“Impariamo ad essere docili alla Parola di Dio, pronti per le sorprese del Signore che ci parla”(Papa Francesco). A Natale si può fare di più. Prepararsi al Natale con la preghiera, la carità e la lode, con un cuore aperto, per lasciarsi incontrare dal Signore Risorto che tutto rinnova. È l’invito lanciato da Papa Francesco nel Tempo di Avvento, in forza del Vangelo in cui il centurione romano chiede con grande fede a Gesù la guarigione del servo. Papa Bergoglio ricorda che in questi giorni “cominciamo un nuovo cammino di Chiesa verso il Natale. Andiamo incontro al Signore, perché il Natale non è soltanto una ricorrenza temporale oppure un ricordo di una cosa bella. Il Natale è di più: noi andiamo per questa strada per incontrare il Signore. Il Natale è un incontro! E camminiamo per incontrarLo con il cuore, con la vita, incontrarLo vivente, come Lui è, incontrarLo con fede. E non è facile vivere con la fede. Il Signore, nella parola che abbiamo ascoltato, si meravigliò di questo centurione: si meravigliò della fede che lui aveva. Lui aveva fatto un cammino per incontrare il Signore, ma lo aveva fatto con fede. Per questo non solo lui ha incontrato il Signore, ma ha sentito la gioia di essere incontrato dal Signore. E questo è proprio l’incontro che noi vogliamo: l’incontro della fede! E più che essere noi ad incontrare il Signore – osserva il Papa – è importante lasciarci incontrare da Lui: quando noi soltanto incontriamo il Signore, siamo noi – fra virgolette, diciamolo – i padroni di questo incontro; ma quando noi ci lasciamo incontrare da Lui, è Lui che entra dentro di noi, è Lui che ci rifà tutto di nuovo, perché questa è la venuta, quello che significa quando viene il Cristo: rifare tutto di nuovo, rifare il cuore, l’anima, la vita, la speranza, il cammino. Noi siamo in cammino con fede, con la fede di questo centurione, per incontrare il Signore e principalmente per lasciarci incontrare da Lui!”. Ma occorre la volontà, cioè il cuore aperto. “Cuore aperto, perché Lui incontri me! E mi dica – spiega Papa Bergoglio – quello che Lui vuol dirmi, che non sempre è quello che io voglio che mi dica! Lui è il Signore e Lui mi dirà quello ha per me, perché il Signore non ci guarda tutti insieme, come una massa. No, no! Ci guarda ognuno in faccia, negli occhi, perché l’amore non è un amore così, astratto: è amore concreto! Da persona a persona: il Signore, persona, guarda me, persona. Lasciarci incontrare dal Signore è proprio questo: lasciarci amare dal Signore! In questo cammino verso il Natale ci aiutano alcuni atteggiamenti: la perseveranza nella preghiera, pregare di più; l’operosità nella carità fraterna, avvicinarci un po’ di più a quelli che hanno bisogno; e la gioia nella lode del Signore. Dunque: la preghiera, la carità e la lode, con il cuore aperto perché il Signore ci incontri”. Il Tempo di Avvento restituisce l’orizzonte della speranza all’umanità. Il Papa incoraggia i fedeli a riscoprire la bellezza di essere in cammino verso l’incontro con Gesù ed invoca il dono della pace. Nella Giornata mondiale contro il virus dell’Aids, il Pontefice non manca di levare un forte appello affinché tutti i malati possano accedere alle cure di cui hanno bisogno. L’Avvento è tempo di speranza. Papa Francesco si sofferma su di chi, affetto da Hiv, la speranza rischia di perderla. “Esprimiamo la nostra vicinanza alle persone che ne sono affette, specialmente ai bambini – afferma il Santo Padre – una vicinanza che è molto concreta per l’impegno silenzioso di tanti missionari e operatori. Preghiamo per tutti, anche per i medici e i ricercatori. Ogni malato, nessuno escluso, possa accedere alle cure di cui ha bisogno. Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Iniziamo oggi, Prima Domenica di Avvento, un nuovo anno liturgico, cioè un nuovo cammino del Popolo di Dio con Gesù Cristo, il nostro Pastore, che ci guida nella storia verso il compimento del Regno di Dio. Perciò questo giorno ha un fascino speciale, ci fa provare un sentimento profondo del senso della storia. Riscopriamo la bellezza di essere tutti in cammino: la Chiesa, con la sua vocazione e missione, e l’umanità intera, i popoli, le civiltà, le culture, tutti in cammino attraverso i sentieri del tempo”. Ma in cammino verso dove? C’è una mèta comune? E qual è questa mèta? Sono le domande del Papa. “Il Signore ci risponde attraverso il profeta Isaia e dice così: «Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: “Venite, saliamo al monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri”» (2,2-3). Questo è quello che dice Isaia sulla mèta dove andiamo. È un pellegrinaggio universale verso una mèta comune che nell’Antico Testamento è Gerusalemme dove sorge il tempio del Signore, perché da lì, da Gerusalemme, è venuta la rivelazione del volto di Dio e della sua legge. La rivelazione ha trovato in Gesù Cristo il suo compimento, e il ‘tempio del Signore’, Gesù Cristo, Lui stesso è diventato il tempio, il Verbo fatto carne: è Lui la guida ed insieme la mèta del nostro pellegrinaggio, del pellegrinaggio di tutto il Popolo di Dio; e, alla sua luce, anche gli altri popoli possono camminare verso il Regno della giustizia, verso il Regno della pace. Dice ancora il profeta: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (2,4). Mi permetto di ripetere quello che dice il Profeta, ascoltate bene! «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra»”. Ma quando accadrà questo? “Che bel giorno sarà, nel quale le armi saranno smontate, per essere trasformate in strumenti di lavoro! Che bel giorno sarà questo! E questo è possibile! Scommettiamo sulla speranza, sulla speranza di una pace e sarà possibile! Questo cammino non è mai concluso. Come nella vita di ognuno di noi c’è sempre bisogno di ripartire, di rialzarsi, di ritrovare il senso della mèta della propria esistenza, così per la grande famiglia umana è necessario rinnovare sempre l’orizzonte comune verso cui siamo incamminati. L’orizzonte della speranza! Quello è l’orizzonte per fare un buon cammino. Il Tempo di Avvento che oggi di nuovo incominciamo, ci restituisce l’orizzonte della speranza, una speranza che non delude perché è fondata sulla Parola di Dio. Una speranza che non delude semplicemente perché il Signore non delude mai! Lui è fedele! Lui non delude! Pensiamo e sentiamo questa bellezza”. Papa Francesco mostra il modello di questo atteggiamento spirituale, di questo modo di essere e di camminare nella vita: “è la Vergine Maria, una semplice ragazza di paese, che porta nel cuore tutta la speranza di Dio! Nel suo grembo, la speranza di Dio ha preso carne, si è fatta uomo, si è fatta storia: Gesù Cristo. Il suo Magnificat è il cantico del Popolo di Dio in cammino e di tutti gli uomini e le donne che sperano in Dio, nella potenza della sua misericordia. Lasciamoci guidare da Lei, che è Madre, è mamma e sa come guidarci. Lasciamoci guidare da Lei in questo tempo di attesa e di vigilanza operosa”. La Chiesa e i fedeli siano “presenti nel dibattito pubblico, in tutti gli ambiti nei quali è in causa l’uomo”. Non soltanto in Olanda. “In una società fortemente secolarizzata, potranno così portare il loro contributo nelle grandi questioni sociali riguardanti per esempio la famiglia, il matrimonio, la fine della vita”. Così Papa Francesco nel discorso consegnato ai vescovi olandesi, in visita “ad limina”, in cui esprime la propria compassione e la propria preghiera per le vittime di abusi sessuali. “In una società fortemente segnata dalla secolarizzazione e in circostanze spesso ardue, non è facile conservare la speranza. Ma il compito della Chiesa è quello del bene umano e dello sviluppo sociale – ricorda il Santo Padre nel discorso ai vescovi dei Paesi Bassi – per i cristiani l’educazione delle coscienze diventa allora prioritaria, specialmente mediante la formazione del giudizio critico, pur avendo un approccio positivo sulle realtà sociali: si eviterà così la superficialità dei giudizi e la rassegnazione all’indifferenza”. L’invito di Papa Bergoglio è molto forte: “essere presenti nel dibattito pubblico, in tutti gli ambiti nei quali è in causa l’uomo, per rendere visibile la misericordia di Dio, la sua tenerezza per ogni creatura. D’altra parte la Chiesa si espande non per proselitismo, ma per attrazione. Essa è quindi inviata dappertutto per svegliare, risvegliare, mantenere la speranza. I fedeli d’Olanda vanno perciò incoraggiati a cogliere le occasioni di dialogo, rendendosi presenti nei luoghi in cui si decide il futuro: in tal modo potranno portare il loro contributo nei dibattiti sulle grandi questioni sociali riguardanti per esempio la famiglia, il matrimonio, la fine della vita. Affinché la Chiesa con pazienza materna prosegua gli sforzi per rispondere alle inquietudini di tanti uomini e donne che sperimentano l’angoscia e lo scoraggiamento davanti al futuro, è necessario – rivela il Santo Padre – che cattolici, sacerdoti, persone consacrate e laici acquisiscano una formazione solida e di qualità, proponendo la fede in maniera autentica, comprensibile e pastorale. L’antropologia cristiana e la dottrina sociale della Chiesa fanno parte del patrimonio di esperienza e di umanità su cui si fonda la civiltà europea ed esse possono aiutare a riaffermare concretamente il primato dell’Uomo sulla tecnica e sulle strutture: e questo primato presuppone l’apertura alla trascendenza. Se questa dimensione viene a mancare, una cultura si impoverisce, mentre essa dovrebbe mostrare la possibilità di collegare in costante armonia fede e ragione, verità e libertà”. In un Paese “ricco sotto tanti aspetti – osserva il Pontefice – la povertà tocca un numero crescente di persone: valorizzate la generosità dei fedeli per portare la luce e la compassione di Cristo nei luoghi dove l’aspettano e in particolare alle persone più emarginate”. Un pensiero speciale al futuro della Chiesa. “È urgente suscitare una pastorale vocazionale vigorosa e attraente, come pure la riscoperta della preghiera”. Un ruolo particolare spetta ai laici che “vanno fortemente sostenuti”. Come pure alla scuola cattolica che “continuerà a favorire la formazione umana e spirituale, col dialogo e la fraternità”. Di qui pure la “necessità di avanzare sulla via dell’ecumenismo” e un invito all’accoglienza, andando incontro anche “a quelli che non si avvicinano”. Papa Francesco esprime la propria “compassione” ed assicura la propria preghiera per ciascuna delle “persone vittime di abusi sessuali e per le loro famiglie. Vi chiedo di continuare a sostenerle nel loro doloroso cammino di guarigione, intrapreso con coraggio, nella prospettiva di difendere e far crescere l’unità in tutto e tra tutti”. Ecco, allora, spiegata la strategia della Chiesa Cattolica a favore della Famiglia naturale fondata sul Matrimonio di un uomo e di una donna, a immagine della Sacra Famiglia di Nazareth che contempliamo nel Santo Natale del Signore Gesù. La missione di predicare il Vangelo a ogni creatura è stata affidata direttamente dal Signore ai suoi discepoli e di essa la Chiesa è portatrice sana nella storia. Nel tempo che stiamo vivendo l’evidente crisi sociale e spirituale diventa una sfida pastorale che interpella la missione evangelizzatrice della Chiesa per la Famiglia, nucleo vitale della società e della comunità ecclesiale. Proporre il Vangelo sulla Famiglia in questo contesto risulta quanto mai urgente e necessario. L’importanza del tema emerge dal fatto che Papa Francesco ha deciso di stabilire per il Sinodo dei Vescovi un itinerario di lavoro in due tappe: la prima, l’Assemblea Generale Straordinaria del 2014, per precisare lo “status quaestionis” e raccogliere testimonianze e proposte dei Vescovi per annunciare e vivere credibilmente il Vangelo per la Famiglia; la seconda, l’Assemblea Generale Ordinaria del 2015, per cercare linee operative per la pastorale della Persona umana e della Famiglia naturale e religiosa. Si profilano problematiche inedite fino a pochi mesi fa in Italia nel caos politico-antropologico imperante anche in Italia: dalla diffusione delle coppie di fatto che non accedono al Matrimonio e, a volte, ne escludono l’idea, alle unioni fra persone dello stesso sesso, cui non di rado è consentita l’adozione di figli minori. Fra le numerose nuove situazioni che richiedono l’attenzione e l’impegno pastorale della Chiesa basterà ricordare: matrimoni misti o inter-religiosi; famiglia monoparentale; poligamia; matrimoni combinati con la conseguente problematica della dote, a volte intesa come prezzo di acquisto della donna; sistema delle caste; cultura del non-impegno e della presupposta instabilità del vincolo; forme di femminismo ostile alla Chiesa; fenomeni migratori e riformulazione dell’idea stessa di famiglia; pluralismo relativista nella concezione del matrimonio; influenza dei media sulla cultura popolare nella comprensione delle nozze e della vita familiare; tendenze di pensiero sottese a proposte legislative che svalutano la permanenza e la fedeltà del patto matrimoniale; il diffondersi del fenomeno delle madri surrogate (utero in affitto); nuove interpretazioni dei diritti umani. Ma soprattutto in ambito più strettamente ecclesiale, l’indebolimento o l’abbandono della fede nella sacramentalità del Matrimonio e nel potere terapeutico della penitenza sacramentale. Da tutto questo si comprende quanto urgente sia che l’attenzione dell’Episcopato mondiale “cum et sub Petro” si rivolga a queste sfide. Se, ad esempio, si pensa al solo fatto che nell’attuale contesto molti ragazzi e giovani, nati da matrimoni irregolari, potranno non vedere mai i loro genitori accostarsi ai sacramenti, si comprende quanto urgenti siano le sfide poste all’evangelizzazione dalla situazione attuale, peraltro diffusa in ogni parte del Villaggio Globale terrestre. Questa realtà ha una singolare rispondenza nella vasta accoglienza che sta avendo ai nostri giorni l’insegnamento sulla Misericordia divina e sulla tenerezza nei confronti delle persone ferite, nelle periferie geografiche ed esistenziali: le attese che ne conseguono circa le scelte pastorali riguardo alla Famiglia sono amplissime. Una riflessione del Sinodo dei Vescovi su questi temi appare perciò tanto necessaria e urgente, quanto doverosa come espressione di carità dei Pastori nei confronti di quanti sono a loro affidati e dell’intera Famiglia umana.
