiti per la pensione italiana, mentre quella svedese è molto bassa, nemmeno i 2/3 di quella garantita. Se avesse risieduto sempre nella sua terra d’origine, e avesse avuto anche soltanto contratti atipici, la sua pensione sarebbe oggi molto più cospicua.
Le conclusioni del progetto Accessor ammettono che la situazione degli atipici è “un gatto che si morde la coda”: sono quelli che stanno economicamente peggio e che sono spinti più degli altri a emigrare, e, quando lo fanno, si trovano di fronte al fatto che per gli emigrati i contratti di lavoro atipico sono sempre più spesso l’unica opportunità di occupazione. Cercare di agire la mobilità sociale nella propria vita è quindi, per queste persone, un’impresa quasi impossibile.
Crisi: chi ha redditi bassi ed è precario è “discriminato non una, ma tre volte”
Cosa succede ai lavoratori atipici che si spostano da un Paese europeo all’altro in cerca di una situazione di vita migliore? Che sono discriminati “non una, ma tre volte” rispetto a chi ha un contratto standard: “hanno redditi bassi e precari quando lavorano, sono scarsamente protetti dai sistemi di sicurezza sociale quando restano disoccupati, perdono […]
Lascia un commento