Gaia, go! Un nuovo potente benigno “occhio” astrale scruterà l’Universo alla ricerca della vita per svelare i più grandi segreti dell’Umanità. Se la Repubblica Popolare Cinese conquista la Luna (oggi “rossa”) grazie al rover Yutu armato di telecamere e sensori ad altissima risoluzione come conferma il Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa, l’Europa occupa il punto lagrangiano di equilibrio gravitazionale L2 con il nuovo prezioso Telescopio Spaziale Gaia da 1,2 miliardi di dollari. Incastonato nel razzo vettore russo-europeo Fregat-MT Soyuz pronto per il decollo dallo spazioporto di Kourou nella Guiana Francese, in diretta mondiale dal Quartier Generale dell’ESA (http://sci.esa.int/gaia/) con finestra di lancio (Giovedì 19 Dicembre 2013, alle ore universali 09:12:19) estesa fino al 5 Gennaio 2014. Quando i fantastici petali del telescopio Gaia sanno totalmente dispiegati a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, nel freddo spazio siderale, l’Umanità compirà il più grande balzo degli ultimi 3000 anni nella comprensione dell’Universo. E dall’ESO giunge il via libera definitivo alla costruzione in Cile del super telescopio E-ELT con lo scienziato italiano Roberto Tamai, Programme Manager dello European Extremely Large Telescope (nomina effettiva dal 1° Febbraio 2014). La Via Lattea conserva ancora moltissimi misteri, ma presto il satellite europeo Gaia permetterà di svelarne molti. Gaia creerà la prima immagine 3D ad altissima risoluzione della Galassia per comprendere le nostre origini e il nostro futuro nel Cosmo, ossia nel Multiverso. Gaia disegnerà le prime mappe astrali per guidare i capitani delle navi interstellari del futuro nei territori inesplorati della Nuova Frontiera, grazie alla liberalizzazione dell’impresa spaziale privata. Grandi sono i numeri del Telescopio Spaziale Gaia per la cui costruzione sono coinvolte 50 compagnie europee, 400 scienziati di 22 nazioni, tre anni di test per l’integrazione dei sistemi scientifici e tecnologici della sonda, che le assicuri una vita operativa di almeno cinque anni prima di essere consegnata alla Storia dell’Universo. Gli obiettivi della missione scientifica Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) sono molto ambiziosi: produrre la prima Mappa tridimensionale della nostra Via Lattea, rivoluzionando il mosaico di informazioni sui processi di formazione ed evoluzione stellare; la caccia grossa ad oltre duemila esomondi extrasolari alieni; la catalogazione di 200mila asteroidi nel Sistema Solare; la verifica della famosa equazione di Albert Einstein sull’equivalenza di massa-energia nella Teoria della Relatività; l’osservazione di 500mila quasars. Un passo fondamentale per capire la struttura dell’Universo è comprendere l’Universo a noi più vicino in un raggio di alcune decine di parsec. La posizione delle stelle sarà stabilita con una precisione molto maggiore, almeno mille volte superiore rispetto a quanto si può fare dalla Terra. Punto di riferimento per la missione spaziale Gaia è il celebre Osservatorio del Pic du Midi in Francia, le cui osservazioni hanno permesso di calibrare lo spettrografo di Gaia. Il censimento comprenderà un due miliardi di stelle della Via Lattea (sul totale di circa 225 miliardi di astri). L’enorme afflusso di dati contribuirà a risolvere alcuni dei più complessi rompicapi astrofisici: stabilire l’esatta forma a spirale della Galassia e individuare la Materia Oscura, la grossa fetta di massa “nascosta” che permea il nostro Universo. L’esatta distribuzione della Materia Oscura nello spaziotempo, se è più concentrata nel disco o nell’alone, è un problema ancora insoluto. Solo mappando il movimento preciso delle stelle nel disco, è possibile dedurre come la Materia Oscura sia distribuita. È molto importante saperlo perché la Materia Oscura gravitazionale è più abbondante dell’ordinaria materia visibile barionica di stelle, pianeti e umanità. Essa molto probabilmente guida l’evoluzione dell’Universo e delle altre sette dimensioni incapsulate (M-Theory) nel tessuto dello spaziotempo. Il telescopio Gaia è realizzato direttamente dall’ESA, anche per la parte della strumentazione scientifica: due telescopi con campi di vista diversi e piano focale in comune, una serie di specchi e più di cento sensori CCD che corrispondono a quasi un miliardo di pixel. Per una visione super reatina display! Gaia scansionerà continuamente tutto il cielo sfruttando i moti di rotazione e di precessione del satellite in L2. Ogni fetta dello spazio verrà osservata circa settanta volte durante la vita operativa del satellite. La partecipazione della comunità scientifica europea alla missione Gaia, prevede la responsabilità della riduzione dell’enorme mole di dati che saranno prodotti dalla missione. Tale compito sarà svolto dal Data Processing and Analysis Consortium (DPAC) degli Istituti di ricerca europei, creato dagli scienziati in risposta all’Announcement of Opportunity dell’ESA. Gaia otterrà dati astrometrici con una precisione duecento volte maggiore di quelli del satellite Hipparcos e informazioni astrofisiche sulla luminosità nelle diverse bande spettrali che permetteranno di studiare in dettaglio la formazione, la dinamica, la chimica e l’evoluzione della nostra Galassia. Sarà anche possibile individuare pianeti extrasolari e osservare asteroidi, galassie e quasars. Il contributo italiano al DPAC è notevole, secondo solo a quello francese, con la partecipazione di personale italiano alla gestione del DPAC, alla definizione e realizzazione delle pipeline di analisi e calibrazione dei dati, e la presenza sul territorio italiano di uno dei sei Data Processing Center (DPC) previsti. La missione Gaia rientra nel quadro del Programma Scientifico dell’ESA, cui l’Italia contribuisce al 13 percento circa. Un Multilateral Agreement tra tutti i Paesi membri che partecipano al progetto, è stato firmato nel Febbraio 2008. Gaia rivoluzionerà con dati senza precedenti il mosaico di informazioni sui processi astrali. Nei 5 anni di missione primaria, Gaia fornirà misure di posizioni, distanze e movimenti (astrometria) delle stelle, intensità della radiazione emessa (fotometria) e caratteristiche della radiazione stellare alle varie lunghezze d’onda (spettroscopia). Gaia si spingerà anche oltre, approfondendo la conoscenza della popolazione di asteroidi ricchissimi di amminoacidi (i mattoni della vita) e delle origini del nostro Sistema Solare, ricercando la presenza di esopianeti in orbita intorno ad altre stelle, studiando le nane brune ed altri fenomeni astrofisici quali supernovae e quasar. L’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) insieme ad ASI e ALTEC, ha organizzato un evento a Torino per la diretta del lancio, con una tavola rotonda insieme ai protagonisti della missione. L’evento è immortalato da uno speciale “annullo” filatelico per l’occasione con la proiezione, in prima assoluta, di un “motion comics” dedicato alla