La buona novella dell’Amore divino va proclamata a quanti vivono questa fondamentale esperienza umana personale, di coppia e di comunione aperta al dono dei figli, che è la comunità familiare riconosciuta da Dio. La dottrina della fede sul Matrimonio va presentata in modo capillare, comunicativo ed efficace, perché essa sia in grado di raggiungere i cuori e di trasformarli secondo la volontà di Dio manifestata in Cristo Gesù. Circa il richiamo delle fonti bibliche su Matrimonio e Famiglia, in questa sede ci limitiamo ai soli riferimenti essenziali. Così pure per i documenti del Magistero sembra opportuno limitarsi ai documenti del Magistero universale della Chiesa, integrandoli con alcuni testi del Pontificio Consiglio della Famiglia e rimandando ai Vescovi partecipanti al Sinodo il compito di dar voce ai documenti dei loro rispettivi organismi episcopali.
In ogni tempo e nelle più diverse culture non è mai mancato né l’insegnamento chiaro dei pastori né la testimonianza concreta dei credenti, uomini e donne, che in circostanze molto differenti hanno vissuto il Vangelo sulla Famiglia come un dono incommensurabile per la vita loro e dei loro figli. L’impegno per il prossimo Sinodo Straordinario è mosso e sostenuto dal desiderio di comunicare a tutti, con incisività maggiore, questo messaggio, sperando così che «il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini» (DV 26). La bellezza del messaggio biblico sulla Famiglia ha la sua radice nella creazione dell’uomo e della donna fatti entrambi “a immagine e somiglianza di Dio” (Gen. 1,24-31; 2, 4b-25). Legati da un vincolo sacramentale indissolubile, gli sposi vivono la bellezza dell’amore, della paternità, della maternità e della dignità suprema di partecipare così alla opera creatrice di Dio. Nel dono del frutto della loro unione assumono la responsabilità della crescita e dell’educazione di altre persone per il futuro del genere umano. Attraverso la procreazione l’uomo e la donna compiono nella fede la vocazione all’essere collaboratori di Dio nella custodia del Creato e nella crescita della Famiglia umana. Il Beato Giovanni Paolo II commenta quest’aspetto nella Familiaris Consortio: «Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (Gen. 1,26s): chiamandolo all’esistenza per amore, l’ha chiamato nello stesso tempo all’amore. Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell’essere, Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione (Gaudium et Spes, 12). L’amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano» (FC, n. 11). Questo progetto di Dio creatore, che il peccato originale ha sconvolto (Gn 3, 1-24) si è manifestato nella storia attraverso le vicende del popolo eletto fino alla pienezza dei tempi, allorché, con l’incarnazione il Figlio di Dio non solo confermò la volontà divina di salvezza, ma con la redenzione offrì la grazia di obbedire a questa medesima volontà. Il Figlio di Dio, Verbo fatto carne (Gv 1,14) nel grembo della Vergine Madre è vissuto e cresciuto nella Famiglia di Nazareth e ha partecipato alle nozze di Cana di cui ha arricchito la festa con il primo dei suoi “segni” (Gv 2,1-11). Egli ha accettato con gioia l’accoglienza familiare dei suoi primi discepoli (Mc 1,29-31; 2,13-17) e ha consolato il lutto della famiglia dei suoi amici a Betania (Lc 10,38-42; Gv 11,1-44). Gesù Cristo ha ristabilito la bellezza del Matrimonio riproponendo il progetto unitario di Dio, che era stato abbandonato per la durezza del cuore umano persino all’interno della tradizione del popolo di Israele (Mt 5,31-32; 19.3-12; Mc 10,1-12; Lc 16,18). Tornando all’origine Gesù ha insegnato l’unità e la fedeltà degli sposi, rifiutando il ripudio e l’adulterio. Proprio attraverso la straordinaria bellezza dell’amore umano, già celebrata con accenti ispirati nel Cantico dei Cantici, e del legame sponsale richiesto e difeso da Profeti come Osea (Os 1,2-3,3) e Malachia (Ml 2,13-16) Gesù ha affermato l’originaria dignità dell’amore dell’uomo e della donna. Dunque, l’insegnamento della Chiesa sulla Famiglia è chiaro. Chi viola il sacrosanto Diritto di Dio, se ne assume la responsabilità. Anche nella comunità cristiana primitiva la Famiglia apparve come la «Chiesa domestica» (CCC,1655). Nei cosiddetti “codici familiari” delle Lettere apostoliche neotestamentarie, la grande famiglia del mondo antico è identificata come il luogo della solidarietà più profonda tra mogli e mariti, tra genitori e figli, tra ricchi e poveri (Ef 5,21-6,9; Col 3,18-4,1; 1Tm 2,8-15; Tt 2,1-10; 1Pt 2,13-3,7; vedi anche la Lettera a Filemone). In particolare, la Lettera agli Efesini individua nell’amore nuziale tra l’uomo e la donna «il mistero grande» che rende presente nel mondo l’Amore di Cristo e della Chiesa (Ef 5,31-32). Nel corso dei secoli, soprattutto nell’epoca moderna fino ai nostri giorni, la Chiesa non ha fatto mancare un suo costante e crescente insegnamento sulla Famiglia e sul Matrimonio che la fonda. Una delle espressioni più alte è stata proposta dal Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, che trattando alcuni dei problemi più urgenti dedica un intero capitolo alla promozione della dignità del Matrimonio e della Famiglia, come appare nella descrizione del suo valore per la costituzione della società: «la famiglia, nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il fondamento della società» (GS 52). Di speciale intensità è l’appello a una spiritualità cristocentrica per gli sposi credenti: «i coniugi stessi, creati ad immagine del Dio vivente e muniti di un’autentica dignità personale, siano uniti da un uguale mutuo affetto, dallo stesso modo di sentire, da comune santità, così che, seguendo Cristo principio di vita nelle gioie e nei sacrifici della loro vocazione, attraverso il loro amore fedele possano diventare testimoni di quel mistero di amore che il Signore ha rivelato al mondo con la sua morte e la sua risurrezione» (GS 52). Anche i Successori di Pietro dopo il Concilio Vaticano II hanno arricchito con il loro Magistero la dottrina sul Matrimonio e sulla Famiglia, in particolare Paolo VI con la Enciclica “Humanae vitae” che offre specifici insegnamenti di principio e di prassi. Successivamente il Papa Giovanni Paolo II nella Esortazione Apostolica “Familiaris consortio” insiste nel proporre il disegno divino circa la verità originaria dell’amore sponsale e della Famiglia: «Il “luogo” unico, che rende possibile questa donazione secondo l’intera sua verità, è il matrimonio, ossia il patto di amore coniugale o scelta cosciente e libera, con la quale l’uomo e la donna accolgono l’intima comunità di vita e d’amore, voluta da Dio stesso (Gaudium et Spes, 48), che solo in questa luce manifesta il suo vero significato. L’istituzione matrimoniale non è una indebita ingerenza della società o dell’autorità, né l’imposizione estrinseca di una forma, ma esigenza interiore del patto d’amore coniugale che pubblicamente si afferma come unico ed esclusivo perché sia vissuta così la piena fedeltà al disegno di Dio Creatore. Questa fedeltà, lungi dal mortificare la libertà della persona, la pone al sicuro da ogni soggettivismo e relativismo, la fa partecipe della Sapienza creatrice» (FC 11). Il Catechismo della Chiesa Cattolica raccoglie questi dati fondamentali: «L’alleanza matrimoniale, mediante la quale un uomo e una donna costituiscono fra loro un’intima comunione di vita e di amore, è stata fondata e dotata di sue proprie leggi dal Creatore. Per sua natura è ordinata al bene dei coniugi così come alla generazione e all’educazione della prole. Tra battezzati essa è stata elevata da Cristo Signore alla dignità di sacramento [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48; Codice di Diritto Canonico, 1055, 1]» (CCC 1660). La dottrina esposta nel Catechismo tocca sia i principi teologici sia i comportamenti morali, trattati sotto due titoli distinti: Il sacramento del matrimonio (nn. 1601-1658) e Il sesto comandamento (nn. 2331-2391). L’attenta lettura di queste parti del Catechismo procura una comprensione aggiornata della dottrina della fede a sostegno dell’azione della Chiesa davanti alle sfide odierne. La sua pastorale trova ispirazione nella verità del Matrimonio visto nel disegno di Dio che ha creato maschio e femmina e nella pienezza del tempo ha rivelato in Gesù anche la pienezza dell’amore sponsale elevato a sacramento. Il Matrimonio cristiano fondato sul consenso è anche dotato di propri effetti quali sono i beni e i compiti degli sposi, tuttavia non è sottratto al regime del peccato (Gen 3,1-24) che può procurare ferite profonde e anche offese alla dignità stessa del sacramento. L’Enciclica di Papa Francesco, Lumen Fidei, parla della Famiglia nel suo legame con la fede che rivela «quanto possono essere saldi i vincoli tra gli uomini quando Dio si rende presente in mezzo ad essi» (LF 50). «Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (Gn 2,24) e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno di amore. Fondati su quest’amore, uomo e donna possono promettersi l’amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede. Promettere un amore che sia per sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata» (LF 52). «La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità» (LF 53). È stato elaborato un Questionario (nove grandi temi) con una serie di domande che permettono alle Chiese particolari di partecipare attivamente alla preparazione del Sinodo Straordinario, per annunciare il Vangelo nelle sfide pastorali sulla Famiglia: 1 – Sulla diffusione della Sacra Scrittura e del Magistero della Chiesa riguardante la Famiglia: qual è la reale conoscenza degli insegnamenti della Bibbia, della “Gaudium et spes”, della “Familiaris consortio” e di altri documenti del Magistero post-concilare sul valore della Famiglia secondo la Chiesa Cattolica? Come i nostri fedeli vengono formati alla vita familiare secondo l’insegnamento della Chiesa? Dove l’insegnamento della Chiesa è conosciuto, è integralmente accettato? Si verificano difficoltà nel metterlo in pratica? Quali? Come l’insegnamento della Chiesa viene diffuso nel contesto dei programmi pastorali a livello nazionale, diocesano e parrocchiale? Quale catechesi si fa sulla famiglia? In quale misura – e in particolari su quali aspetti – tale insegnamento è realmente conosciuto, accettato, rifiutato e/o criticato in ambienti extra ecclesiali? Quali sono i fattori culturali che ostacolano la piena ricezione dell’insegnamento della Chiesa sulla famiglia?; 2 – Sul Matrimonio secondo la legge naturale: quale posto occupa il concetto di legge naturale nella cultura civile, sia a livello istituzionale, educativo e accademico, sia a livello popolare? Quali visioni dell’antropologia sono sottese a questo dibattito sul fondamento naturale della Famiglia? Il concetto di legge naturale in relazione all’unione tra l’uomo e la donna è comunemente accettato in quanto tale da parte dei battezzati in generale? Come viene contestata nella prassi e nella teoria la legge naturale sull’unione tra l’uomo e la donna in vista della formazione di una Famiglia? Come viene proposta e approfondita negli organismi civili ed ecclesiali? Se richiedono la celebrazione del Matrimonio battezzati non praticanti o che si dichiarino non credenti, come affrontare le sfide pastorali che ne conseguono?; 3 – La pastorale della Famiglia nel contesto dell’evangelizzazione: quali sono le esperienze nate negli ultimi decenni in ordine