Il 2013 in Medicina: fare senza strafare, con filosofia

“Con un paragone fra l‘ontologia/epistemologia e l’etica la mancanza di una tradizione nell’insegnamento della filosofia della medicina appare ancor più evidente, anche all’interno delle iniziative più recenti in tema di nuovi orizzonti di umanesimo, a fronte di una allocazione di temi specifici in aree non del tutto appropriate come ad es. quella storica o letteraria” […]

medic“Con un paragone fra l‘ontologia/epistemologia e l’etica la mancanza di una tradizione nell’insegnamento della filosofia della medicina appare ancor più evidente, anche all’interno delle iniziative più recenti in tema di nuovi orizzonti di umanesimo, a fronte di una allocazione di temi specifici in aree non del tutto appropriate come ad es. quella storica o letteraria”

Alma Mater Studiorum, Facoltà di Lettere e Filosiofia, Università di Bologna, 2012.

Per molti il 2013 è stato l’anno di Angelina Jolie, e della dichiarazione pubblica affidata alle pagine del New York Times con cui ha spiegato la propria scelta di sottoporsi a una mastectomia bilaterale profilattica alla luce dei risultati dei test genetici, e della familiarità.
Il dibattito che ne è seguito ha portato alla ribalta la necessità della medicina predittiva di mettere nel giusto risalto le preferenze individuali di ciascun paziente, e di assicurarsi che conosca e comprenda a fondo la propria situazione – con tutte le incertezze del caso – prima di fare una scelta. Tra le altre novità del 2013 per la clinica spicca senz’altro l’iniziativa “Choosing Wisely (vedi: http://www.choosingwisely.org/doctor-patient-lists/) portata avanti da ben 17 associazioni mediche americane per ridurre il ricorso a esami, prescrizioni  e procedure inutili e quindi potenzialmente dannosi, in particolare su pazienti asintomatici (spesso indistinguibili dalle persone sane).
Partita nel 2012, la campagna ha prodotto nel corso del 2013 ben 90 raccomandazioni a non fare, tra cui per esempio l’invito a non effettuare l’ecocardiogramma sotto stress ai pazienti asintomatici che secondo i test hanno un a basso rischio di malattia coronarica o la tomografia computerizzata nei bambini con traumi cranici minori. Dopo lunghi decenni in cui la sanità americana si è distinta per un pregiudizio a favore del fare, il 2013 ha registrato anche la presa di posizione della Joint Commission contro 5 terapie usate a sproposito o in eccesso, con effetti negativi sulla salute dei pazienti e sulla qualità delle cure: antibiotici contro il raffreddore, ma anche trasfusioni, tubi timpanostomici per l’otite media nei bambini, induzione anticipata del travaglio (in assenza di indicazioni mediche) e stent cardiaci.
Un’altra novità importante è senz’altro la pubblicazione della quinta edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il DSM-5, discusso a lungo e infine da molti accolto con la preoccupazione che possa addirittura accentuare la tendenza, già in atto, che porta a dare una diagnosi psichiatrica anche a persone fondamentalmente sane. Molte, accese critiche ha suscitato anche la pubblicazione, in novembre, delle nuove linee guida preparate congiuntamente da American Heart Association e American College of Cardiology sulla prevenzione cardiovascolare, basate su un algoritmo per il calcolo del rischio che potrebbe finire per promuovere l’uso delle statine anche in fasce di popolazione in cui i rischi potrebbero essere superiori ai benefici.
Nella direzione della medicalizzazione – anche in questo caso non senza forti critiche – è andata anche l’American Medical Association con la decisione, votata in giugno al congresso annuale, di definire l’obesità una malattia in sé, che richiede interventi per migliorare la terapia e la prevenzione. In questo senso, la decisione di Tom Hanks di rendere pubblica la propria diagnosi di diabete di tipo 2 ha contribuito a veicolare il messaggio importante che si può essere vittima di questa malattia pur avendo un peso normale e uno stile di vita sano.
In Italia, invece, si combatte con la riduzione progressiva delle risorse ma anche con umana spesa farmaceutica che resta fuori controllo, soprattutto nel Sud del Paese.
In verità, negli ultimi anni, l’Italia é riuscita a contenere la propria spesa farmaceutica grazie all’aumentata competitività e alla riduzione dei prezzi. Ciononostante, la quota di farmaci generici resta una delle più basse tra i paesi OCSE, con meno di un sesto del volume complessivo dei farmaci venduti. Tale quota è assai più bassa di quanto non si registri in altri paesi Europei quali Germania, Regno Unito o Danimarca dove i farmaci generici rappresentano circa i tre quarti del mercato.