missione realizzato dalla Maga animation studios in collaborazione con l’INAF-Osservatorio Astrofisico di Torino, trasmetto in diretta streaming sul sito Media INAF. Molti gli Istituti e gli Osservatori coinvolti nella missione, come è indicato nella mappa. Il lancio di Gaia con un vettore russo è un nuovo grande successo per la scienza dell’ESA. “L’obiettivo – spiega il Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Enrico Saggese – è quello di fare precise e dettagliate osservazioni stereoscopiche di oltre un miliardo di oggetti che fanno parte della nostra Galassia. Dai dati provenienti dai telescopi di Gaia ci aspettiamo risultati di particolare rilievo nel campo dell’astrometria, notevolmente migliori rispetto ai risultati ottenuti dal satellite Hipparcos. Questa missione, come quelle passate, presenti e future, vede molta Italia impegnata in prima persona, grazie al contributo dell’industria e della ricerca che si svolge nel nostro Paese”. La missione Gaia rivoluzionerà le nostre conoscenze della Via Lattea. “In particolare, indagherà sulla nascita ed evoluzione di stelle e pianeti extrasolari – osserva Barbara Negri, responsabile ASI della Esplorazione e Osservazione dell’Universo – ci si aspetta, infatti, che Gaia riveli la Storia della nostra Galassia, descrivendo con grande precisione il suo stato attuale e permettendoci così di prevedere la sua futura evoluzione. Il Data Centre realizzato a Torino presso ALTEC, che utilizzerà anche il supercalcolatore FERMI installato presso il CINECA di Bologna, è stato dimensionato per poter gestire ed archiviare l’enorme mole di dati che saranno raccolti dal satellite Gaia durante la sua vita operativa”. Secondo Giovanni Bignami, Presidente dell’INAF, “la missione Gaia testimonia l’eccellenza nell’astrofisica del nostro Paese. Sono ben 8 gli Istituti e gli Osservatori dell’INAF che contribuiranno al successo della missione a cui si aggiunge l’ASI Data Center dove operano ricercatori INAF e ASI. Un’eccellenza che ci viene riconosciuta nei consessi internazionali grazie anche al contributo di tanti giovani ricercatori che meritano di poter svolgere il loro lavoro senza dover abbandonare il proprio Paese”. Per la prima volta “potremo misurare direzioni e distanze su scala galattica – rivela Mario Lattanzi dell’INAF Osservatorio Astrofisico di Torino, responsabile del gruppo di coordinamento italiano del satellite Gaia – è come quando i cartografi hanno disegnato le prime mappe per guidare i capitani delle navi. Gaia misurerà 2 miliardi di stelle e tutti gli oggetti cosmici che riuscirà a raggiungere con telescopi e sensori. In cinque anni avremo la più grande mappa celeste mai realizzata”. Il Data Processing Center Italiano a Torino è stato “una grande sfida tecnologica dal punto di vista realizzativo che ha messo alla prova con successo le nostre capacità tecniche – fa notare Luigi Maria Quaglino, Amministratore Delegato di ALTEC – e ora siamo pronti nella fase operativa a fornire il necessario supporto industriale al team scientifico per un pieno sfruttamento dei dati”. Perché il Telescopio Spaziale Gaia? Per dare una risposta a una delle domande fondamentali del genere umano: “Siamo soli nell’universo?”, occorre studiare le stelle a noi più vicine, entro un centinaio di anni luce dal Sole. Esse rappresentano il campione più ovvio e immediato da analizzare. Il campo interdisciplinare dei pianeti extrasolari, sempre più in rapida espansione, registra un aumento di interesse nello studio delle stelle di piccola massa, chiamate comunemente stelle nane M, accanto alla ricerca di astri simili al nostro Sole. Le stelle nane M sono di sequenza principale, cioè oggetti che si trovano nella fase evolutiva più lunga e stabile bruciando tranquillamente l’Idrogeno nei loro nuclei, irradiando temperature superficiali inferiori a quelle del Sole. La ricerca di esopianeti alieni attorno a tali stelle “fredde” è estremamente interessante in quanto sono le più comuni nella nostra Galassia ma anche le più frequenti nei dintorni del Sole. Chissà quante civiltà extraterrestri ospitano! Oggi possiamo solo immaginarlo. Un giorno, grazie alla liberalizzazione dell’impresa spaziale privata, potremo visitarle direttamente. Determinare accuratamente le frequenze di esopianeti attorno a queste stelle, ha profonde implicazioni per le teorie di formazione ed evoluzione dei sistemi planetari. È recente la pubblicazione sul Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, di un articolo a firma di diversi ricercatori INAF sui risultati ottenuti con un dettagliato esperimento numerico atto a stimare le potenzialità della missione Gaia, nel rilevare e caratterizzare esopianeti giganti attorno a stelle nane M che si trovano entro 100 anni luce dal Sole. Grazie a Gaia sarà possibile rivelare piccole deviazioni periodiche nel moto stellare dovute alla perturbazione gravitazionale indotta dalla presenza di esomondi attorno alla stella madre. Ebbene, le estrapolazioni compiute sui conteggi stellari di nane M entro 300 anni luce dal Sole, permettono di fare l’ipotesi che il telescopio Gaia potrà rilevare oltre duemila nuovi esopianeti ET attorno a stelle di piccola massa; ottenere valori accurati della massa e dei parametri dell’orbita per circa 500 sistemi esoplanetari con periodo orbitale tra 0,2 e 6 anni. La dimensione del campione permetterà di porre dei limiti molto stringenti sulle frequenze planetarie attorno a stelle nane M. Quale sarà il valore aggiunto del satellite Gaia in questo campo? “I risultati astrometrici ricavati da Gaia – osserva Alessandro Sozzetti dell’INAF – Osservatorio Astrofisico di Torino, primo autore dell’articolo, già impegnato in altri progetti riguardanti la caratterizzazione dei sistemi planetari – saranno complementari a quelli ottenuti con lo spettrografo HARPS-N installato sul Telescopio Nazionale Galileo (TNG) alle Isole Canarie, dato che si tratta di osservazioni sullo stesso campione di stelle. Nell’ambito del progetto INAF GAPS (Global Architecture of Planetary Systems) le osservazioni di HARPS-N@TNG saranno un elemento di fondamentale sinergia con i dati prossimi futuri di Gaia per una comprensione globale dell’architettura di questi sistemi planetari” alieni. Gaia osserverà per cinque anni le regioni esterne dei sistemi esoplanetari alla ricerca di pianeti giganti (300 masse terrestri) con orbite entro le 5 Unità Astronomiche (fino a 10 anni di periodo). Oggetti lontani dalla stella madre, con periodi orbitali fino al doppio della durata della missione. Il programma GAPS con HARPS-N, invece, produrrà informazioni sui pianeti di piccola massa (Nettuni e Super-terre con 10-20 volte la massa della Terra) in orbita compresa nell’Unità Astronomica a noi più familiare, ovvero periodi orbitali inferiori a un anno. “La tecnica delle velocità radiali con HARPS-N@TNG e quella astrometrica con Gaia sono estremamente complementary – rivela Sozzetti – sotto questo punto di