alla preparazione al Matrimonio? Come si è cercato di stimolare il compito di evangelizzazione degli sposi e della Famiglia? Come promuovere la coscienza della Famiglia come Chiesa domestica? Si è riusciti a proporre stili di preghiera in Famiglia che riescano a resistere alla complessità della vita e della cultura attuale? Nell’odierna situazione di crisi tra le generazioni, come le Famiglie cristiane hanno saputo realizzare la propria vocazione di trasmissione della fede? In che modo le Chiese locali e i movimenti di spiritualità familiare hanno saputo creare percorsi esemplari? Qual è l’apporto specifico che coppie e famiglie sono riuscite a dare in ordine alla diffusione di una visione integrale della coppia e della Famiglia cristiana credibile oggi? Quale attenzione pastorale la Chiesa ha mostrato per sostenere il cammino delle coppie in formazione e delle coppie in crisi?; 4 – Sulla pastorale per far fronte ad alcune situazioni matrimoniali difficili: la convivenza ad experimentum è una realtà pastorale rilevante nella Chiesa particolare? In quale percentuale si potrebbe stimare numericamente? Esistono unioni libere di fatto, senza riconoscimento né religioso né civile? Vi sono dati statistici affidabili? I separati e i divorziati risposati sono una realtà pastorale rilevante nella Chiesa particolare? In quale percentuale si potrebbe stimare numericamente? Come si fa fronte a questa realtà attraverso programmi pastorali adatti? In tutti questi casi: come vivono i battezzati la loro irregolarità? Ne sono consapevoli? Manifestano semplicemente indifferenza? Si sentono emarginati e vivono con sofferenza l’impossibilità di ricevere i sacramenti? Quali sono le richieste che le persone divorziate e risposate rivolgono alla Chiesa a proposito dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione? Tra le persone che si trovano in queste situazioni, quante chiedono questi sacramenti? Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale potrebbe offrire un reale contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvolte? Se sì, in quali forme? Esiste una pastorale per venire incontro a questi casi? Come si svolge tale attività pastorale? Esistono programmi al riguardo a livello nazionale e diocesano? Come viene annunciata a separati e divorziati risposati la Misericordia di Dio e come viene messo in atto il sostegno della Chiesa al loro cammino di fede?; 5 – Sulle unioni di persone della stesso sesso: esiste nel vostro Paese una legge civile di riconoscimento delle unioni di persone dello stesso sesso equiparate in qualche modo al Matrimonio? Quale è l’atteggiamento delle Chiese particolari e locali sia di fronte allo Stato civile promotore di unioni civili tra persone dello stesso sesso, sia di fronte alle persone coinvolte in questo tipo di unione? Quale attenzione pastorale è possibile avere nei confronti delle persone che hanno scelto di vivere secondo questo tipo di unioni? Nel caso di unioni di persone dello stesso sesso che abbiano adottato bambini come comportarsi pastoralmente in vista della trasmissione della fede?; 6 – Sull’educazione dei figli in seno alle situazioni di matrimoni irregolari: qual è in questi casi la proporzione stimata di bambini e adolescenti in relazione ai bambini nati e cresciuti in famiglie regolarmente costituite? Con quale atteggiamento i genitori si rivolgono alla Chiesa? Che cosa chiedono? Solo i sacramenti o anche la catechesi e l’insegnamento in generale della religione? Come le Chiese particolari vanno incontro alla necessità dei genitori di questi bambini di offrire un’educazione cristiana ai propri figli? Come si svolge la pratica sacramentale in questi casi: la preparazione, l’amministrazione del sacramento e l’accompagnamento?; 7 – Sull’apertura degli sposi alla vita: qual è la reale conoscenza che i cristiani hanno della dottrina della “Humanae vitae” sulla paternità responsabile? Quale coscienza si ha della valutazione morale dei differenti metodi di regolazione delle nascite? Quali approfondimenti potrebbero essere suggeriti in materia dal punto di vista pastorale? È accettata tale dottrina morale? Quali sono gli aspetti più problematici che rendono difficoltosa l’accettazione nella grande maggioranza delle coppie? Quali metodi naturali vengono promossi da parte delle Chiese particolari per aiutare i coniugi a mettere in pratica la dottrina dell’Humanae vitae? Qual è l’esperienza riguardo a questo tema nella prassi del sacramento della penitenza e nella partecipazione all’eucaristia? Quali contrasti si evidenziano tra la dottrina della Chiesa e l’educazione civile al riguardo? Come promuovere una mentalità maggiormente aperta alla natalità? Come favorire la crescita delle nascite?; 8 – Sul rapporto tra la famiglia e la persona: Gesù Cristo rivela il mistero e la vocazione dell’uomo: la famiglia è un luogo privilegiato perché questo avvenga? Quali situazioni critiche della famiglia nel mondo odierno possono diventare un ostacolo all’incontro della persona con Cristo? In quale misura le crisi di fede che le persone possono attraversare incidono nella vita familiare?; 9 – Altre sfide e proposte: ci sono altre sfide e proposte riguardo ai temi trattati in questo questionario, avvertite come urgenti o utili da parte dei destinatari?. “Ortodossi e cattolici insieme per la Famiglia” è il titolo di un convegno svoltosi a Roma e organizzato dal Pontificio Consiglio per la Famiglia insieme al Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani e al Dipartimento per le Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Per rilanciare l’alleanza tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica di Roma, puntando sulla Famiglia come nucleo centrale della società, perché la crisi della Famiglia è alla base della crisi dell’intera umanità. Le politiche che rendono il nucleo familiare fragile, attaccabile, dimenticando il principio su cui la stessa Famiglia si basa, l’amore per sempre, sono destinate a fallire miseramente. È necessario unire gli sforzi, puntando sull’identità di vedute tra ortodossi e cattolici. E il ruolo del Presidente russo Vladimir Putin, potrà rivelarsi decisivo: le Chiese cristiane ritrovino il coraggio di testimoniare al mondo quel mistero d’amore che fin dalla creazione Dio ha posto quasi al culmine dei sette giorni, al punto che quando ha creato il capolavoro, Adamo, si è accorto che aveva bisogno di un completamento e ha trovato Eva. In un mondo dove si esalta l’Io-danaro a dispetto di qualsiasi Noi, la Famiglia diventa una buona notizia per ridare speranza e vitalità a tutti. Attualmente siamo di fronte al paradosso di aver una Famiglia che da un certo punto di vista è idealizzata ma estremamente fragile. Come valutare questa dicotomia? Bisogna insegnare, comprendere, vivere e soprattutto testimoniare che l’amore non è un sentimento passeggero. L’amore è come costruire una casa. E per costruire una casa ci vuole tempo, fatica, pazienza, intelligenza, possibilità di correzione se i mattoni vengono messi male. Questo è l’amore che non è un vento passeggero come oggi spesso lo si intende e lo si propaganda. Quando si parla dell’ideale della Famiglia che certa politica politicante non comprende, non parliamo di un’astrazione o di un’idea, parliamo di una realtà antropologica, ma quello che appare scontato – come ad esempio nella conquista di un traguardo sportivo, scientifico e tecnologico dove tutti sanno che ci vuole allenamento, fatica e rinunce – viene cancellato quando si parla di costruire la cosa più importante del mondo, quel traguardo che si chiama Famiglia che è anche edificazione. È fondamentale in una società che fa del consumo, del danaro, della soddisfazione immediata a qualsiasi costo, la legge suprema, capire che l’amore è una cosa seria e come tutte le cose serie richiede impegno e fatica. Papa Francesco ha indetto per il 2014 un Sinodo straordinario dedicato proprio alla Famiglia, perché la stragrande maggioranza dei giovani la vogliono insieme a un lavoro sicuro, a tempo indeterminato. Il Papa vede com’è spesso bastonata e violentata tante volte, la Famiglia, sui media, ma ha anche capito e compreso che la Chiesa deve fare qualcosa di concreto prima che sia troppo tardi. Prima che i politicanti combinino anche in Italia un macello in buona compagnia di studiosi, economisti, cultori del diritto e intellettuali anti-Famiglia naturale. Riportare al centro la Famiglia vuol dire cogliere il nodo più urgente e drammatico del nostro tempo, per ridare un futuro alla nostra società. Occorre esaminare le criticità della Famiglia che è base per lo sviluppo armonico della vita e della civiltà in Italia, in Europa e nel mondo. Bisogna ripartire dalle Sacre Scritture, in cui la vita non è limitata al singolo, all’individuo, al consumo di beni e danaro, ma è in connessione costante con Dio e con il prossimo. È necessario ricreare insieme quell’equilibrio che la nostra cultura ha perso, rinunciando in nome di presunti “nuovi diritti civili” al principio fondamentale su cui la Famiglia è fondata, cioè l’unione maschio-femmina per la protezione dei piccoli. In Russia hanno la stessa visione del Matrimonio, dunque gli ortodossi e i cattolici possono condividere il medesimo destino. Per i Russi la Famiglia è l’unione tra un uomo e una donna, con il fine di generare e proteggere i figli. Non si vuole discriminare le “compagnie” delle persone dello stesso sesso, però per i cristiani fedeli al Diritto di Dio la Famiglia è l’unione tra un uomo e una donna. È evidente che c’è una superfetazione dei modelli familiari e molto spesso le famiglie tradizionali, dopo le scellerate opzioni giuridiche del passato, vengono sempre descritte in crisi. Quando è in crisi una Famiglia, ovviamente, è in crisi tutta la società. Ma il nucleo familiare è alla base della civiltà terrestre ed è la base anche della formazione dello Stato di diritto. Se noi distruggiamo questo nucleo, cioè la famiglia, distruggiamo anche lo Stato e il Diritto. Fine della storia. Per aiutare la Famiglia a risaldare i valori su cui è fondata, contrattaccando decisamente la cultura della morte che attraverso i media la Famiglia quotidianamente si trova ad affrontare nell’esaltazione dell’individualismo più scellerato, c’è una sola via. La Legge di Dio. D’altra parte sarebbe folle non capire dove condurrà la distruzione della Famiglia naturale perché le conseguenze di questo processo in atto, con i relativi problemi demografici ed economici, sono sotto gli occhi di tutti: in Europa, tra breve, non avremo più le persone che popoleranno produttivamente il Vecchio Continente, cioè che pagheranno le tasse e i contributi assistenziali e previdenziali. Allora sarà per davvero la fine! E tutto questo è collegato proprio alla politica politicante del tirare a campare degli ultimi 20 anni in Italia e in Europa, una politica errata anche nei confronti della Famiglia tradizionale voluta da Dio. Chi viola il Diritto sacrosanto del Signore, sarà chiamato a risponderne in prima persona nel Tribunale celeste. Nel frattempo apprezzamento per la “diligenza” e la “sollecitudine” mostrate, fin dai primi passi a livello diocesano, nel valutare le richieste di scioglimento del Matrimonio sacramentale, è stato espresso da Papa Francesco in una lettera allo Studio Rotale per l’apertura dell’Anno Accademico. Nell’occasione il Papa sottolinea “la sintonia del tema del corso che ben si iscrive nell’attenzione alla pastorale