La speranza è che la sanità italiana di oggi non sia quella di domani. Ma non c’è da essere ottimisti. Quando si è trattato riformare la giungla dei costi e della qualità della sanità della penisola anche l’utimo governo di tecnici, come quello uscente di Mario Monti, è riuscito a intervenire solo con la spending review. Quindi tagli e riduzioni di spesa che non sono stati quella riforma strutturale del settore che da almeno quindici anni tutti invocano per garantire un servizio sanitario pubblico di qualità. “La riduzione di spesa in sanità che abbiamo visto in questi ultimi due anni non è un miglioramento dell’efficienza, ma solamente l’effetto della crisi”, sostiene Nicola Salerno del Cermlab, il think tank che si occupa di economia e società che ha prodotto diversi rapporti e analisi sulla spesa sanitaria e l’efficienza dei servizi erogati. Si può quasi parlare di un effetto-paura: perché non si sa se si troveranno nuovi modi per finanziare il servizio sanitario e perché le singole amministrazioni, almeno fino al periodo elettorale, si sentivano sotto il mirino dei media di tutto il Paese.
I dati pubblicati dall’OCSE nel novembre scorso nell’edizione 2013 di Health at a Glance 2013, ci dicono che siamo ancora i più longevi in Europa, subito doo gli svizzeri e xche siamo in contrazione di costi, scesi del 2% dal 2011, con una diminuzione che riguarda, comunque, altri 10 paesi Europei nel biennio 2009-2011 a seguito della  crisi e della conseguente necessità di consolidamento fiscale. Secondo l’OCSE, tale condizione richiede all’Italia, così come agli altri paesi, di migliorare la produttività, l’efficienza e la sostenibilità finanziaria del sistema sanitario. L’Italia ha messo in atto misure al fine di contenere i costi e migliorare l’integrità fiscale: il Patto per la Salute 2010-12 ha posto una grande enfasi sul controllo della spesa pubblica attraverso la riduzione del numero di posti letto, dei ricoveri e della durata delle degenze.
Altro problema tutto italiano riguarda il numero di medici ed infermieri. In Italia, nel 2011, c’erano 4,1 medici ogni 1.000 abitanti (tra professionisti che assistono i pazienti, manager, ricercatori e professori). Un medico in più di quanto si registri nella media Ocse (3,2 x 1.000 abitanti). Solo Austria (4,8) Russia (5) e Grecia (6,1) hanno più medici di noi. Anche Spagna, Francia e Germania sono sopra la media. Il numero di medici per 1.000 abitanti è invece pari a 2,8 nel Regno Unito.
L’Italia non si caratterizza solo per l’alto numero di medici, ma anche per la loro età avanzata. Il 43% ha infatti più di 55 anni (la media Ocse è 32). Più basso della media, invece, il numero di laureati in Medicina per ogni medico, pari a 27,6 contro la media del 33,7.
Ma se gli italiani possono contare su più medici che negli altri Paesi Ocse, lo stesso non avviene con gli infermieri. Se la media Ocse è infatti di 8,8 infermieri ogni 1.000 abitanti, il dato italiano si ferma a 6,3, ben al di sotto della Germania, dove gli infermieri ogni 1.000 abitanti sono 11,4, ma anche della Francia (8,7) e del Regno Unito (8,6). Sotto l’Italia è invece la Spagna, dove gli infermieri sono solo 5,5. I nuovi laureati per ogni infermiere sono, in Italia, 29,6. Ben più basso della media Ocse, dove nel 2011 ci sono stati per ogni infermiere attivo 53,7 nuovi infermieri laureati.
Incrociando i due dati, dunque, si ricava che se nei Paesi Ocse ci sono 2,8 infermieri ogni medico, in Italia il rapporto è quasi alla pari: 1,6 infermieri ogni medico. In coda a tutti i Paesi Ocse c’è la Grecia, con un rapporto 0,5 a 1. Anche la Francia è sotto la media Ocse, ma di poco, con 2,6 infermieri ogni medico. Il Regno Unito e la Germania superano invece la linea Ocse rispettivamente con 3,1 infermieri ogni medico e 3 infermieri ogni medico.
Molto alto il carico dei medici di famiglia, come emerso dal rapporto della Società Italiama di Medicina Generale intitolato ‘Health Search’, presentato nel Congresso Nazionale Tenutosi a Firenze nell’ottobre 2013.