vista il campione di nane M in comune tra i due programmi sarà caratterizzato da un’accuratezza senza precedenti: Gaia individuerà tutti i pianeti gioviani su orbite di lungo periodo, dove è massima la sua sensibilità, mentre HARPS-N troverà pianeti di piccola massa nelle regioni interne dove è massima la sua sensibilità. In tal modo si potranno identificare sistemi con l’architettura analoga a quella del nostro Sistema Solare”. Grandi speranze per una missione a lungo attensa e sempre tanto lavoro da fare per gli astronomi impegnati in questo giovane affascinante ramo dell’Astrofisica. Troveremo altri mondi come la nostra Terra? Il Sistema Solare con la nostra acqua liquida è una regola o un’eccezione? I telescopi italiani coinvolti nel Gaia Science Alerts Follow-up Programme, confermano due nuove supernovae, a riprova del fatto che la sinergie di forze con l’ESO è essenziale. Gaia consentirà di scoprire un gran numero di fenomeni transienti quali: supernovae, novae, eventi di microlensing, GRBs, asteroidi, caratterizzati da una variabilità molto rapida e non prevedibile. L’identificazione e la prima caratterizzazione per distinguere tali eventi da fenomeni di variabilità di tipo periodico avverranno proprio grazie al Gaia Science Alert System (GSA). La prima distribuzione pubblica degli Alerts di Gaia alla comunità astronomica internazionale, è prevista per la metà del nuovo anno A.D. 2014. Sarà preceduta da una fase di verifica interna e messa a punto del GSA che avrà luogo nei primi sei mesi del 2014. La fase di verifica interna coinvolgerà una rete ristretta di strutture osservative distribuite in diverse zone della Terra. I telescopi INAF degli Osservatori di Bologna, Padova, Teramo (Collurania, Osservatorio Vincenzo Cerulli), Napoli e Catania, hanno offerto la loro disponibilità a contribuire a questa fase. I primi test della capacità e dei tempi di reazione dei telescopi italiani ad eventi di Alerts distribuiti da altre “surveys” sono cominciati durante l’Estate 2013 ed hanno coinvolto nel Luglio scorso il telescopio Cassini dell’Osservatorio Astronomico di Bologna a Loiano (Bo), e dal 26 al 30 Novembre anche i telescopi Copernico di 1.82 metri dell’Osservatorio di Asiago, APT2 di 0.8 mt. di Catania ed il TNT di 0.72 mt. di Teramo, meteo e inquinamento luminoso permettendo. È prevista, in futuro, anche la partecipazione del TT1 di 1.52 mt. di Toppo di Castelgrande. Il test effettuato in Novembre ha dato risultati incoraggianti consentendo la classificazione come SuperNovae di due eventi transienti segnalati il 27 ed il 29 Novembre 2013, rispettivamente la SN 2011io e la SN 2011iw. Gaia è una macchina molto efficiente anche per la scoperta di questi oggetti così importanti nell’evoluzione chimica vitale dell’Universo e nella Cosmologia. Siamo fatti, infatti, di polveri e gas stellari da supernova! Il nostro Sole non ci ha creati. Tutti gli elementi più pesanti dell’Elio, che formano i nostri corpi, sono stati elaborati nelle fucine termonucleari di stelle esplose miliardi di anni fa, prima della nascita del Sole. Rendiamo grazie a Dio ed alle ignote supernove nostre progenitrici. D’altra parte ci si aspetta che nel corso della sua intera missione, Gaia possa scoprire circa 6000 nuove supernovae. L’esperimento condotto per la prima volta dai principali telescopi nazionali, perfettamente in grado di lavorare in sinergia fra loro, ottenendo il grande vantaggio di ridurre i tempi di reazione ed aumentando l’efficienza complessiva, dimostra che Gaia può contare su scienziati italiani qualificati. Per il coordinamento delle attività e lo scambio di informazioni e dati in tempo reale durante le osservazioni di Gaia, è stato predisposto un sito dov’è possibile trovare maggiori informazioni sulle attività dell’Italian Gaia Alerts Network. La collaborazione per gli Alerts di Gaia si aggiunge al già rilevante impegno dei ricercatori INAF nel progetto: studiando nel dettaglio una coppia di stelle mancate vicino al Sole, un gruppo di astronomi ha ipotizzato l’esistenza di un terzo oggetto nascosto, dalla massa simile a quella di un pianeta. Le stelle mancate sono meglio conosciute come nane brune. Possiedono una massa più grande di quella di un pianeta come Giove, ma inferiore dell’8 percento a quella del Sole. Non raggiungono le 70 masse gioviane, la minima perché si inneschino le reazioni di fusione termonucleare proprie delle stelle, per la combustione dell’Idrogeno in Elio. Questo particolare sistema binario studiato dai ricercatori, chiamato Luhman 16AB, scoperto nelle prime settimane del 2013, dista solo 6,6 anni luce dalla Terra. Durante l’anno che volge al termine, diversi astronomi hanno studiato le due nane brune per definirne le caratteristiche. Dopo due mesi di osservazioni, il team di cui fa parte Yuri Beletsky della Carnegie University, ha trovato che entrambi gli oggetti hanno una massa compresa tra 30 e 50 masse gioviane. In confronto, il Sole ha una massa di circa mille masse di Giove. “Le due nane brune sono separate da una distanza che equivale a tre volte quella tra la Terra e il Sole – spiega Beletsky – le due nane brune sono legate gravitazionalmente e orbitano l’una attorno all’altra. Dato che hanno una massa così piccola, impiegano circa 20 anni per completare la loro orbita. Il team, guidato da Henri Boffin dell’European Southern Observatory (ESO), ha usato lo strumento FORS2 accoppiato al Very Large Telescope del Paranal in Cile, per fotografare la coppia di nane brune, ogni 5 o 6 giorni tra il 14 Aprile e il 22 Giugno 2013. Lo strumento ha permesso agli astrofisici di effettuare misurazioni molto precise: gli scienziati sono stati in grado di rilevare piccoli spostamenti dei due oggetti nella loro orbita durante i due mesi, misurando le posizioni delle due nane brune con una precisione dieci volte migliore di sempre, rilevando anche le più piccole perturbazioni della loro orbita. I ricercatori hanno osservato alcune piccole deviazioni dal movimento orbitale previsto. Da questi piccoli cambiamenti in entrambe le orbite delle nane brune, gli astronomi deducono che ci possa essere un terzo oggetto a far compagnia ai due astri mancati. Un “disturbatore” dalla massa simile a un pianeta, con un periodo orbitale dai due mesi a un anno. Future osservazioni potrebbero confermare la teoria: è molto probabile che si tratti di una terza nana bruna e, quindi, di un sistema stellare alieno triplo. Ospita esomondi alieni? L’Eso Calendar 2014 invita a contemplare i cieli australi con immagini straordinarie degne di essere conservate per sempre in ogni biblioteca. Ma la foto ripresa da Babak A. Tafreshi, uno dei Ambasciatori Fotografi dell’ESO, all’Osservatorio Paranal, mostra tre dei quattro telescopi ausiliari dell’interferometro del Very Large Telescope Interferometer (VLTI). Le lunghe strisce luminose sopra i telescopi sono le scie lasciate delle stelle. Ognuna di esse traccia la traiettoria apparente, dovuta alla