familiare a cui più volte ho fatto riferimento e che troverà una occasione di speciale riflessione nel prossimo Sinodo straordinario dal titolo: Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. Ogni mese – osserva Papa Bergoglio – giungono attraverso la Segreteria di Stato le richieste di scioglimento del matrimonio sacramentale rato et non consumato, dietro le quali c’è innanzitutto il desiderio di molti uomini e di molte donne credenti di poter celebrare un nuovo e valido vincolo coniugale che permetta loro di partecipare pienamente all’Eucarestia e alla vita ecclesiale nel contesto di una ritrovata pace interiore”. La lettera pone in risalto la “cooperazione tra le curie diocesane e il Tribunale della Rota in questa materia” e l’elogio del Papa per il lavoro preparatorio svolto “con diligenza e sollecitudine nelle curie diocesane delle Chiese particolari” presso cui le domande sono istruite “prima di giungere al dicastero romano per lo studio richiesto dalla norma canonica”. Mentre la Croazia dice No alle nozze omosessuali. Interpellata da un referendum, la Croazia stabilisce che il Matrimonio sia definito nella Costituzione come unione esclusiva tra un uomo e una donna. La vittoria è andata all’organizzazione “Nel nome della famiglia” che ha promosso l’iniziativa sostenuta dalla Chiesa cattolica croata. Netta la vittoria sul quesito costituzionale: il 65,77 percento dei votanti ha detto Sì alla definizione esclusiva di Matrimonio eterosessuale, contro il 33,62 percento dei No. La bassa l’affluenza alle urne, il 38 percento dei 3,8 milioni circa di aventi diritto al voto, non invalida il Referendum che in Croazia non prevede quorum di partecipazione. La modifica referendaria alla Costituzione allinea la Croazia a Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria e Bulgaria, i cinque Paesi dell’Unione Europea che hanno già una definizione costituzionale esclusivamente eterosessuale di Matrimonio. Il referendum croato dimostra che il sentire popolare, l’atteggiamento delle persone rispetto al tema del Matrimonio e dell’identità della Famiglia è molto cauto, molto attento a custodire una storia e una tradizione millenaria che è quella dell’identità sessuale, del maschile e del femminile, delle responsabilità dei genitori rispetto ai figli da proteggere. I libertari però daranno battaglia per distruggere la Famiglia anche in Croazia. Ma il risultato elettorale è la conferma che alcune posizioni estreme “liberal” che chiedono l’assimilazione alla cultura dominante pagana, cioè le nozze per le persone omosessuali, sono contro il sentire comune del buon padre di Famiglia e della sapienza popolare. Gli interventi “elitari” di un pezzo di cultura “omo”, che nel mondo dominano i media, i social network e la politica delle multinazionali dell’informatica, forse riescono ad avere molta più voce “virtuale” di quanto non abbiano sulle persone comuni reali. Anche in Croazia, oltre ai partiti di centrosinistra, diversi esponenti del mondo accademico e larga parte della stampa si erano detti contrari a questa consultazione. Come al solito è il corto-circuito dell’intellettualismo. Le posizioni ideologiche non riescono a cogliere la differenza tra il rispetto dovuto ad ogni persona indipendentemente dall’orientamento sessuale dei singoli individui, garantito sempre e comunque dalle Leggi fondamentali, e l’idea errata che questo renda automatico il riconoscimento giuridico, sociale, religioso e politico della famiglia e del matrimonio come possibile sempre e comunque. Invece il popolo croato ha liberamente detto che “il Matrimonio e la Famiglia sono una cosa molto precisa, costruita, nella nostra storia, sull’amore tra l’uomo e la donna e sull’apertura alla vita. Questo vogliamo difendere!”. Nessun atteggiamento omofobo, nessun pregiudizio nei confronti della dignità della persona, ma la netta distinzione e la difesa della logica, della ragione e del significato delle parole. Nella Famiglia naturale c’è da sempre la differenza sessuale ad unire i coniugi nell’amore reciproco che poi si effonde sui figli. Chi vuole cancellare la Famiglia e il Matrimonio compie un’operazione ideologica che, grazie a Dio, il popolo cristiano riesce ancora a distinguere. La Croazia è così diventata la sesta nazione in Europa ad avere una definizione costituzionale di Matrimonio esclusivamente eterosessuale. È la strada giusta per evitare interventi illegali imposti dall’alto per mano di burocrati pagani? Nella nostra Costituzione italiana, in effetti, non è stato scritto nell’Art. 29 che il Matrimonio è fondato sulla differenza sessuale, perché era talmente e oggettivamente riconosciuto da tutti all’epoca dei Padri costituenti, che non ce n’era assolutamente bisogno. Oggi sembra, invece, che ce ne sia per davvero bisogno! E una delle strade per difendere giuridicamente la verità naturale che appartiene al senso comune, è fissare per legge costituzionale nella nostra Costituzione italiana la vera e autentica riaffermazione della natura eterosessuale del Matrimonio a fondamento della Famiglia. Se un tempo la società naturale fondata sul Matrimonio, era automatica che fosse tra un uomo e una donna, oggi abbiamo il dovere di confermarlo con le giuste parole, per difenderlo nel linguaggio giuridico e nella normativa. Le accuse di oscurantismo ricadano pure su chi viola la logica umana: essere un popolo moderno non significa tradire il Diritto di Dio. Le aule europee dei vari Parlamenti e delle varie Corti di giustizia in futuro saranno molto aggressive nei confronti della cristianità. Grazie al cielo oggi la nostra Europa si basa sul principio di sussidiarietà: le politiche familiari e il tema della Famiglia sono sempre al centro dei dibattiti politici pubblici in capo ai singoli Paesi. La consultazione croata è un esempio che dà conforto, nel senso che quando le persone riescono ad esprimersi, a parlare, a dire liberamente ciò in cui credono su temi così fondativi dell’umano, allora viene fuori una verità più chiara di quanto non venga fuori nelle imboscate, nelle serrate degli emendamenti di legge o in tante aule di Parlamenti e Corti nazionali, regionali, comunali o anche europei. Quindi c’è un problema di Cittadinanza europea attiva: le persone che credono nel valore della Famiglia devono farsi sentire sui media e sui social network! Si è costituito a Torino il comitato “Sì alla Famiglia”. Sono 16 le associazioni coinvolte: da Alleanza Cattolica al Forum delle famiglie, dall’Agesci al Movimento Cristiano lavoratori. Il manifesto nasce da una riflessione sul Magistero della Chiesa e sugli interventi di Papa Francesco. Tre i capisaldi: la tutela del Matrimonio tra l’uomo e la donna, il Sì all’accoglienza delle persone omosessuali, il No a norme che creino reati di opinione. La Famiglia ha bisogno di essere tutelata. Definire “famiglia” altre formazioni sociali, finisce per indebolire il modello della Famiglia fondata sul Matrimonio fra un uomo e una donna. Anche i bambini hanno diritto, per la loro formazione integrale, ad avere un papà e una mamma riconoscibili. Questa non è discriminazione: è un giudizio fondato su una certa antropologia. Purtroppo le parole di Papa Francesco sono state fraintese. Ci si è lasciati affascinare dalle frasi che hanno colpito il mondo intero, secondo cui le persone omosessuali non devono essere giudicate: “Chi sono io per giudicarle?”. Ma i rimandi che il Papa stesso fa al Catechismo, sono stati deliberatamente ignorati dai media. Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, Papa Bergoglio rivendica fortemente il diritto della Chiesa e dei cattolici di prendere posizione sulle questioni politiche e sociali. Quindi da una parte: “Chi siamo noi per giudicare le persone?”, ma dall’altra: “Chi siamo noi per non giudicare le leggi e per sottrarci al nostro dovere di cristiani e di cittadini di dire un ‘sì’ o un ‘no’ quando sono sul tappeto delle proposte di tipo legislativo?”. Il manifesto “Sì alla famiglia” è favorevole a colpire in modo esemplare le violenze, le minacce e gli insulti agli omosessuali, è invece contrario a norme sull’omofobia che creino reati di opinione. Qual è il problema? Il problema è che la nozione di omofobia in tutte queste leggi che già esistono in alcuni Paesi europei, è vaga: in molti casi concreti di legge sull’omofobia, le norme applicate servono per punire le opinioni sui comportamenti omosessuali. Molti casi europei riguardano l’Islam. Allora non vogliamo che chi si oppone alle conseguenze giuridiche della cosiddetta “ideologia di genere” debba temere di andare in prigione.
Il manifesto si ricollega a quanto pronunciato dall’allora cardinale Bergoglio in una lettera del 2010 ai laici argentini, in occasione dell’approvazione di una legge che introduceva il matrimonio e le adozioni omosessuali nel Paese. La “marcia” dei laici argentini aveva una piattaforma molto simile: mansuetudine nei toni e stile cristiano; massimo rispetto per le persone, senza giudicarle – e lo dice anche il Vangelo – ma giudizio molto fermo sul dire “no” alle leggi che pretendono di introdurre il matrimonio omosessuale e l’adozione omosessuale. Su questo bisogna essere molto chiari. Non si sostiene affatto che i bambini affidati a coppie omosessuali abbiano maggiori possibilità di essere maltrattati o molestati: queste sono affermazioni che non sono sostenute dal dato statistico né sono state mai formulate! Semplicemente si afferma che un bambino con due papà o con due mamme, anziché con una mamma e un papà, non riuscirà facilmente ad apprezzare la bellezza e la differenza sessuale che, sulla base dell’antropologia cristiana, è un bene per il bambino. Cristiani cattolici e ortodossi, insieme ai nostri “fratelli maggiori” ebrei, possono quindi fare fronte comune versus l’ideologia di genere promossa da certe multinazionali informatiche. Papa Francesco ha ricevuto il 2 Dicembre 2013 in Vaticano il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Durante il cordiale colloquio, durato circa 25 minuti, è stata affrontata la complessa situazione politica e sociale del Medio Oriente, con particolare riferimento alla ripresa dei negoziati tra Israeliani e Palestinesi, auspicando che si possa giungere quanto prima ad una soluzione giusta e duratura, nel rispetto dei diritti di ambedue le Parti. Oltre ad accennare al progetto di pellegrinaggio del Santo Padre in Terra Santa sono state affrontate alcune questioni riguardanti i rapporti tra le autorità statali e le comunità cattoliche locali, nonché tra lo Stato d’Israele e la Santa Sede, con l’auspicio di una pronta conclusione dell’Accordo da tempo in preparazione. Il premier israeliano ha regalato a Papa Bergoglio un libro sull’Inquisizione spagnola, scritto da suo padre, lo storico Benzion Netanyahu, e una Hanukkiah, un candelabro ebraico in argento a otto braccia, in omaggio alla festa ebraica di Chanukkah. Il Pontefice ha regalato a Netanyahu una formella in bronzo raffigurante San Paolo. La tesi sull’Inquisizione spagnola del XV Secolo proposta nelle oltre 1400 pagine è molto diversa da quanto ci si potrebbe aspettare. Fu uno dei periodi più bui della persecuzione antiebraica per mano della Chiesa, culminato con torture, uccisioni e l’espulsione di massa degli ebrei dai domini iberici nel 1492. Benzion Netanyahu, personaggio chiave per la destra sionista, è stato il primo primo consigliere politico del figlio fino alla sua scomparsa all’età di 102 anni nell’Aprile 2012.