In Italia ogni medico di famiglia è responsabile della salute di circa 1.100 assistiti con un carico di lavoro aumentato in maniera esponenziale, passando da 6,6 contatti all’anno per paziente nel 2003 agli 8,3 del 2011, che equivalgono a più di 30 visite al giorno.
Tra gli assistiti, sono oltre 25 milioni i malati cronici a cui va garantita continuità di cura per evitare ricoveri e prestazioni inutili. Poi ci sono gli adempimenti burocratici, che occupano più della metà della nostra vita professionale. Chi va dal medico di famiglia è soprattutto donna, ma non dai 75 anni in poi, quando a prevalere sono gli uomini.
La maggior parte delle visite è di tipo ambulatoriale (il 71,5% di quelle registrate nel 2011). L’ipertensione è la patologia che impegna maggiormente i medici di famiglia (15,6% di contatti nel 2011), seguita dal diabete mellito (5,5%) e dalla dislipidemia (3,6%).
Resta inoltre eccessivo in Italia il ricorso a parti cesarei, con una media del 37,7% contro quella europea attestata al 26,9. Peggio di noi solo Turchia con il 46,2% e il Messico con il 49% (il Cile registra lo stesso dato italiano). Ben diversa la situazione negli altri Paesi europei assimilabili all’Italia. Se è vero che la quota tedesca di cesarei è sopra la media Ocse, è anche vero che è al di sotto dell’Italia di oltre 6 punti percentuali (31,1%). In Spagna la quota è del 24,9%, nel Regno Unito del 24,1%, in Olanda al 15,6% e in Islanda, il Paese con il miglior risultato, i parti cesarei sono solo il 14,7% del totale.
Quanto alle vaccinazioni è evidente che gli anziani da noi ricorrono al vaccino antinfluenzale più che in altri Paesi. A fronte di una copertura media nei Paesi Ocse pari al 50% nella popolazione over 65, infatti, in Italia, nel 2011, si era sottoposto a vaccinazione contro l’influenza il 63% delle persone con più di 65 anni di età. La copertura, pur sopra la media in gran parte di Europa, si ferma al 55% in Francia, al 56% in Germania, al 58% in Spagna. In Europa il risultato migliore se lo aggiudica però il Regno Unito, con una copertura pari al 74%. Va meglio solo in Australia (75%), Korea (80%) e Messico (94%).
Un vero problema emergente in tutti i paesi europei resta l’obesità nei bambini ed il rapporto “Health at a Glance 2013” mostra che mentre l’obesità tra gli adulti in Italia è piuttosto contenuta, la situazione tra i bambini risulta essere preoccupante, suggerendo quindi alti tassi di obesità anche per la popolazione adulta negli anni a venire. Più di un bambino su tre è attualmente considerato sovrappeso. Ciò pone l’Italia al secondo posto dopo la Grecia tra i paesi OCSE. È pertanto necessario agire per migliorare i costumi alimentari dei bambini e per aumentarne l’attività fisica, che risulta essere la più bassa tra i paesi OCSE. Le precedenti analisi dell’OCSE hanno mostrato che è possibile mettere in atto una serie di misure volte a ridurre l’obesità per un costo medio annuale di 22 dollari per persona. Tali misure dovrebbero contemporaneamente includere la promozione dell’educazione sanitaria nelle scuole, l’auto-regolamentazione della pubblicità rivolta ai bambini di prodotti alimentari, l’introduzione di un sistema di etichettature dei prodotti alimentari nonché l’attività di orientamento a migliorare gli stili di vita effettuato dai medici di medicina generale.
Resta evidente, al di là dei problemi strettamente economici fra risorse e giusto ricorso ad esse, che il problema di fondo, ma non solo nel nostro Paese, è la necessità dio cambiare paradigma in modo radicale.
Come ha detto, infatti, il prof. Victor Tambone, docente dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e direttore dell’Istituto di Filosofia dell’Agire Scientifico e Tecnologico dell’Ateneo, in nun intervento dal titolo “Quale filosofia per la medicina?”: “Per innovare la scienza, e in particolare la medicina, la filosofia è sempre stata necessaria e continua a essere un riferimento importante. Non bisogna però limitarsi agli sforzi filosofici applicativi, come di frequente è la Bioetica, ma tornare a fare ricerca di base in filosofia, e così affrontare razionalmente i quesiti che vengono dalla pratica clinica. Ad esempio: come migliorare il ragionamento clinico, se sia possibile parlare di percezione sensoriale oggettiva, quale responsabilità etica in ambito robotico e tanti altri interrogativi. Per questo varrebbe la pena investire nella creazione di Centri di Studio di Filosofia dell’Agire Scientifico”.
