La catastrofe del 23 novembre 1980 in Campania e Basilicata è stata una delle prove più clamorose delle deficienze del sistema socio-politico italiano. L’Irpinia è un fremito di speranza. Il fotoreporter Manuel Romano dell’Agenzia Fotogiornalistica NurPhoto ( http://www.nurphoto.com ) ha realizzato un reportage in Irpinia a 33 anni dal terremoto del 1980.
“Vedrete, vedrete, porteremo le industrie su queste montagne. Finiranno i tempi della miseria…”, prometteva allora il commissario Zamberletti girando come una trottola nei paesi del cratere. Erano i primi vagiti di uníambiziosa opera di industrializzazione che non è mai decollata. Per rompere l’isolamento di vecchi paesi e di centri dimenticati i politici assicuravano che sarebbero state costruite nuove strade, nuovi acquedotti, nuove fogne.
Ma “Solo il 50 per cento dei fondi Ë andato dove doveva andare, il resto è stato dissipato. Il dopo-terremoto è stata una cuccagna sulla quale hanno mangiato tutti: il 20 per cento del denaro è finito in tasca ai politici, un altro 20 per cento è andato ai tecnici della ricostruzione. Camorra, imprese del Nord e imprenditori locali si sono mangiati il resto.”, scriveva in un rapporto Rocco Caporale, docente alla Saint Johnís University di New York.
Chi più chi meno, quasi tutti hanno partecipato al banchetto. Per tutti l’obiettivo non era quello di ricostruire, ma di non perdere l’affare e attraverso l’affare di consolidare il proprio potere.
A distanza di anni dal sisma, hanno fatto crescere il numero dei paesi colpiti e quello delle case da ricostruire. Una vergogna. I Comuni effettivamente danneggiati dalla calamità naturale erano 339. Ma ai criteri contabili dettati dal buon senso, ben presto furono affiancati i sistemi dell’arraffa-arraffa. Così, con il passare del tempo, i comuni dichiarati colpiti dal terremoto sono diventati 687. Assai presto la gente ha capito che la disgrazia poteva diventare un treno per il paese di Bengodi: chi poteva saliva e pretendeva la sua fetta.
Attraverso una serie di sopralluoghi si notano che nelle zone terremotate c’erano superstrade deserte, chiese faraoniche, palazzoni vuoti, piscine semivuote, paesi fantasma, gente in quattro lamiere fatalista e diffidente che raccontano anni di spese al vento e ruberie che gridano vendetta.
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Conza, a seguito del terremoto del 1980, il vecchio paese rimase disabitato ed esso è in fase di ristrutturazione per fini storico-turistici. Conza è stato il paese piu’ vicino all’epicentro del terremoto del 23 novembre 1980. (Manuel Romano/NurPhoto)
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Conza, a seguito del terremoto del 1980, il vecchio paese rimase disabitato ed esso è in fase di ristrutturazione per fini storico-turistici. Conza è stato il paese piu’ vicino all’epicentro del terremoto del 23 novembre 1980. (Manuel Romano/NurPhoto)
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Conza, a seguito del terremoto del 1980, il vecchio paese rimase disabitato ed esso è in fase di ristrutturazione per fini storico-turistici. Conza è stato il paese piu’ vicino all’epicentro del terremoto del 23 novembre 1980. (Manuel Romano/NurPhoto)
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Conza, a seguito del terremoto del 1980, il vecchio paese rimase disabitato ed esso è in fase di ristrutturazione per fini storico-turistici. Conza è stato il paese piu’ vicino all’epicentro del terremoto del 23 novembre 1980. (Manuel Romano/NurPhoto)
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Sant’Angelo dei Lombardi, Italia Sant’Angelo dei Lombardi, paese quasi completamente distrutto dal sisma del 23 novembre 1980. “Capitale del Terremoto”, con il maggior numero di vittime, circa 482. Paese, ricco di belle case ma povero di persone, dove si respira l’atmosfera sospesa di chi non si sente protagonista in prima persona del proprio futuro. Una popolazione condannata all’oblio e all’impossibilità di invertire la rotta. (Manuel Romano/NurPhoto)
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Sant’Angelo dei Lombardi, Italia Sant’Angelo dei Lombardi, paese quasi completamente distrutto dal sisma del 23 novembre 1980. “Capitale del Terremoto”, con il maggior numero di vittime, circa 482. Paese, ricco di belle case ma povero di persone, dove si respira l’atmosfera sospesa di chi non si sente protagonista in prima persona del proprio futuro. Una popolazione condannata all’oblio e all’impossibilità di invertire la rotta. (Manuel Romano/NurPhoto)
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Bernardino Di Paolo, un artigiano di Lioni in attesa della ricostruzione del suo stabile nella zona PIP (Piano Insediamenti Produttivi). (Manuel Romano/NurPhoto)
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Il sindaco di Laviano, Rocco Falivena ha realizzato il “Villaggio antistress”, trasformando 350 prefabbricati del terremoto in area residenziale. Le case di legno sono ora case vacanza. Ad oggi, Laviano conta meno di 1.500 abitanti. La popolazione risiede nel luogo ove era ubicato il vecchio paese. (Manuel Romano/NurPhoto)
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Il sindaco di Laviano, Rocco Falivena ha realizzato il “Villaggio antistress”, trasformando 350 prefabbricati del terremoto in area residenziale. Le case di legno sono ora case vacanza. Ad oggi, Laviano conta meno di 1.500 abitanti. La popolazione risiede nel luogo ove era ubicato il vecchio paese. (Manuel Romano/NurPhoto)
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Teora, il paese che dopo una difficile opera di ricostruzione è disabitato, senza un futuro sociale, economico e produttivo. (Manuel Romano/NurPhoto)
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Irpinia, negli anni ’80, grazie ad ingenti fondi economici, assegnati per la ricostruzione, fu avviato un’ambizioso e controverso esperimento dell’industrializzazione che fu sin dall’inizio un’impresa perdente. Nel tempo ha arrecato guasti irreparabili all’ambiente, al territorio e all’economia. Un paesaggio sfigurato per sempre con metodi clientelari. (Manuel Romano/NurPhoto)
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