Nato nel 1910 a Varsavia da due ferventi sionisti, Benzion si trasferì con la famiglia nell’allora Palestina sotto mandato britannico nei primi Anni ‘20. Nel 1944, dopo aver concluso gli studi all’Università Ebraica di Gerusalemme, si trasferì negli Stati Uniti dove sposò Tzila, da cui ebbe tre figli: il primogenito, Yonathan, verrà ucciso guidando l’eroica Operazione Entebbe nel 1976. Tra gli Anni ’30 e ’40, Netanyahu divenne una figura di primo piano nei circoli del sionismo revisionista, in Israele e negli Usa. Fu capo editore dell’Encyclopaedia Hebraica e professore di storia in varie università americane, tra cui la prestigiosa Cornell University, prima di tornare a insegnare proprio all’Università ebraica di Gerusalemme. L’Inquisizione ha rappresentato una delle sue principali aree di interesse scientifico. Pubblicato per la prima volta nel 1995 da Random House, “The Origins of the Inquisition in Fifteenth-Century Spain”, il libro donato da Netanyahu a Papa Bergoglio, propone una tesi complessa e “fuoriclasse” da quella che è la più diffusa lettura di quel periodo storico da parte degli studiosi. Secondo Benzion, i cosiddetti marrani o cripto-ebrei, coloro cioè che abbracciarono nella loro vita pubblica il cristianesimo abbandonando l’ebraismo in seguito alle conversioni forzate, non rimasero in realtà ebrei: la stragrande maggioranza di essi divenne genuinamente cattolica. Le terribili persecuzioni che subì, non vanno considerate a sfondo religioso, bensì politico, dettate dalla volontà di tenere fuori i conversos da posizioni di potere e influenza all’interno della Chiesa e del regno iberico. Di conseguenza nelle argomentazioni contenute nel volume, la principale vittima dell’Inquisizione furono, più che gli ebrei, proprio i nuovi cristiani. “Un libro acuto, problematico e penetrante” – lo definiva il professor David Berger del Brooklyn College sul Commentary Magazine nella recensione uscita nel 1996, sottolineando tuttavia un uso delle fonti discutibile, risalenti per la maggior parte agli Anni ’70 senza tenere sufficientemente in debito conto il dibattito storiografico sul tema dei successivi 15 anni. Durante la visita, il premier israeliano ha spiegato a Papa Francesco come suo padre, parlasse un perfetto spagnolo, rimpiangendo di non poter fare altrettanto. “A Francesco, un grande pastore della nostra comune eredità”, è la dedica vergata per il Pontefice sul frontespizio, dal premier Netanyahu. “Non siate spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei, non lasciatevi rubare l’entusiasmo”. Così il Papa agli universitari degli atenei romani durante i primi vespri della prima Domenica di Avvento. Dal Pontefice l’esortazione a non lasciarsi condizionare dall’opinione dominante e ad andare controcorrente rimanendo fedeli ai principi etici e religiosi cristiani. Un forte appello a “non guardare la vita dal balcone”, ma a “stare lì dove ci sono le sfide del mondo contemporaneo perché “non vive chi non risponde alle sfide” inerenti i temi della vita, dello sviluppo, della lotta per la dignità delle persone, contro la povertà ed a favore dei valori cristiani. Il Papa rivolge l’appello ai giovani universitari chiedendo loro di andare controcorrente, oltre l’ordinario, non rassegnarsi alla monotonia del vivere quotidiano, coltivare progetti di ampio respiro, non lasciarsi imprigionare dal pensiero debole e dal pensiero uniforme. “Se non vi lascerete condizionare dall’opinione dominante – osserva Papa Francesco – ma rimarrete fedeli ai principi etici e religiosi cristiani, troverete il coraggio di andare anche contro-corrente”.
Il Pontefice si lascia guidare nella riflessione offerta ai giovani dalla parole di San Paolo ai Tessalonicesi. “Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione. La pienezza della vita cristiana è sempre insidiata dalla tentazione di cedere allo spirito mondano, per questo Dio ci dona il suo aiuto. La natura umana è debole e l’intervento di Dio in favore della nostra perseveranza è espressione della sua fedeltà. Tale fiducia – avverte il Papa – richiede però la nostra collaborazione attiva e coraggiosa. Cari giovani universitari, la vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del vostro Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. No ad una globalizzazione intesa come omologazione – osserva Papa Bergoglio – sì alla vera globalizzazione che è “buona”, in quanto consente di mantenere peculiarità e caratteristiche proprie, senza abbassare il livello etico.
Il modello da seguire non è la sfera, in cui è livellata ogni sporgenza e scompare ogni differenza; il modello è invece il poliedro, che include una molteplicità di elementi e rispetta l’unità nella varietà. La pluralità di pensiero e individualità è riflesso della multiforme sapienza di Dio quando si accosta alla verità, alla bontà e alla bellezza con onestà e rigore intellettuale”. Al termine della celebrazione l’icona di Maria Sedes Sapientiae è stata consegnata dagli universitari brasiliani, che l’hanno custodita quest’anno, alla delegazione degli universitari francesi. “L’incontro con Gesù è nelle opere buone” – afferma Papa Francesco nella celebrazione eucaristica presieduta domenica pomeriggio nella parrocchia romana di San Cirillo Alessandrino con il rito della Cresima per nove ragazzi. Il Papa, prima della Messa, ha incontrato i malati, i battezzati dell’anno pastorale appena concluso e ha confessato alcuni fedeli. La parrocchia, che si trova nella XVI Prefettura, ha una forte presenza di immigrati. È la seconda visita di Papa Francesco ad una parrocchia romana, dopo quella svoltasi nel Maggio scorso nella Chiesa dei Santi Elisabetta e Zaccaria. “La vita è un cammino e il regalo più grande è l’incontro con Gesù”, è il messaggio semplice ma essenziale che Papa Francesco lascia ai fedeli. Sull’incontro con Gesù, Papa Francesco si sofferma tornando più volte a ribadire che Gesù ci ama tanto. “Gesù ci guarda con amore, ci vuole tanto bene e ci guarda sempre. Incontrare Gesù è anche lasciarsi guardare da lui”. Lo incontriamo nei sacramenti e non solo.
“Quando facciamo opere buone, quando visitiamo i malati, quando aiutiamo un povero, quando pensiamo agli altri, quando non siamo egoisti, quando siamo amabili: in queste cose incontriamo sempre Gesù. E il cammino della vita è proprio questo: camminare per incontrare Gesù.
In questo cammino i peccati ci frenano e ci scoraggiano”. Il Papa pronuncia parole di forte e chiaro incoraggiamento. “Ma tu sai che le persone che Gesù cercava maggiormente di trovare erano i più peccatori; e lo rimproveravano per questo, e la gente – le persone che si credevano giuste – dicevano: ‘ma questo, questo non è un vero profeta, guarda che bella compagnia che ha!’. Era con i peccatori. E Lui diceva: ‘Io sono venuto per quelli che hanno bisogno di salute, bisogno di guarigione’, e Gesù guarisce i nostri peccati – assicura Papa Francesco – ci perdona nelle Confessioni”. Poi l’invito: “Siate coraggiosi, non abbiate paura! La vita è questo cammino. E il regalo più bello è incontrare Gesù. Avanti, coraggio! Sotto lo sguardo bello di Gesù possiamo riprendere il cammino volendoci bene come fratelli. Vi ringrazio di cuore per questo pezzo del cammino che abbiamo fatto insieme. Vi ringrazio per la vostra accoglienza, per la vostra bontà, per la vostra allegria, e vi chiedo di pregare per me, perchè ho bisogno!”. Papa Francesco ha accolto e abbracciato venti bambini polacchi ammalati di tumore e leucemia, venuti da Wrocław per incontrarlo Sabato 30 Novembre 2013 nella Sala del Concistoro. “Grazie per questa visita e grazie per le preghiera che voi fate per la Chiesa. Voi fate tanto bene alla Chiesa con le vostre sofferenze, sofferenze inspiegabili. Ma Dio conosce le cose e anche le vostre preghiere”. Con particolare affetto il Pontefice ha salutato tutti i presenti, a cominciare da Mateusz, con i suoi due anni il più piccolo del gruppo, e Katarina, una ragazzina con la Sindrome di Down. Papa Francesco ha avuto parole e gesti di incoraggiamento per i genitori. I protagonisti dell’udienza sono stati i bambini che hanno ricordato al Papa di sentirsi i “rappresentanti di tutti i loro amici, oltre duemila, che non sono potuti uscire dall’ospedale per venire a Roma, venuti per dare voce ai loro coetanei che in tutto il mondo sono vittime delle violenze e vivono in povertà”. Al Pontefice hanno portato tanti doni a nome dei loro amici: tante coroncine del santo rosario che, benedette da Papa Francesco, ora riportano nelle stanze dell’ospedale. La giornata romana dei bambini era iniziata alle ore 9 con la messa in San Pietro. A presiederla l’arcivescovo Zimowski che poi li ha accompagnati a pregare davanti alla tomba del Beato Giovanni Paolo II, il Papa che aveva ricevuto una delegazione nove anni fa. Proprio indicando la testimonianza di Karol Wojtyła, monsignor Zimowski ricorda “che la sofferenza non è mai inutile”. È questo anche il senso del nuovo appello per la pace lanciato da Papa Francesco, Sabato 30 Novembre, durante l’udienza a un gruppo di fedeli della comunità greco-melchita ricevuti nella Sala Clementina insieme con il patriarca e il Sinodo della Chiesa di Antiochia. “Cessi ogni violenza e attraverso il dialogo si trovino soluzioni giuste e durature a un conflitto che in Siria ha già causato troppi danni”. Il Pontefice invita ad avere fiducia “nella forza della preghiera e della riconciliazione”, chiedendo il “rispetto vicendevole tra le varie confessioni religiose per assicurare a tutta la popolazione siriana che da troppo tempo patisce una grande tribolazione, un futuro basato sui diritti inalienabili della persona, compresa la libertà religiosa”. Il Vescovo di Roma ribadisce la necessità di non rassegnarsi “a pensare al Medio Oriente senza cristiani”, incoraggiando la comunità greco-melchita a mantenere salde le proprie radici umane e spirituali “perché – afferma il Santo Padre – la Chiesa intera ha bisogno del patrimonio dell’Oriente cristiano”. Temi, questi, che Papa Francesco riprende nel messaggio inviato al Patriarca ecumenico Bartolomeo I in occasione della festa di Sant’Andrea. “Sono consapevole della vostra profonda preoccupazione per la situazione dei cristiani in Medio Oriente e per il loro diritto di rimanere nella loro patria” scrive Papa Bergoglio riaffermando che “il dialogo, il perdono e la riconciliazione sono gli unici strumenti possibili per ottenere la risoluzione del conflitto”. Grazie al provvidenziale ruolo strategico della Santa Madre Russia per la difesa della pace nel mondo. Da Papa Francesco un pensiero ai “cristiani che in tutto il mondo sperimentano la discriminazione e a volte pagano con il proprio sangue il prezzo della loro professione di fede”. Una situazione che sollecita tutti i credenti in Cristo a “dare una testimonianza comune per salvaguardare ovunque il diritto di esprimere pubblicamente la propria fede e di essere trattati con equità quando promuovono il contributo che il cristianesimo continua a offrire alla società e alla cultura”. Il coraggioso popolo della Siria con le sue sofferenze è