rotazione della Terra, di una singola stella attraverso il buio cielo notturno. Questa tecnica fotografica amplifica i colori naturali delle stelle, che forniscono un’indicazione circa la loro temperatura. Essa è compresa tra i 1000 gradi Celsius degli astri più rossi e le decine di migliaia di gradi Celsius delle stelle più calde che appaiono blu. Il cielo, in questo remoto ed alto sito del Cile, è estremamente pulito, privo di inquinamento luminoso, in grado di offrire lo spettacolo di luci meravigliose (www.eso.org/public/outreach/partnerships/photo-ambassadors/). Alcuni astronomi dell’ESO hanno catturato la miglior immagine finora ottenuta delle strane nubi intorno all’ammasso stellare NGC 3572. Le nubi di gas e polvere sono istoriate con bolle ed archi stravaganti, strutture note come “proboscide di elefante”, dai venti stellari che escono da questo gruppo di giovani stelle calde. Le stelle più brillanti di questi ammassi stellari sono molto più pesanti del Sole e termineranno la loro breve vita con un’esplosione di Supernova. La maggior parte degli astri che Gaia osserverà non si formano da soli, ma insieme con molti fratelli e sorelle creati più o meno nello stesso tempo da una singola nube di gas e polvere. NGC 3572, nella costellazione australe della Carena, contiene molte giovani stelle calde di colore bianco-azzurro, lucenti. Producono venti stellari potenti che tendono a disperdere gradualmente il resto del gas e della polvere dei loro sistemi solari. Le nubi di gas incandescenti e gli ammassi stellari che le accompagnano sono i soggetti della nuova immagine ripresa dal Wide Field Imager montato sul telescopio da 2,2 metri dell’MPG/ESO all’Osservatorio di La Silla in Cile. I dati usati per crearla sono stati ottenuti da un gruppo guidato dall’astronomo Giacomo Beccari dell’ESO, che ha sfruttato le capacità del WFI per studiare la fisica dei dischi protoplanetari nelle giovani stelle di NGC 3572. Grande è stata la sorpresa di trovare nell’ammasso stelle più vecchie di dieci milioni di anni ancora in fase di accrescimento e circondate da un disco di polveri. Ciò prova che la formazione stellare in NGC 3572 è in corso d’opera da almeno 10-20 milioni di anni. L’implicazione è ovvia: la formazione degli esopianeti è un processo che può continuare su scale temporali molto più lunghe di quanto si pensasse. Nella parte inferiore dell’immagine è visibile ancora una gran parte della nube molecolare che ha dato vita alle stelle giovani. È stata martoriata dalla potente radiazione prodotta dalla sua prole incandescente. La radiazione non solo la fa risplendere di una tonalità caratteristica, ma scolpisce le nubi con forme contorte: bolle, archi e colonne scure che gli astronomi hanno soprannominato “proboscidi”. L’esempio più famoso di queste proboscidi elefantiache sono i Pilastri della Creazione nella Nebulosa Aquila, ritratti con squisisti dettagli dall’Hubble Space Telescope della NASA/ESA. La strana struttura che si vede nell’immagine ESO, è la piccola nebulosa a forma di anello appena sopra il centro. Gli astronomi sono ancora incerti sull’origine di questa curiosa formazione. È probabilmente un residuo denso della nube molecolare che ha formato l’ammasso, forse una bolla creatasi attorno a una stella calda molto brillante. Ma alcuni autori pensano che potrebbe trattarsi di un tipo di nebulosa planetaria, il resto di una stella estinta. Quando un astro simile al nostro Sole termina il carburante nucleare primario (Idrogeno) gonfia i propri strati esterni nello spazio circostante. I resti caldi della stella continuano a brillare, bruciando Elio nucleare, inviando radiazione nel materiale, creando gusci risplendenti di gas ionizzato bellissimi ma di breve durata e formando quelle che sono note come nebulose planetarie. Il nome storico si riferisce all’aspetto di questi oggetti quando vengono visti con un piccolo telescopio, ma non a una relazione fisica con i pianeti. Le stelle nate nell’ammasso possono essere sorelle ma non di sicuro gemelle. Hanno all’incirca la stessa età ma differiscono in dimensione, massa, temperatura e colore. Il corso della vita di un astro è determinato in gran parte dalla sua massa da non confondere con il raggio. Perciò un ammasso contiene stelle in vari stadi di vita che rappresentano per gli astronomi, dalla vita breve rispetto ai singoli astri, un laboratorio ideale in cui studiarli nel corso della loro evoluzione. La durata della vita di una stella dipende in gran parte dal suo peso. Una stella cinquanta volte più pesante del Sole avrà una vita di pochi milioni di anni. Il nostro Sole vivrà per altri circa 5 miliardi di anni, mentre le nane rosse di piccola massa possono vivere per migliaia di miliardi di anni, un’età molto più lunga del nostro attuale Universo. Queste bande di giovani stelle rimangono vicine per un tempo relativamente breve, di solito decine o centinaia di milioni di anni, e vengono gradualmente dissolte a causa delle interazioni gravitazionali e della scarsa longevità delle stelle più massicce che bruciano in fretta il proprio carburante e violentemente esplodono in Supernova, contribuendo così alla dispersione dei gas e dei metalli per la nascita di successive generazioni di stelle nell’ammasso. La Grande Nube di Magellano è una delle galassie più vicine alla nostra. Gli astronomi hanno sfruttato la potenza del Very Large Telescope dell’ESO per esplorarne una delle regioni meno note. La nuova immagine mostra nubi di gas e polvere in cui si stanno formando nuove stelle calde che scolpiscono i dintorni di strane forme. Si notano anche gli effetti della morte delle stelle: I filamenti creati da un’esplosione di Supernova. Distante circa 160mila anni luce dalla Terra, nella costellazione del Dorado, la Grande Nube di Magellano è una delle nostre vicine galattiche più prossime. Sta formando attivamente nuove stelle in regioni così luminose che alcune sono visibili da Terra ad occhio nudo, come la nebulosa Tarantola. La nuova immagine ottenuta all’Osservatorio del Paranal in Cile, esplora una zona nota come NGC 2035, chiamata anche Nebulosa Testa di Drago. NGC 2035 è una regione HII, o nebulosa ad emissione, formata da nubi di gas che risplendono a causa della radiazione energetica emessa dalle giovani stelle. Questa radiazione strappa gli elettroni dagli atomi del gas. Elettroni che alla fine si ricombinano con altri atomi ed emettono luce. Grumi scuri di polvere, mescolati con il gas, assorbono la luce, creando contorte tracce e forme scure nella nebulosa. La struttura filamentosa SNR 0536-67.6 non è il risultato della nascita delle stelle, ma piuttosto della loro morte. È stata creata da uno degli eventi più violenti nell’Universo, un’esplosione stellare di Supernova. Queste immense deflagrazioni asimmetriche (nulla a che vedere con il Big Bang) sono così brillanti da poter eclissare l’intera galassia ospite, illuminare interi mondi di giorno e di notte, prima di diminuire