Come possiamo meravigliarsi di ciò che accade nel nostro Paese quando siamo riusciti ad ideare ossimori incredibili come, , chiamare “fascisti di sinistra” gli intellettuali che, dopo la fine della seconda Guerra Mondiale si strinsero attorno a Romano Bilenchi e alla rivista “Linea d’ombra” di Goffredo Fofi e, più di recente e credere nella sanabilità di una insanabile doppiezza fra scienza della politica e identità nazionale, con la sobireità rigorosa della cosidetta “agenda Monti”, che ha aumentato il debito e la penuria di ciascuno, limitandosi a salvare l e banche ed ingraziarsi l’Europa filoteutonica e di fatto “germanizzata”.
Siamo il Paese che si è vestito di convergenze parallele e di politica dei due forni; del crisma fondante della Chiesa e, nella forma dell’uno nessuno e centomila, ha dato vita al pirandellismo, alle due facce di Andreotti statista e mafioso ma anche, nel caso di Berlusconi, dello sbandierato disinteresse di uno totalmente interessato, costruito sull’ossimoro dell’esserci e non esserci, del rumore silenzioso, con le mille televisioni, le antenne, i lavoro a migliaia di persone ed i molti miliardi di tasse pagate, come duice lamartellante pubblicità di questi ultimi giorni.
Ora che il Pdl si è frazionato in due tronconi: i nostalgici di Forza Italia accanto al vecchio leader ormai imbolsito e che ha un malore allarmante sul podio ed i riformatori di una destra che vuiole essere (o dirsi), popolare ed europea, capeggiata da Alfano, che fa più proseliti e miete più consensi di quelli perevisti, mi tornano in mente i “fascisti di sinistra” e a Nicolo Accame, giornalista del “Secolo d’Italia”, che intervistato, insieme a suo padre Giano, nel marzo 1996, da Stefano Di Michele, coniarono questo incredibile ossimero per dire che erano sì reazionari, ma non troppo e comunque a loro modo.
Certop, in termini storici, sono esistiti sia Bombacci, il comunista finito a Salò e appeso con Mussolini a Piazzale Loreto, sia la covata ribelle dei giovani intellettuali aggregati attorno all’ex anarchico fiorentino Berto Ricci e alla sua rivista “L’Universale”; senza parlare poi del “lungo viaggio” dal fascismo al comunismo di tanti intellettuali, da Davide Lajolo a Fidia Gambetti, da Felice Chilanti a Ruggero Zangrandi, da Elio Vittorini a Vasco Pratolini, da Ottone Rosai a Mino Maccari, con strani fermenti e molte contraddizioni tutte italiane che hanno indotto lo storico Giuseppe Parlato a dedicare un intero libro alla cosiddetta “sinistra fascista”, dove se ne da la seguente definizione (che un tedesco o un inglese stenterebbe a capira): “Quell’insieme, a volte discorde e contraddittorio, di sentimenti, di posizioni, di prospettive e di progetti che si fondavano sulla persuasione di vivere nel fascismo e attraverso il fascismo una sorta di palingenesi rivoluzionaria, la prima vera rivoluzione italiana dall’unità”.
Ma, per dirla con le parole di Beppe Nicolai, se mai vi una schiera di progressisti entro il fascismo, legata agli ideali del Risorgimento mazziniano e garibaldino, nata prima del fascismo e che mirava ad oltrepassare la stessa esperienza mussoliniana, essa fu quella che Bilenghi (divenuto comunista anche luyi dopo la guerra) “una esperienza mancata” che è servita sola da alibi a coloro i quali, dopo la caduta di Mussolini, si raccolsero attorno alla rivista quindicinale “Il Pensiero Nazionale” diretto dallo scrittore e giornalista già repubblichino Stanis Ruinas e che furono chiamati “fascisti-comunisti”, “comun-fascisti”, “camicie nere di Togliatti” e “fascisti rossi”, ma che anciora adesso fgacciamo fatica, intellettualmente parlando, a collocare.
E mentre mi scervello nel tentativo di capire come si possa concepire (anche da parte del barcollante governo Letta) un ossimore incredibile cvhe vorrebbe una “crescita nel rigore”, non mi sorprende meno la vittoria di “Tir”, una sorta di docufilm che fa il doppio con “Sacro GRA” trionfatore a Venezia, in un Festial che è solo festa fatta o di molte luci e “paillettes” o di totale noia, con un corofeo sacerdale (Marco Muller) ancora incerto su quale svolta sare alla grande vetrine del cinema italiano.
Carlo Di Stanislao
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