sempre nel cuore di Papa Francesco che assicura le sue preghiere per quanti soffrono nel Paese e invoca il Signore affinché asciughi le lacrime dei Siriani: “la vicinanza di tutta la Chiesa li conforti nell’angoscia e li preservi dalla disperazione. La vostra Chiesa da secoli ha saputo convivere pacificamente con altre religioni ed è chiamata a svolgere un ruolo di fraternità in Medio Oriente. Vi incoraggio a mantenere salde le radici umane e spirituali della tradizione melchita, custodendo dovunque l’identità greco-cattolica, perché la Chiesa intera ha bisogno del patrimonio dell’Oriente cristiano, di cui anche voi siete eredi, segno visibile per tutti i nostri fratelli orientali dell’auspicata comunione col Successore di Pietro. In questa festa di Sant’Andrea Apostolo, il mio pensiero va a Bartolomeo, Patriarca di Costantinopoli, e alle Chiese Ortodosse. Preghiamo il Signore che ci aiuti a proseguire il cammino ecumenico, nella fedeltà ai principi del Concilio Ecumenico Vaticano II”. Papa Bergoglio si è soffermato sullo sforzo della evangelizzazione che deve coltivare “la sensibilità ecumenica e interreligiosa. Ciò è possibile grazie all’unità, alla quale sono chiamati i discepoli di Cristo e l’unità esige sempre la conversione da parte di tutti. Al riguardo, l’Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente di Benedetto XVI ha offerto indicazioni molto efficaci affinché i pastori e i fedeli vivano generosamente le rispettive responsabilità nella Chiesa e nella società. Le divisioni all’interno delle nostre comunità ostacolano seriamente la vita ecclesiale, la comunione e la testimonianza. Accompagno, perciò, il Patriarca e i Vescovi in questo impegno, affinché possano contribuire in tal modo all’edificazione del Corpo di Cristo. Ma vorrei tanto incoraggiare anche i sacerdoti, i religiosi e i fedeli laici ad offrire il loro essenziale apporto”. Il messaggio è stato letto dal cardinale Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani e capo di una delegazione della Santa Sede recatasi ad Istanbul, in Turchia, dov’è stata celebrata una Divina Liturgia nella Chiesa patriarcale del Fanar. Come ai tempi dell’Editto di Costantino che 1700 anni fa pose fine alla persecuzione religiosa nell’Impero Romano d’Oriente e di Occidente, “anche oggi – scrive il Papa – i cristiani d’Oriente e di Occidente devono dare una testimonianza comune per poter diffondere il messaggio di salvezza del Vangelo al mondo intero. Una cooperazione efficace ed impegnata tra i cristiani è dunque urgente e necessaria per tutelare ovunque il diritto di esprimere pubblicamente la propria fede e affinché i cristiani stessi siano trattati equamente quando promuovono il contributo del cristianesimo nella società e cultura contemporanea”. Sul fronte ecumenico, il Papa ricorda che nel 2014 ricorrerà il 50.mo anniversario dello storico incontro, a Gerusalemme, tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora, ricordando che “i cristiani sono membri di una stessa famiglia, sperimentano già la gioia dell’autentica fraternità in Cristo, pur consapevoli che la piena comunione non è stata ancora raggiunta”. Di qui, il richiamo al dovere dei cristiani di “prepararsi a ricevere questo dono di Dio attraverso la preghiera, la conversione interiore, il rinnovamento della vita e il dialogo fraterno”. Per descrivere la missione dei religiosi nel mondo contemporaneo Papa Francesco sceglie una suggestiva immagine annunciando che il 2015 sarà l’anno dedicato alla vita consacrata: “Uomini e donne che svegliano il mondo. La radicalità è richiesta a tutti i cristiani – precisa il Santo Padre – ma i religiosi sono chiamati a seguire il Signore in maniera speciale: sono uomini e donne che possono svegliare il mondo. La vita consacrata è profezia. Dio ci chiede di uscire dal nido che ci contiene ed essere inviati nelle frontiere del mondo, evitando la tentazione di addomesticarle. Questo è il modo più concreto di imitare il Signore. Ci sono Chiese giovani che stanno dando frutti nuovi. Ciò obbliga a ripensare l’inculturazione del carisma. La Chiesa deve chiedere perdono e guardare con molta vergogna gli insuccessi apostolici a causa dei fraintendimenti in questo campo, come nel caso di Matteo Ricci. Il dialogo interculturale deve spingere a introdurre nel governo degli istituti religiosi persone di varie culture che esprimono modi diversi di vivere il carisma”. Il Papa insiste sulla formazione che, a suo avviso, si basa “su quattro pilastri fondamentali: formazione spirituale, intellettuale, comunitaria e apostolica. È imprescindibile evitare ogni forma di ipocrisia e di clericalismo grazie a un dialogo franco e aperto su ogni aspetto della vita: la formazione è un’opera artigianale, non poliziesca e l’obiettivo è formare religiosi che abbiano un cuore tenero e non acido come l’aceto. Tutti siamo peccatori, ma non corrotti. Si accettino i peccatori, ma non i corrotti. La fraternità – ricorda il Pontefice – ha una forza di attrazione enorme. Suppone l’accettazione delle differenze e dei conflitti. A volte è difficile viverla, ma se non la si vive non si è fecondi. Mai dobbiamo agire come gestori davanti al conflitto di un fratello: bisogna accarezzare il conflitto. Noi vescovi dobbiamo capire che le persone consacrate non sono materiale di aiuto, ma sono carismi che arricchiscono le diocesi”. Quali sono le frontiere della missione dei consacrati? “Esse vanno cercate sulla base dei carismi” – osserva il Papa. Accanto a queste sfide cita quella culturale e quella educativa nelle scuole e nelle università. Dunque, un invito a “pensare in cristiano” perché “un cristiano non pensa solo con la testa, pensa anche con il cuore e con lo spirito che ha dentro”, nell’attuale contesto sociale “dove – rileva il Pontefice – si va sempre più insinuando un pensiero debole, uniforme, pret-à-porter”. Il Vescovo di Roma incentra la propria riflessione sul brano evangelico di Luca (21, 29-33) nel quale il Signore “con esempi semplici insegna ai discepoli a capire cosa succede. Gesù invita a osservare la pianta di fico e tutti gli alberi, perché quando germogliano si capisce che l’estate è vicina. In altri contesti il Signore usa esempi analoghi per rimproverare quei farisei che non vogliono capire “i segni dei tempi”; quelli che non vedono “il passo di Dio nella storia”, nella storia del popolo d’Israele, nella storia del cuore dell’uomo, “nella storia dell’umanità”. L’insegnamento, secondo il Santo Padre, è che “Gesù con parole semplici ci incoraggia a pensare per capire. Ed è un incoraggiamento a pensare non soltanto con la testa, ma anche con il cuore, con lo spirito, con tutto noi stessi. È questo appunto il pensare in cristiano, per poter capire i segni dei tempi. E quanti non capiscono, come avviene nel caso dei discepoli di Emmaus, sono definiti da Cristo ‘stolti e tardi di cuore’. Perché – spiega il Papa – colui che non capisce le cose di Dio è una persona così, stolta e dura di comprendonio, mentre il Signore vuole che noi capiamo cosa succede nel nostro cuore, nella nostra vita, nel mondo, nella storia; e capiamo cosa significa ciò che accade adesso. Infatti è nelle risposte a queste domande che possiamo individuare i segni dei tempi”. Dunque, basta con i maghi, i cartomanti, gli stregoni e gli astrologi di fine e inizio anno! “C’è un nemico in agguato. È lo spirito del mondo che – avverte Papa Bergoglio – ci fa altre proposte. Perché non ci vuole popolo, ci vuole massa. Senza pensiero e senza libertà. Lo spirito del mondo, in sostanza, ci spinge lungo una strada di uniformità, ma senza quello spirito che fa il corpo di un popolo, trattandoci come se noi non avessimo la capacità di pensare, come persone non libere”. E in proposito Papa Francesco chiarisce espressamente i meccanismi di persuasione occulta: “c’è un determinato modo di pensare che deve essere imposto, si fa la pubblicità di questo pensiero e si deve pensare in tal modo. È il pensiero uniforme, il pensiero uguale, il pensiero debole; un pensiero purtroppo così diffuse”. In pratica “lo spirito del mondo non vuole che noi ci chiediamo davanti a Dio: ma perché accade questo? E per distrarci dalle domande essenziali, ci propone un pensiero pret-à-porter, secondo i nostri gusti: ‘io penso come mi piace’. Questo modo di pensare va bene allo spirito del mondo; mentre quello che lui non vuole è ciò che ci chiede Gesù: il pensiero libero, il pensiero di un uomo e di una donna che sono parte del popolo di Dio”. Del resto, “la salvezza è stata proprio questa: farci popolo, popolo di Dio. Avere libertà”, come ci ricorda l’Israele del Signore. “Perché Gesù ci chiede di pensare liberamente, di pensare per capire cosa succede. Certo – osserva Papa Francesco – da soli non possiamo fare tutto: abbiamo bisogno dell’aiuto del Signore, abbiamo bisogno dello Spirito Santo per capire i segni dei tempi. Infatti è proprio lo Spirito a donarci” gratuitamente “l’intelligenza per capire. Si tratta di un regalo personale fatto a ogni uomo, grazie al quale io devo capire perché accade questo a me e qual è la strada che il Signore vuole per la mia vita”. Da qui l’esortazione del Vescovo di Roma a “chiedere al Signore Gesù la grazia che ci invii il suo spirito di intelligenza, affinché non abbiamo un pensiero debole, un pensiero uniforme, un pensiero secondo i nostri gusti, per avere invece soltanto un pensiero secondo Dio. E con questo pensiero – di mente, di cuore e di anima – che è dono dello Spirito, cercare di poter capire cosa significano le cose, capire bene i segni dei tempi”. Segni che i farisei non riescono a cogliere. “Il divieto di adorare Dio è il segno di una Apostasia generale – avverte il Santo Padre – è la grande tentazione che prova a convincere i cristiani a prendere una strada più ragionevole, più tranquilla, obbedendo agli ordini dei poteri mondani che pretendono di ridurre la religione a una cosa privata. E soprattutto non vogliono che Dio sia adorato con fiducia e fedeltà”. È proprio da questa tentazione generale del XXI Secolo che Papa Francesco mette in guardia i fedeli. È la minaccia delle minacce alla cristianità, più pericolosa del materialismo storico. Papa Francesco prende spunto dalla liturgia della Parola che “ci fa pensare agli ultimi giorni, al tempo della fine, della fine del mondo, al tempo della venuta finale di nostro Signore Gesù Cristo. Nella nostra vita, la vita di ognuno di noi, abbiamo tentazioni. Tante. Il demonio ci spinge per non essere fedeli al Signore. Alcune volte fortemente”. Come quella volta in cui Gesù parla a Pietro. “Il demonio voleva passarlo al vaglio come il grano. Tante volte noi abbiamo avuto questa tentazione e, peccatori, siamo caduti. Ma nella liturgia, oggi si parla della tentazione universale, della prova universale, del momento che tutto il creato, tutta la creazione del Signore sarà davanti a questa tentazione fra Dio e il male, fra Dio e il principe di questo mondo”. Del resto, “con Gesù il demonio ha incominciato a fare questa prova all’inizio della sua vita, nel deserto. E ha cercato di convincerlo a prendere un’altra strada, più ragionevole, più tranquilla, meno pericolosa. Alla fine ha fatto vedere la sua intenzione: ‘se tu mi adori io ti darò questo’! Cercava di essere il dio di Gesù. E Gesù stesso – ricorda il Papa – ha avuto poi tante prove nella sua vita pubblica: gli insulti, le calunnie o quando si sono presentati davanti a lui in modo ipocrita per metterlo alla prova. Anche alla fine della sua vita è stato messo alla prova dal principe di questo mondo sulla croce: ‘ma se tu sei il Figlio di Dio scendi e tutti noi crediamo!’