di intensità e sparire del tutto in alcune settimane o mesi. Sulla Terra, per quanto concerne la nostra Galassia, sono in “ritardo” da almeno 400 anni. È difficile cogliere la vastità di queste nubi, diverse centinaia di anni luce, che non si trovano neppure nella nostra Via Lattea, ma molto oltre. La Grande Nube di Magellano è enorme, ma se confrontata con la nostra Galassia, è una “nana” modesta, raggiunge appena i 14mila anni luce, circa 10 volte meno della Via Lattea. L’immagine è stata ottenuta con lo strumento FOcal Reducer and low dispersion Spectrograph, installato sul VLT all’Osservatorio del Paranal in Cile, nell’ambito del Programma Gemme Cosmiche dell’ESO che ha appena ricevuto in donazione un planetario e un centro per mostre e congressi presso il sito del suo Quartier Generale a Garching, München (Monanco di Baviera) in Germania. Il centro costituirà una magnifica opportunità per apprezzare le meraviglie dell’Astronomia e la sua realizzazione sarà possibile grazie alla Fondazione Klaus Tschira che si è offerta di finanziarne completamente la costruzione. L’ESO ha accettato la donazione offerta dalla Fondazione Klaus Tschira per finanziare la costruzione di un nuovo planetario con centro mostre e congressi. L’ESO si farà carico dei costi operativi. Il centro è progettato per invitare a guardare verso l’alto, verso le stelle, e nel frattempo comprendere l’importanza dell’Astronomia e i suoi effetti sulla vita di ogni giorno. La Fondazione Klaus Tschira è un’organizzazione no-profit fondata dal fisico Klaus Tschira nel 1995 il cui scopo è di sostenere progetti nel campo delle scienze informatiche, naturali e matematiche, con un interesse particolare nel promuovere l’istruzione e la divulgazione ai giovani. La nuova struttura sarà una magnifica opportunità per apprezzare l’Astronomia in generale e in particolare i risultati scientifici, i progetti e le innovazioni tecnologiche dell’ESO. Tutti i contenuti saranno proposti sia in inglese sia in tedesco. Il progetto esclusivo del nuovo edificio si ispira alla forma di un sistema binario, in cui la massa si trasferisce da una stella all’altra che terminerà con una supernova, da cui prende il nome la struttura: Supernova dell’ESO. Il progetto è stato ideato da Klaus Tschira con la collaborazione dello studio di architettura Bernhardt + Partner con sede a Darmstadt. Il centro si affiancherà idealmente alla spettacolare Casa dell’Astronomia (Haus der Astronomie) un centro per l’educazione e la divulgazione dell’Astronomia ad Heidelberg, in Germania, fondato alla fine del 2008 dalla Società Max Planck per l’avanzamento della scienza e dalla Fondazione Klaus Tschira. La Supernova dell’ESO sarà un’esperienza indimenticabile grazie alla cupola del planetario che sfrutta le tecnologie più all’avanguardia in oltre 2000 metri quadrati di mostre permanenti e temporanee. Altre sale per conferenze ospiteranno incontri, lezioni, seminari e convegni. Inoltre, verrà realizzato un osservatorio pubblico gestito da volontari, tecnici e ricercatori dell’ESO. “L’Astronomia è una scienza affascinante e ispiratrice, sono orgoglioso di poter contribuire a condividere con il mondo intero l’emozione generata dall’Astronomia” – osserva Klaus Tschira, Managing Director della Fondazione Klaus Tschira. “Auspichiamo che questo centro brilli come una nuova stella luminosa, generando tutt’intorno entusiasmo e passione per l’Astronomia” – dichiara Tim de Zeeuw, Direttore Generale dell’ESO. Il centro è pianificato per soddisfare obiettivi di sostenibilità per quanto riguarda gli aspetti ambientali, economici, socioculturali e funzionali, in riferimento alla tecnologia, ai processi ed al sito. Il Quartier Generale dell’ESO si trova nel Centro di ricerca di Garching, circa 15 chilometri a nord di Monaco di Baviera. È uno dei complessi e più grandi in Germania, con 6000 dipendenti e 13000 studenti. È anche il sito del più grande campus dell’Università Tecnica di Monaco, ospita numerosi istituti della Società Max Planck, l’Università Ludwig Maximilian di Monaco, l’Accademia delle Scienze bavarese e numerosi altri istituti e aziende di fama mondiale. Il progetto si basa su un’idea fiorita dalla collaborazione tra l’ESO, l’Istituto per gli Studi Teorici di Heidelberg (HITS) e l’Istituto di ricerca della fondazione Klaus Tschira. L’inizio dei lavori di costruzione è previsto per il 2014. E ci sono altre due date storiche da incorniciare. Il 4 Dicembre 2013 si è svolta una cerimonia per inaugurare i nuovi uffici del Quartier Generale dell’ESO a Garching bei München. Alla celebrazione hanno partecipato i membri del Consiglio dell’ESO, autorità locali, gli architetti Auer+Weber+Assoziierte, il contraente principale BAM Deutschland AG e il gruppo dirigente dell’ESO. L’inaugurazione dell’ampliamento rappresenta un momento importante nella storia dell’ESO poichè non solo riunirà tutto il personale dell’ESO a Garching in un unico sito, facilitando preziose collaborazioni, ma fornirà anche un edificio tecnologico in cui montare, verificare e aggiornare gli strumenti più all’avanguardia dell’ESO. L’ampliamento è stato reso possibile grazie anche a un generoso contributo del Ministero federale tedesco per la Scienza e la Ricerca. Questi due edifice (uno per uffici di 10300 metri quadrati e uno tecnico di 2900 metri quadrati) e l’area circostante coprono più del doppio della superficie attualmente occupata dal Quartier Generale dell’ESO a Garching. Lo spazio aggiuntivo – fanno sapere – era veramente necessario poiché il personale dell’ESO al momento è sparso in vari punti del campus di Garching. Inoltre, con l’E-ELT (European Extremely Large Telescope) all’orizzonte, l’ESO aveva bisogno di un luogo fisico in cui far nascere le innnovazioni tecnologiche che l’ambizioso progetto telescopico richiede. L’edificio tecnico che ospiterà anche uno dei più grandi archivi informatici di dati astronomici al mondo, sarà il fulcro di quest’opera. I due edifici e il ponte che li collega alla sede attuale sono stati ideati dagli architetti Auer+Weber+Assoziierte dopo un concorso di architettura a cui hanno partecipato numerosi progetti. Lo studio è responsabile anche dell’ideazione della Residencia dell’Osservatorio del Paranal dell’ESO in Cile, che ha ricevuto il premio LEAF nel 2004 e il premio Cityscape Architectural Review nel 2005. Il progetto dell’ampliamento è in armonia con l’edificio originale. L’edificio per uffici, che ne segue la forma curva, sfrutta le fonti di luce naturale e dispone di due cortili interni. L’edificio tecnologico è un cilindro di diametro simile allo specchio primario dell’E-ELT da 39 metri che sorgerà sul Cerro Armazones. Entrambi gli edifici sono classificati come “green” poiché il consumo di energia sarà molto inferiore a quello tipico di un edificio di queste dimensioni in Germania. Ciò è dovuto alla facciata ben isolata ed al fatto che l’edificio è scaldato e raffrescato per mezzo dell’attivazione