Come ha scritto Federico E. Pozzorriello, la filosofia è strettamente legata al percorso ideologico e pratico della medicina. Entrambe ospitano, nei loro desideri e aspettative, l’indagine sulla figura e la condizione umana. Entrambe desiderano la soluzione di problemi insolubili, di spostare un poco più in là i confini della conoscenza per consolidare la fragile sicurezza dell’esistere. Una tensione e un lavorio senza fine, consapevoli ambedue, il filosofo e il medico, della precarietà, che si stende come un orizzonte onnipresente davanti alle azioni e ai pensieri dell’uomo.
La complessità del mondo della medicina contemporanea richiede la presenza di operatori preparati e consapevoli delle motivazioni di fondo e dei fattori costitutivi che hanno contribuito, nel tempo, a formare la realtà della medicina moderna. La preparazione culturale interdisciplinare su argomenti di filosofia, storia, logica e scienze umane applicati alla medicina, consente di affrontare con maggiore serenità e compassione le problematiche di lavoro quotidiane e di immaginare soluzioni per i problemi del presente e del futuro prossimo.
Tuttavia, questo tentativo di ricomprendere nello studio dell’uomo molti  aspetti del suo essere anche un artefice di idee, oltre che un oggetto di cure, necessita di diffondere in un  pubblico il più vasto possibile la visione di una medicina non solo tecnica, magari più limitata e dolorosa nel riconoscersi tale, ma capace di investigare più a fondo sulla natura dell’uomo, per cercare soluzioni oltre la gabbia della sola ragione.
Rammentiamo, a tal proposito, il celebre passo da “La peste” di Camus: “e il dottor Rieux, guardando il golfo, pensava ai roghi di cui parla Lucrezio, innalzati davanti al mare dagli Ateniesi, ai tempi del morbo. Vi si portavano i morti durante la notte, ma il posto mancava e i vivi si battevano a colpi di torce per mettervi coloro che gli erano stati cari, sostenendo lotte sanguinose piuttosto che abbandonare i cadaveri. Si potevano immaginare i roghi rosseggianti davanti all’acqua tranquilla e scura, i combattimenti di torce nella notte crepitante di scintille e gli spessi vapori velenosi che salivano verso il cielo intento… Ma una tale vertigine non reggeva davanti alla ragione. E’ vero che la parola “peste” era stata pronunciata, è vero che in quello stesso minuto il flagello scuoteva o abbatteva una o due vittime. Ma insomma, lo si poteva fermare. Quello che bisognava fare era riconoscere chiaramente quello che doveva essere riconosciuto, cacciare infine le ombre inutili e prendere le misure necessarie.Poi la peste si sarebbe fermata, in quanto la peste non la si concepiva falsamente. Si fermava ed era la cosa più probabile, tutto sarebbe andato bene. Nel caso contrario, si sarebbe saputo che cosa fosse e se non vi fosse modo di adattarvisi prima per vincerla poi. Il dottore aprì la finestra, il brusio della città si accrebbe all’improvviso. Da un’officina poco distante saliva il sibilo breve e ripetuto d’una sega meccanica. Rieux si scosse: ivi era la certezza, nel lavoro d’ogni giorno. Il resto era appeso a fili e movimenti insignificanti, non ci si poteva fermare. L’essenziale era di far bene il proprio mestiere…”
Letture consigliate
Cavicchi J.: Il riformista che non c’è. Le politiche sanitarie tra invarianza e cambiamento, ed. Dedalo Libri, Milano, 2012.
Federspil G., Giaretta P., Moriggi S. (a cura di): Filosofia della Medicina, Ed. Raffaello Cortina, Milano, 2008.
Moretto A.: Temi di Filosofia della Medicina, Ed. Raffaello Cortina, Milano, 2012.
Nodari M. V.( a cura di): Uomo e Salute, Ed. Istituto Rezzari, Roma, 1979.
Pellissero G., Mingardi A. (a cura di): Eppur si muove. Come cambia la sanità in Europa, fra pubblico e privato, Ed. IBL, Milano, 2011.
Sesta S.: Ars curandi. Prospettive di filosofia della medicina, Ed. Aracne, Roma, 2011.

Carlo Di Stanislao

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