. Ecco, Gesù si è trovato davanti la prova di scegliere un’altra via di salvezza. Ma alla fine la risurrezione di Gesù è avvenuta attraverso la via che il Padre voleva e non quella che voleva il principe di questo mondo. Nella liturgia, oggi la Chiesa ci fa pensare alla fine di questo mondo, perché questo finirà. La facciata di questo mondo sparirà”. E c’è una parola nel Vangelo “che ci colpisce abbastanza: tutte queste cose verranno”. Ma fino a quando bisognerà aspettare? “La risposta che ci dà il Vangelo di Luca (20, 21-28) è finché i tempi dei pagani non siano compiuti. E infatti – ricorda il Santo Padre –anche i pagani hanno un tempo di pienezza: il kairòs dei pagani. Loro hanno un kairòs che sarà questo, il trionfo finale: Gerusalemme calpestata” e, si legge nel Vangelo, “vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte”. In pratica “è la calamità – precisa il Papa – ma quando Gesù parla di questa calamità in un altro brano, ci dice che sarà una profanazione del tempio, una profanazione della fede, del popolo. Sarà l’abominazione. Sarà la desolazione dell’abominazione (Daniele 9,27)”. Cosa significa? “Sarà come il trionfo del principe di questo mondo – avverte Papa Bergoglio – la sconfitta di Dio. Sembra che lui, in quel momento finale di calamità, s’impadronirà di questo mondo diventando così il padrone del mondo”. Papa Francesco spiega come possa essere rintracciata nel libro del profeta Daniele (6, 12-28) “il centro di questa strada, di questa lotta fra il Dio vivente e il principe di questo mondo”. In sostanza “Daniele è condannato soltanto per adorazione, per adorare Dio. E la desolazione dell’abominazione si chiama divieto di adorazione. In quel tempo, non si poteva parlare di religione: era una cosa private, i segni religiosi andavano tolti e bisognava obbedire agli ordini che venivano dai poteri mondani. Si potevano fare tante cose, cose belle ma non adorare Dio, era vietato. Questo era il centro, il kairòs di questo atteggiamento pagano. Ma proprio quando si compie questo tempo, allora sì, verrà Lui. Come si legge nel passo evangelico – rivela il Papa – vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. La parola di Dio ci ricorda come i cristiani che soffrono tempi di persecuzioni, tempi di divieto di adorazione, sono una profezia di quello che accadrà a tutti. Ma proprio in momenti come quello, quando cioè i tempi dei pagani si sono compiuti – è l’esotazione del Santo Padre – risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. Infatti, il trionfo, la vittoria di Gesù Cristo è portare la creazione al Padre alla fine dei tempi”. Ma non dobbiamo avere paura. Papa Francesco ricorda la promessa di Dio “il Quale ci chiede fedeltà e pazienza. Fedeltà come Daniele che è stato fedele al suo Dio e ha adorato Dio fino alla fine. E pazienza, perché i capelli della nostra testa non cadranno, così ha promesso il Signore”. Il Papa invita a riflettere su “questa Apostasia generale che si chiama divieto di adorazione” ed a porre a se stessi la domanda: “Io adoro il Signore? Io adoro Gesù Cristo il Signore? O un po’ metà e metà, e faccio il gioco al principe di questo mondo? Adorare Dio fino alla fine con fiducia e fedeltà, è la grazia che dobbiamo chiedere”. Guai a illudersi di essere padroni del nostro tempo. “Si può essere padroni del momento che stiamo vivendo – insegna Papa Bergoglio – ma il tempo appartiene a Dio ed Egli ci dona la speranza per viverlo. C’è tanta confusione oggi nel determinare a chi effettivamente appartenga il tempo, ma non dobbiamo lasciarci ingannare”. Il Santo Padre spiega il perché e il come. “San Paolo – osserva il Papa – tante volte torna su questo e lo dice molto chiaramente: ‘La facciata di questo mondo sparirà’. Ma questa è un’altra cosa. Le letture spesso parlano di distruzione, di fine, di calamità. Quella verso la fine è una strada che deve percorrere ognuno di noi, ogni uomo, tutta l’umanità. Ma mentre la percorriamo il Signore ci consiglia due cose che sono diverse a seconda di come viviamo. Perché differente è vivere nel momento e differente è vivere nel tempo. Il cristiano è, uomo o donna, colui che sa vivere nel momento e sa vivere nel tempo. Il momento è quello che abbiamo in mano nell’istante in cui viviamo. Ma non va confuso con il tempo perché il momento passa. Forse noi possiamo sentirci padroni del momento. Ma l’inganno è crederci padroni del tempo. Il tempo non è nostro. Il tempo è di Dio. Certamente il momento è nelle nostre mani e abbiamo anche la libertà di prenderlo come più ci aggrada. Anzi noi possiamo diventare sovrani del momento. Ma del tempo c’è solo un sovrano: Gesù Cristo. Per questo il Signore ci consiglia: ‘Non lasciatevi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: Sono io, e il tempo è vicino. Non andate dietro a loro’ (Daniele, 2, 31-45). Non lasciatevi ingannare nella confusione”. Dunque, in tutte le confusioni del nostro tempo. Ma come è possibile superare questi inganni? “Il cristiano – spiega il Santo Padre – per vivere il momento senza lasciarsi ingannare deve orientarsi con la preghiera e il discernimento. Gesù rimprovera quelli che non sapevano discernere il momento”. Ecco a cosa serve il discernimento. “Per conoscere i veri segni, per conoscere la strada che dobbiamo prendere in questo momento. La preghiera è necessaria per vivere bene questo momento. Invece per quanto riguarda il tempo, del quale soltanto il Signore è Padrone, noi – avverte il Pontefice – non possiamo fare nulla. Non c’è infatti virtù umana che possa servire a esercitare qualche potere sul tempo. L’unica virtù possibile per guardare al tempo deve essere regalata dal Signore: è la speranza”. Preghiera e discernimento per il momento. Speranza per il tempo. “Così il cristiano si muove su questa strada del momento, con la preghiera e il discernimento. Ma lascia il tempo alla speranza. Il cristiano sa aspettare il Signore in ogni momento; ma spera nel Signore alla fine dei tempi. Uomo e donna di momenti e di tempo, di preghiera e discernimento e di speranza. Ci dia il Signore la grazia di camminare con la saggezza. Anche questa è un dono: la saggezza che nel momento ci porta a pregare e a discernere, e nel tempo, che è messaggero di Dio, ci fa vivere con speranza”. Nell’Udienza generale di Mercoledì 27 Novembre 2013, in una gelida e sempre gremita Piazza San Pietro, Papa Francesco esprime il proprio ringraziamento ai fedeli “coraggiosi con questo freddo in piazza, tanti complimenti”, e porta a termine le catechesi sul “Credo” svolte durante l’Anno della Fede. “In questa catechesi e nella prossima – afferma il Santo Padre – vorrei considerare il tema della risurrezione della carne, cogliendone due aspetti così come li presenta il Catechismo della Chiesa Cattolica, cioè il nostro morire e il nostro risorgere in Gesù Cristo. Oggi mi soffermo sul primo aspetto, «morire in Cristo». Fra noi comunemente c’è un modo sbagliato di guardare la morte. La morte ci riguarda tutti, e ci interroga in modo profondo, specialmente quando ci tocca da vicino, o quando colpisce i piccoli, gli indifesi in una maniera che ci risulta “scandalosa”. A me sempre ha colpito la domanda: perché soffrono i bambini?, perché muoiono i bambini? Se viene intesa come la fine di tutto, la morte spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino. Questo capita quando consideriamo la nostra vita come un tempo rinchiuso tra due poli: la nascita e la morte; quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello della vita presente; quando si vive come se Dio non esistesse. Questa concezione della morte è tipica del pensiero ateo, che interpreta l’esistenza come un trovarsi casualmente nel mondo e un camminare verso il nulla. Ma esiste anche un ateismo pratico, che è un vivere solo per i propri interessi e vivere solo per le cose terrene. Se ci lasciamo prendere da questa visione sbagliata della morte, non abbiamo altra scelta che quella di occultare la morte, di negarla, o di banalizzarla, perché non ci faccia paura”. Il mondo sperimenta questi palliativi fallimentari ogni giorno anche nella cultura e nell’arte. “Ma a questa falsa soluzione – osserva Papa Francesco – si ribella il “cuore” dell’uomo, il desiderio che tutti noi abbiamo di infinito, la nostalgia che tutti noi abbiamo dell’eterno”. E allora qual è il senso cristiano della morte? “Se guardiamo ai momenti più dolorosi della nostra vita, quando abbiamo perso una persona cara – i genitori, un fratello, una sorella, un coniuge, un figlio, un amico –, ci accorgiamo che, anche nel dramma della perdita, anche lacerati dal distacco, sale dal cuore la convinzione che non può essere tutto finito, che il bene dato e ricevuto non è stato inutile. C’è un istinto potente dentro di noi, che ci dice che la nostra vita non finisce con la morte. Questa sete di vita ha trovato la sua risposta reale e affidabile nella risurrezione di Gesù Cristo”. Un evento storico reale documentato e testimoniato nella storia. “La risurrezione di Gesù – insegna il Papa – non dà soltanto la certezza della vita oltre la morte, ma illumina anche il mistero stesso della morte di ciascuno di noi. Se viviamo uniti a Gesù, fedeli a Lui, saremo capaci di affrontare con speranza e serenità anche il passaggio della morte. La Chiesa infatti prega: «Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura». Una bella preghiera della Chiesa questa! Una persona tende a morire come è vissuta. Se la mia vita è stata un cammino con il Signore, un cammino di fiducia nella sua immensa misericordia, sarò preparato ad accettare il momento ultimo della mia esistenza terrena come il definitivo abbandono confidente nelle sue mani accoglienti, in attesa di contemplare faccia a faccia il suo volto. Questa è la cosa più bella che può accaderci: contemplare faccia a faccia quel volto meraviglioso del Signore, vederlo come Lui è, bello, pieno di luce, pieno di amore, pieno di tenerezza. Noi andiamo fino a questo punto: vedere il Signore”. Parole di luce eterna. “In questo orizzonte – osserva il Vescovo di Roma – si comprende l’invito di Gesù ad essere sempre pronti, vigilanti, sapendo che la vita in questo mondo ci è data anche per preparare l’altra vita, quella con il Padre celeste. E per questo c’è una via sicura: prepararsi bene alla morte, stando vicino a Gesù. Questa è la sicurezza: io mi preparo alla morte stando vicino a Gesù”. E come si sta vicino a Gesù? “Con la preghiera, nei Sacramenti e anche nella pratica della carità. Ricordiamo che Lui è presente nei più deboli e bisognosi. Lui stesso si è identificato