termica della massa di calcestruzzo – per cui viene usata una pompa di calore alimentata dall’acqua di falda – e riscaldato da una rete di teleriscaldamento che sfrutta la geotermia. Quest’ampliamento, la cui costruzione è iniziata nel Gennaio 2012, segna un significativo passo avanti nell’evoluzione costante dell’ESO. L’E-ELT è il più ambizioso progetto astronomico mondiale. Il 9 Dicembre 2013 nel corso di una cerimonia presso gli uffici ESO di Vitacura in Cile, il Direttore Generale dell’ESO, Tim de Zeeuw, e i rappresentanti senior della compagnia cilena ICAFAL Ingeniería y Construcción S.A., hanno siglato un contratto per la realizzazione della strada di collegamento al Cerro Armazones, il livellamento della montagna e tutti gli altri lavori civili necessari per poter ospitare l’installazione futura del super telescopio E-ELT a 3000 metri di quota, a 20 Km dall’Osservatorio Paranal, nel deserto settentrionale cileno di Atacama. I lavori avranno inizio nel Marzo 2014 per una durata prevista di 16 mesi. E-ELT diventerà operativo agli inizi degli Anni Venti del XXI Secolo. Sarà il più grande occhio terrestre puntato sull’Universo. Secondo i dati preliminari acquisiti da Hipparcos e dal VLT in passato, circa un milione di stelle di piccola massa fu “razziato” dalla Via Lattea all’ammasso stellare Messier 12. La scoperta di un gruppo di astronomi italiani, grazie al Very Large Telescope dell’ESO, rivela i difficili trascorsi dell’ammasso. Gli ammassi globulari si muovono lungo orbite ellittiche molto allungate che periodicamente li conducono attraverso regioni densamente popolate della nostra Galassia e poi di nuovo nell’alone, la zona della Via Lattea “al di sopra” e “al di sotto” del piano galattico. Le regioni più interne e dense della Galassia (il cosiddetto “bulge”, nucleo) possono perturbare un ammasso globulare che vi si avvicina troppo, fino a strappargli le stelle più piccole. Grazie alla guida di Guido De Marchi dell’ESA, gli astronomi hanno misurato la brillanza e i colori di oltre 16000 stelle appartenenti all’ammasso M12 con una delle unità del telescopio VLT dell’ESO. Il gruppo è riuscito ad analizzare stelle che sono 50 milioni di volte più deboli di quelle osservabili a occhio nudo. Nelle vicinanze del Sole e nella maggior parte degli ammassi stellari, le stelle meno massive sono di gran lunga le più numerose. “Ma le nostre osservazioni con il VLT mostrano che questo non è il caso di M12 – racconta De Marchi – è chiaro che M12 è sorprendentemente svuotato di stelle di piccola massa. Per ogni stella di massa simile a quella del Sole ci aspettiamo di trovare circa 4 stelle di massa pari alla metà di quella solare. E invece i dati raccolti con il VLT ce ne mostrano un numero simile”. Secondo i ricercatori M12 avrebbe perso un numero di stelle paragonabile a quattro volte le stelle che contiene oggi. Circa un milione di stelle, cioè, deve essere stato espulso nell’alone galattico, probabilmente a causa di un incontro troppo ravvicinato con il centro della Via Lattea. “Il nostro risultato – osserva De Marchi – non è in accordo con le stime precedenti dell’orbita dell’ammasso, ma è perfettamente in linea con le nuove analisi basate sul catalogo stellare ricavato dai dati di Hipparcos. In altri termini: i dati di Hipparcos e il nostro risultato vanno a braccetto e mostrano che i modelli precedenti dell’orbita dell’ammasso erano poco accurati”. L’aspettativa di vita di M12 è di circa 4,5 miliardi di anni, circa un terzo della sua presente età. È un periodo molto breve rispetto alla tipica aspettativa di vita per un ammasso globulare, che si aggira intorno ai 20 miliardi di anni. Nel 1999 lo stesso gruppo aveva rivelato un altro esempio di ammasso globulare che ha perso un’elevata frazione del suo contenuto stellare iniziale. Si spera ora, grazie anche al Telescopio Spaziale Gaia, di scoprire e studiare molti altri ammassi come questi, per chiarire la dinamica del processo che ha condotto alle caratteristiche attuali dell’alone della nostra Galassia. “Tutto questo ci fa capire come gli ammassi globulari interagiscono con la Via Lattea e come hanno rifornito l’alone galattico di stelle vecchie nel corso dei milioni di anni. Ma – spiega De Marchi – se vogliamo sapere con esattezza come questi ammassi orbitano nella Galassia e come sia davvero l’alone galattico non abbiamo scelta: dobbiamo aspettare la missione Gaia dell’ESA, in grado di mapparlo in 3D”. M12 è uno dei circa 200 ammassi globulari conosciuti nella nostra Galassia. Si tratta di raggruppamenti stellari piuttosto numerosi. Possono contare da 10000 a un milione di stelle che si sono formate contemporaneamente nelle fasi iniziali della Via Lattea, tra i 12 e i 13 miliardi di anni fa. Lontano circa 23mila anni luce, in direzione della costellazione di Ofiuco, M12 è noto agli astronomi anche come NGC 6218 ed è costituito da circa 200mila stelle, la maggior parte della quali di massa compresa tra il 20 e l’80 percento del nostro Sole. Messier 12 deve il suo nome alla posizione che occupa, la dodicesima, nel catalogo di nebulose che fu compilato nel 1774 da Charles Messier, célèbre astronomo e cacciatore di comete. Gli ammassi globulari sono uno strumento-chiave per gli astronomi, perché tutte le stelle di un ammasso condividono la medesima storia: sono coeve, sono nate nello stesso luogo e si differenziano solo per la massa. Gli ammassi globulari possono ospitare civiltà aliene coeve? Con accurate misure della magnitudine delle stelle, gli astronomi possono determinare con precisione la loro grandezza relativa e il loro stadio evolutivo. Gli ammassi globulari sono veri e propri banchi di prova per le teorie di evoluzione stellare ed esoplanetaria extrasolare. La missione Hipparcos dell’ESA superò tutte le aspettative, catalogando oltre 100mila stelle con altissima precisione e oltre un milione con una precisione inferiore. La sensibilità di Hipparcos era tale che un telescopio equivalente sulla Terra avrebbe distinto la crescita di un millimetro di un capello umano a una distanza di un chilometro. La missione produsse 16 volumi di dati astronomici. La missione che succede a Hipparcos, il Telescopio Spaziale Gaia, è stata approvata nel 2000 come missione “Cornerstone” dell’ESA. Gaia è una missione di astronometria globale senza precedenti, la migliore di sempre. D’altra parte i mondi alieni là fuori è altamente probabile che siano più primordiali e simili a Titano e Marte: due mondi completamente diversi, ma scrutati da radar in buona parte pensati, realizzati e utilizzati sempre in Italia. Radar anch’essi molto differenti tra loro, dato che per mappare la superficie di Titano, la luna di Saturno quasi invisibile per le dense nubi che la avvolgono, è stato utilizzato uno strumento SAR; mentre a indagare le strutture nelle profondità di Marte, per scoprire se ci sono depositi sotterranei di acqua ghiacciata o liquida, sono MARSIS su Mars Express e SHARAD su MRO. Grazie