con loro, nella famosa parabola del giudizio finale, quando dice: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,35-36.40). Pertanto, una via sicura è recuperare il senso della carità cristiana e della condivisione fraterna, prenderci cura delle piaghe corporali e spirituali del nostro prossimo. La solidarietà nel compatire il dolore e infondere speranza è premessa e condizione per ricevere in eredità quel Regno preparato per noi. Chi pratica la misericordia non teme la morte. Pensate bene a questo: chi pratica la misericordia non teme la morte! Siete d’accordo? Lo diciamo insieme per non dimenticarlo? Chi pratica la misericordia non teme la morte”. E perché non teme la morte? “Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo. Se apriremo la porta della nostra vita e del nostro cuore ai fratelli più piccoli, allora anche la nostra morte diventerà una porta che ci introdurrà al cielo, alla patria beata, verso cui siamo diretti, anelando di dimorare per sempre con il nostro Padre, Dio, con Gesù, con la Madonna e con i santi”. Papa Francesco, all’Udienza generale di Mercoledì 4 Dicembre 2013 in Piazza San Pietro, torna nella sua catechesi sull’affermazione “Credo la risurrezione della carne. Si tratta – spiega il Santo Padre – di una verità non semplice e tutt’altro che ovvia, perché, vivendo immersi in questo mondo, non è facile comprendere le realtà future. Ma il Vangelo ci illumina: la nostra risurrezione è strettamente legata alla risurrezione di Gesù; il fatto che Egli è risorto è la prova che esiste la risurrezione dei morti. Vorrei allora presentare alcuni aspetti che riguardano il rapporto tra la risurrezione di Cristo e la nostra risurrezione. Lui è risorto! E perché Lui è risorto, anche noi risusciteremo! Anzitutto la stessa Sacra Scrittura contiene un cammino verso la fede piena nella risurrezione dei morti. Questa si esprime come fede in Dio creatore di tutto l’uomo – anima e corpo -, e come fede in Dio liberatore, il Dio fedele all’alleanza con il suo popolo. Il profeta Ezechiele, in una visione, contempla i sepolcri dei deportati che vengono riaperti e le ossa aride che tornano a vivere grazie all’infusione di uno spirito vivificante. Questa visione esprime la speranza nella futura “risurrezione di Israele”, cioè nella rinascita del popolo sconfitto e umiliato (Ez 37,1-14)”. Papa Bergoglio ricorda che “Gesù, nel Nuovo Testamento, porta a compimento questa rivelazione, e lega la fede nella risurrezione alla sua stessa persona e dice: “Io sono la risurrezione e la vita” (Gv 11,25). Infatti, sarà Gesù Signore che risusciterà nell’ultimo giorno quanti avranno creduto in Lui. Gesù è venuto tra noi, si è fatto uomo come noi in tutto, eccetto il peccato; in questo modo ci ha presi con sé nel suo cammino di ritorno al Padre. Egli, il Verbo incarnato, morto per noi e risorto, dona ai suoi discepoli lo Spirito Santo come caparra della piena comunione nel suo Regno glorioso, che attendiamo vigilanti. Questa attesa è la fonte e la ragione della nostra speranza: una speranza che, se coltivata e custodita, la nostra speranza, se noi la coltiviamo e la custodiamo, diventa luce per illuminare la nostra storia personale e anche la storia comunitaria”. Il Papa invita a ricordare sempre che “siamo discepoli di Colui che è venuto, viene ogni giorno e verrà alla fine. Se riuscissimo ad avere più presente questa realtà, saremmo meno affaticati dal quotidiano, meno prigionieri dell’effimero e più disposti a camminare con cuore misericordioso sulla via della salvezza”. Che cosa significa risuscitare? “La risurrezione, la resurrezione di tutti noi – osserva Papa Francesco – avverrà nell’ultimo giorno, alla fine del mondo, ad opera della onnipotenza di Dio, il Quale restituirà la vita al nostro corpo riunendolo all’anima, in forza della risurrezione di Gesù”. Quindi, si risorgerà nella carne gloriosa che Gesù ci ha già mostrato sulla Terra secondo la testimonianza degli Apostoli i quali cenarono insieme al Signore Risorto, con del buon pesce arrostito. “E questa è la spiegazione fondamentale, perché Gesù è Risorto, noi risusciteremo. Noi abbiamo speranza nella resurrezione, perché Lui ci ha aperto la porta: ci ha aperto la porta a questa resurrezione”. E questa trasformazione – spiega il Santo Padre – questa trasfigurazione del nostro corpo viene preparata in questa vita dal rapporto con Gesù nei Sacramenti, specialmente l’Eucaristia. Noi che in questa vita ci siamo nutriti del suo Corpo e del suo Sangue risusciteremo come Lui, con Lui e per mezzo di Lui. Come Gesù è risorto con il suo proprio corpo, ma non è ritornato ad una vita terrena, così noi risorgeremo con i nostri corpi che saranno trasfigurati in corpi gloriosi, corpi spirituali”. Il Papa poi assicura a braccio che “questa non è una bugia! Questo è vero! Noi crediamo che Gesù è Risorto, che Gesù è vivo in questo momento. Ma voi credete che Gesù sia vivo? Che è vivo? Non credete?”. Tutti in Piazza San Pietro rispondono di “Sì”. E il Papa insiste: “Credete o non credete?”. Sì! “E se Gesù è vivo, voi pensate che Gesù ci lascerà morire e non ci risusciterà? No! Lui ci aspetta. E poiché Lui è risorto, la forza della sua resurrezione risusciterà tutti noi! E già in questa vita – osserva il Papa – noi abbiamo una partecipazione alla Risurrezione di Cristo. Se è vero che Gesù ci risusciterà alla fine dei tempi, è anche vero che, per un certo aspetto, con Lui già siamo risuscitati. La vita eterna incomincia già in questo momento. E già siamo resuscitati! Infatti, mediante il Battesimo, siamo inseriti nella morte e risurrezione di Cristo e partecipiamo alla vita nuova che è la Sua vita. Pertanto, in attesa dell’ultimo giorno, abbiamo in noi stessi un seme di risurrezione, quale anticipo della risurrezione piena che riceveremo in eredità. Per questo anche il corpo di ciascuno di noi è risonanza di eternità, quindi – avverte il Santo Padre – va sempre rispettato; e soprattutto va rispettata e amata la vita di quanti soffrono, perché sentano la vicinanza del Regno di Dio, di quella condizione di vita eterna verso la quale camminiamo. Questo pensiero ci dà speranza! Siamo in cammino verso la Resurrezione. E questa è la nostra gioia: un giorno trovare Gesù, incontrare Gesù e tutti insieme, tutti insieme – non qui in Piazza, da un’altra parte – ma gioiosi con Gesù. E questo è il nostro destino!”. Il destino dei Figli della Luce. Il Papa durante l’Udienza generale ha lanciato un appello per le religiose rapite in Siria. “Desidero ora invitare tutti a pregare per le monache del Monastero greco-ortodosso di Santa Tecla a Maalula, in Siria, che due giorni fa sono state portate via con la forza da uomini armati. Preghiamo per queste monache, per queste sorelle e per tutte le persone sequestrate a causa del conflitto in corso. Continuiamo a pregare ed a operare insieme per la pace”. L’inviato delle Nazioni Unite e della Lega Araba per la pace, Lakhdar Brahimi, ha detto che è necessario raggiungere un “rapido accordo” per evitare che la crisi in corso dal Marzo 2011 in Siria trasformi il Paese “in una grande Somalia”. Preoccupazione condivisa anche dalla comunità internazionale, in primis dalla Russia. La Santa Sede segue con apprensione il caso delle cinque suore rapite tre giorni fa nel villaggio di Maalula. Ancora nessuna rivendicazione da parte dei sequestratori, molto probabilmente legati al Fronte Al Nusra. Maalula è un simbolo molto importante non soltanto per i cristiani, ma anche per i musulmani di Siria e del Medio Oriente, perché sanno che lì si parla ancora oggi la lingua di Cristo, un dialetto aramaico. Per questo, la gente è impressionata dall’evento.
Le suore sono molto impegnate nel sociale: avevano con loro degli orfani. Il loro è un monastero ortodosso tradizionale, dove viene praticata molto la pietà. La gente viene in pellegrinaggio, è molto famoso. Non c’è una persona che non vada a Maalula e Saidnaya, in Siria. Soprattutto per la festa della Croce, il 14 Settembre, sulla montagna di Maalula. “La Chiesa deve essere sempre gioiosa come Gesù” – afferma Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Pontefice sottolinea che la Chiesa è chiamata a trasmettere la gioia del Signore ai suoi figli, una gioia che dona la vera pace. “Nella prima Lettura tratta dal Libro di Isaia – osserva il Pontefice – scorgiamo il desiderio di pace che tutti abbiamo. Una pace che, dice Isaia, ci porterà il Messia. Nel Vangelo, invece, possiamo intravedere un po’ l’anima di Gesù, il cuore di Gesù: un cuore gioioso. Noi pensiamo sempre a Gesù quando predicava, quando guariva, quando camminava, andava per le strade, anche durante l’Ultima Cena. Ma non siamo tanto abituati a pensare a Gesù sorridente, gioioso. Gesù era pieno di gioia. In quella intimità con suo Padre: ‘Esultò di gioia nello Spirito Santo e lodò il Padre’. È proprio il mistero interno di Gesù, quel rapporto con il Padre nello Spirito. È la sua gioia interna, la sua gioia interiore che Lui dà a noi. E questa gioia – spiega il Papa – è la vera pace: non è una pace statica, quieta, tranquilla. No, la pace cristiana è una pace gioiosa, perché il nostro Signore è gioioso. E, anche, è gioioso quando parla del Padre: ama tanto il Padre che non può parlare del Padre senza gioia. Il nostro Dio è gioioso. E Gesù ha voluto che la sua sposa, la Chiesa, anche lei fosse gioiosa. Non si può pensare una Chiesa senza gioia e la gioia della Chiesa è proprio questo: annunciare il nome di Gesù. Dire: ‘Lui è il Signore. Il mio sposo è il Signore. È Dio. Lui ci salva, Lui cammina con noi’. E quella è la gioia della Chiesa, che in questa gioia di sposa diventa madre. Paolo VI diceva: ‘la gioia della Chiesa è proprio evangelizzare, andare avanti e parlare del suo Sposo’. E anche trasmettere questa gioia ai figli che lei fa nascere, che lei fa crescere”. Papa Francesco invita a contemplare “la pace di cui ci parla Isaia, una pace che si muove tanto, è una pace di gioia, una pace di lode, una pace che possiamo dire ‘rumorosa’ nella lode, una pace feconda nella maternità di nuovi figli. Una pace che viene proprio nella gioia della lode alla Trinità e della evangelizzazione, di andare ai popoli a dire chi è Gesù. Pace e gioia”. Il Papa pone l’accento sulle parole di Gesù rivolte al Padre: “una dichiarazione dogmatica, quando afferma: ‘Tu hai deciso così, di rivelarti non ai sapienti ma ai piccoli’. Anche nelle cose tanto serie, come questa, Gesù è gioioso, la Chiesa è gioiosa. Deve essere gioiosa. Anche nella sua vedovanza – perché la Chiesa ha una parte di vedova che aspetta il suo sposo che torni – anche nella sua vedovanza, la Chiesa è gioiosa nella speranza. Il Signore dia a tutti noi questa gioia di Gesù, lodando il Padre nello Spirito. Questa gioia della nostra madre Chiesa nell’evangelizzare, nell’annunziare il suo Sposo”. Scrive Papa Francesco: “Tutti siamo chiamati all’amicizia con Gesù. Non abbiate paura di lasciarvi amare dal Signore. Ascoltiamo, dialoghiamo e portiamo a Cristo tutti coloro che incontriamo nella vita”.
Nicola Facciolini
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