agli ultimi fly-by ravvicinati della sonda Cassini, la cui missione dal 2004 è lo studio di Saturno e del suo sistema di satelliti ed anelli con particolare riguardo a Titano, il team del radar ha recentemente potuto realizzare un mosaico multi-immagine con un dettaglio sorprendente della regione del polo nord di Titano. Quest’area è caratterizzata dalla presenza di molti laghi e mari di idrocarburi, principalmente costituiti da metano ed etano. È stato possibile elaborare anche una mappa 3D che consente di “sorvolare” in maniera realistica l’area del Mare Ligeia. Sulla Terra il metano e l’etano sono dei gas. Ma su Titano, dove la temperatura media è di meno 170 gradi Celsius, sono allo stato liquido. Un piccolo essere alieno di Titano non sopravviverebbe a lungo sulla Terra. Nella migliore nelle ipotesi, finirebbe confinato in un accendino! Titano è una realtà per molti aspetti simile alla Terra in quanto presenta dune nella zona equatoriale, montagne, anche se non molto elevate, vulcani, fiumi, laghi e mari. Un pianeta primordiale. Tuttavia, mentre sulla Terra si trovano rocce silicatiche, su Titano è presente ghiaccio d’acqua, le dune sono formate da una polvere di idrocarburi, i vulcani sono in effetti crio-vulcani che eruttano colate di ghiaccio d’acqua e metano, e le superfici liquide di fiumi, mari e laghi, concentrati quasi solamente nelle zone polari dell’emisfero nord, sono appunto di metano. Imparare a conoscere le caratteristiche relative a superfici come laghi e mari, aiuta a capire come liquidi, solidi e gas di Titano interagiscano tra loro rendendolo in qualche modo simile alla Terra. Anche se questi due mondi non sono esattamente la stessa cosa, più lo si osserva e più emergono processi simili a quelli terrestri. Le nuove immagini mostrano che il più grande mare di Titano, denominato Kraken, è più ampio e complesso di quanto si pensasse. Quasi tutti i laghi su Titano rientrano in un’area che è di circa 900 per 1800 Km. Solo il 3 percento dei liquidi di Titano non rientra in quest’area. Gli scienziati si sono chiesti perché i laghi di Titano si trovino in quella determinata posizione. Le nuove immagini mostrano che il substrato solido e la geologia devono creare un ambiente particolarmente adatto per i laghi in quest’area. Gli scienziati ritengono che possa essere qualcosa di simile alla formazione del lago preistorico Lahontan nei pressi del Tahoe Lake, tra Nevada e California, dove la deformazione della crosta ha creato fessure che potrebbero essere state riempite con liquidi. L’opportuno utilizzo di tecniche già sviluppate nell’ambito dell’elaborazione dei dati forniti dai “radar-sounder” marziani SHARAD e MARSIS, la cui mappatura del sottosuolo di Marte continua ancora oggi con successo, ha consentito per la prima volta di eseguire questa storica misura. Lo studio, guidato da ricercatori italiani, cui hanno contribuito anche colleghi americani e francesi, e i cui risultati sono stati presentati l’11 Dicembre 2013 all’Agu Fall Meeting californiano dell’American Geophysical Union di San Francisco, dimostra in modo definitivo la natura liquida di almeno uno dei mari di Titano, il Mare Ligeia, composto da metano quasi puro, e fornisce il primo profilo batimetrico (la profondità) di un mare extraterrestre che raggiunge 160 metri circa di profondità. Il Mare Ligeia sembra proprio della giusta profondità per il radar Cassini in grado di rilevare un segnale di ritorno dal fondo del mare, che non si pensava fosse possibile ottenere. La misurazione mostra che Ligeia è più profondo in almeno un punto, rispetto alla profondità media del lago Michigan negli Usa. Questo è l’ennesimo grande successo del 2013 che si è potuto conseguire grazie alle altissime competenze scientifiche sviluppate in Italia nel campo dei radar planetari realizzati dall’ASI in collaborazione con la NASA. È una bellissima dimostrazione, insieme a Gaia, di come gli algoritmi ed i metodi di processo dei dati sviluppati nei programmi, siano potenti e flessibili e come, grazie alla splendida intuizione di giovani ricercatori ben supportati da grande team, sia possibile conseguire risultati non aspettati che giungono, come sempre dal totalmente inatteso. La missione Cassini non smette mai di stupirci. Al momento la sonda si sta avvicinando all’inizio dell’estate nord del sistema di Saturno e tutti gli scienziati si aspettano novità per quello che potenzialmente sarà il periodo di maggiori cambiamenti climatici nell’emisfero nord di Titano. La Cassini-Huygens è una missione realizzata in collaborazione tra NASA, ESA e ASI ed è gestita dal JPL, una divisione del California Institute of Technology, Pasadena, per lo Science Mission Directorate della NASA, Washington. L’orbiter Cassini è stato progettato, sviluppato e assemblato dal JPL. Lo strumento radar è stato costruito dall’ASI e dal JPL, in collaborazione con i membri del team degli Stati Uniti e di diversi Paesi europei. Ora il testimone astrale passa al Telescopio Spaziale Gaia. Come lavora il Telescopio Spaziale Gaia? Nei suoi 5 anni di missione Gaia spazzerà sistematicamente l’intera volta celeste con un moto continuo di rotazione di 6 ore di periodo intorno al proprio asse per ottenere misure di posizione di ogni oggetto celeste transitante nei suoi due campi di vista, con una precisione di pochi milionesimi di secondi d’arco. L’uso di rivelatori CCD altamente efficienti per l’acquisizione di immagini nella banda che spazia dai 320 ai 1000 nanometri e la configurazione ottica adottata, permetterà di conseguire tutti i goal prefissati. Fondamentale risulta essere la rigidità della struttura e degli specchi primari che garantiscono deformazioni strutturali dovute a variazioni termiche e gravità al di sotto rispettivamente dei 20 e dei 30 nanometri. La sonda Gaia è costituita da due telescopi che guardano lungo due linee di vista diverse separate da un angolo di 106.5 gradi, denominato “angolo di base”. Ciascun telescopio possiede 6 elementi ottici di un’inusuale forma rettangolare: sono tutti specchi a riflessone totale, con pupilla di entrata (i due primari) di dimensione 1.45 mt. x 0.5 mt.; due elementi sono in comune a entrambi i telescopi. Tramite un combinatore di fasci la luce proveniente dalle due direzioni viene quindi convogliata su un singolo piano focale composto da 106 sensori CCD di formato 4500 x 1966 pixels, per un totale di circa 1 giga-pixel (molto più di un iPad Apple!) e una dimensione di 0.5 mt. X 1 mt.: è il più grande piano focale a mosaico CCD mai sviluppato prima per lo spazio. I CCD lavorano in TDI (Time Delayed Integration). Modalità che permette di far scorrere gli elettroni alla stessa velocità dell’oggetto che transita nel campo di vista e, quindi, della sua immagine sul rivelatore, evitando così deformazioni dell’immagine. Il tutto viene mantenuto a una temperatura di meno 100 gradi Celsius in modo passivo grazie all’ambiente in L2 ed al materiale in Silicon Carbide. Il satellite Gaia è diviso in 5 settori: il Wave Front Sensor and Basic Angle Monitor (BAM) che ha il compito di monitorare e calibrare le fluttuazioni dell’angolo di base; lo Sky Mapper (SM) che autonomamente rivela gli oggetti transitanti e comunica ai CCD successivi i dettagli per seguire l’oggetto nel suo transito; il piano Astrometrico, vero e proprio Astrometric Field (AF) dedicato alle misure astrometriche, costituito da 62 CCD; il Blue e Red Fotometro (BP and RP) che forniranno misure spettrofotometriche a bassa risoluzione per ciascun oggetto nell’intervallo di lunghezza d’onda 320-660 e 650-1000 nanometri rispettivamente; lo Spettrografo per il calcolo delle velocità radiali, il Radial Velocity Spectrograph (RVS) che collezionerà spettri per oggetti più brillanti della magnitudine V=17. In pratica, la stella entra in Gaia da sinistra passando prima sullo Sky Mapper dove l’oggetto viene rivelato, e la sua posizione e luminosità vengono acquisite in tempo reale dal software di bordo che alloca una piccola finestra attorno all’oggetto, che viene quindi letta e propagata ai successivi 9 CCD. L’AF viene utilizzato come conferma della misura e l’eliminazione di falsi positivi, come quelli generati dai raggi cosmici. L’oggetto successivamente incontra sul suo cammino il BP, l’RP e l’RVS. Il Fotometro è realizzato tramite due ottiche a bassa dispersione, che misurerà la distribuzione spettrale dell’energia (SED) di tutti gli oggetti rivelati, per determinare quantità astrofisiche quali: la luminosità, la temperatura, la massa, l’età e la composizione chimica. L’errore standard medio sulla magnitudine dipenderà dal tipo di stella, dalla banda di lunghezza d’onda e magnitudine con un valore tipico tra i 10 e i 200 millesimi di magnitudine. Il principale obiettivo dello Spettrografo di Gaia sarà quello di eseguire misure di velocità radiale, parametro che completa le misure di moto proprio fornite dalla parte astrometrica. Esso è stato realizzato per ottenere spettri nella banda del vicino infrarosso (847-874 nm) coincidente con i picchi di distribuzione delle stelle di tipo G e K, le più abbondanti nell’Universo, con una risoluzione (R =λ/Δλ) di 11500. Il Telescopio Spaziale Gaia è una macchina fantastica capace di censire in luce visibile tutti gli oggetti sulla volta celeste fino alla magnitudine 20, ovvero circa milione di volte più deboli di quelli visibili ad occhio nudo. Con questa sensibilità Gaia catturerà anche la luce di circa 500mila quasars realizzando, per la prima volta nell’ottico, la più grande e profonda materializzazione del sistema di riferimento celeste di sempre, indispensabile per i futuri viaggi di sonde e navi verso lo spazio profondo. Gaia è in grado di ricostruire la direzione di arrivo dei fotoni con un’accuratezza angolare pari alle dimensioni di un’unghia umana sulla Luna vista dalla Terra! Alla fine dei suoi 5 anni di vita in orbita L2, Gaia produrrà un’immensa Mappa celeste multidimensionale, la prima costruita dall’Uomo in 3000 anni di Scienza e Filosofia, in grado di guidarci con precisione per gran parte della Via Lattea. Gaia potrà infatti estendere il suo orizzonte galattico fino al centro della Galassia, fino a comprendere i due bracci a spirale principali di Carina-Sagittario (verso l’interno) e di Perseo (verso l’esterno). La regione censita da Gaia contiene volumi di dimensione mai raggiunti per studiare il disco e l’alone vicino della Galassia. Insieme all’informazione su posizione e velocità, Gaia, grazie alla sua capacità spettro-fotometrica, raccoglierà, per ogni stella, informazioni astrofisiche quali temperatura efficace, gravità superficiale e metallicità. Questi dati avranno la profondità e la precisione necessarie per investigare e risolvere le domande fondamentali alla base del caso scientifico e filosofico della sonda Gaia: quando si sono formate le stelle della Via Lattea? Come e quando è stata assemblata la nostra Galassia; a quanto ammonta e com’è distribuita la componente “oscura” della sua massa? La quantità e qualità dei dati stellari acquisiti da Gaia permetterà finalmente il confronto con le previsioni fornite dalle più sofisticate simulazioni cosmologiche per galassie massicce come la Via Lattea segnando l’inizio della Cosmologia Locale. Ma gli stessi dati avranno un impatto enorme su tutte le branche dell’astrofisica e della fisica (sub-)nucleare, spaziando dalla fisica delle stelle a quella dei sistemi extrasolari, fino a comprendere quella parte della fisica fondamentale che si occupa della gravitazione sperimentale. La M-Teoria è corretta? Il modo con cui Gaia contribuisce alla ricerca e caratterizzazione dei pianeti extrasolari è innovativo. A differenza degli studi condotti finora, il censimento astrometrico di Gaia, come il primo di Cesare Augusto in tutto l’Impero Romano al tempo della nascita di Gesù Nostro Signore, non discriminerà né per età né per composizione chimica o orientamento spaziale, nessuna delle stelle potenzialmente in grado di ospitare pianeti alieni. E questo è molto importante perché oggi la fisica della formazione dei sistemi planetari non è in grado di prevedere quali stelle posso essere anche “soli” ovvero ospitare sistemi planetari con mondi simili alla Terra. Il problema è “osservativo” ed è affrontabile solo da strumenti in grado di eseguire censimenti completi proprio come Gaia che con la sua sensibilità riuscirà a scoprire e caratterizzare migliaia di pianeti rocciosi di tipo Nettuno, orbitanti nella zona di abitabilità delle nane rosse, entro un raggio di 25 parsec, circa 80 anni luce. La sonda Gaia studierà il Sistema Solare, un laboratorio privilegiato di fisica della gravitazione. Grazie all’accuratezza di Gaia, infatti, la luce non si propaga più in linea retta ed il tempo non è più assoluto: i fotoni percorrono “strane” geodetiche ed il tempo fisico è solo quello dell’osservatore! Siamo nella Relatività Generale di Albert Einstein, senza la quale non potremmo viaggiare nel Cosmo ed analizzare correttamente i dati di Gaia. Infatti, all’ordine del milionesimo di secondo d’arco devono essere considerati tutti i campi gravitazionali, inclusa la loro non stazionarietà, prodotti dalle masse di tutti i pianeti all’interno del Sistema Solare, compreso il Sole. Gli scienziati avranno allora più di 100 milioni di misure di deflessione angolare della luce per quello che si preannuncia come il più grande esperimento di Relatività mai effettuato, una straordinaria ripetizione, quasi un secolo dopo, dell’esperimento eseguito nel 1919 da Dyson, Eddington e Davidson che fornì la prima prova della correttezza della Relatività Generale di Einstein. Gaia ripeterà la conferma o metterà in luce qualche piccola anomalia che potrebbe avere un grandissimo impatto sulla teorie cosmologiche che su di essa si fondano? Le più grandi scoperte giungono dal totalmente inatteso.
Nicola Facciolini
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