Renzi si concentra sulla legge elettorale e conferma di essere intenzionato a parlare con Silvio Berlusconi, così come sta facendo con tutti gli altri rappresentanti delle forze politiche in gioco, inclusi Crosetto, La Russa e Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, che ha incontrato in mattinata e dice di ritenere la polemica sul suo incontro con Forza “surreale e stravagante” e a chi (come il bersaniano Alfredo D’Attorre,) gli ha ricordato che Berlusconi è un pregiudicato e non dovrebbe trattare con lui, risponde che non ho visto ministri dimettersi per la sentenza di condanna al leader di Forza Italia, con un chiaro riferimento a Fassina, concludendo di non voler cedere al ricatto di chi concede l’accordo sulla legge elettorale per volere in cambio che si vada a votare già a maggio.,
Lui invece propende per l’abbinamento della riforma della legge elettorale con le altre riforme istituzionali e per quanto riguarda il governo ripete quello che ha sempre detto, cioè che l’esecutivo Letta va avanti finché “fa le cose”, ma lo rimprovera per la lentezza e dice che occorre darsi una mossa sulle riforme altrimenti “saremo spazzati via e tutti ci addebiteranno la colpa del fallimento”.
Si è parlato di ancora di match fra lui e Letta, che non è andato alla “direzione”, anche se, alle 22, ha chiesta un incontro col neosegretario per tentare di abbassare i toni e distendere gli animi.
Alle dieci di sera, al termine di un giornata convulsa, che ha già registrato una telefonata non proprio serena, per usare un eufemismo, Renzi varca il portone di Palazzo Chigi.
È Letta a chiedere di vederlo, così com’è il premier nel pomeriggio che alza la cornetta. Ieri Letta attendeva due cose: una parole definitiva sul Job Act, il piano sul lavoro del Pd, e una scelta sulla legge elettorale. Su entrambi i punti ha constatato che dovrà ancora attendere: la direzione di Renzi si è riunita e non ha deciso.
Resta in campo la proposta del prersidente Gianni Cuperlo per un Letta bis e riecheggiano le parole di Renzi che ha parlato di un “governo ai minimi storici”, che in dieci mesi ha accumulato molti fallimenti e resta il fatto chhe nelle due ore di faccia a faccia, dopo la “direzione”, le posizioni restano molto distanti.
L’idea di Renzi sembrerebbe quella di continuare lealmente a sostenere Letta e il suo governo, a condizione, naturalmente, che faccia quel che deve, altrimenti nessuna sopravvivenza, neanche con un rimpasto.
Ma anche se per molti la sua posizionei è ancora aperta, appare a me ed altri invece molto chiara: Letta deve costrure risultati e non continuare nella direzione delle promesse e delle buone intenzioni.
Altro fatto inequivocabile e che mentre Renzi continua a battare sui suoi temi, tanto da aver avuto, dopo la su relazione, ben 35 astensioni, fra cui alcune di notevole peso, per Letta è quasi un “mantra” la necessità di avere un partito unito, con spaccature interne e visioni diverse, mentre le Euroee sono alle porte e Grillo resta incalzante. Se il Pd non regge non è a rischio il governo, “ma il Paese e la sua tenuta”, è la convinzione del presidente del Consiglio, girata in modo molto diretto al segretario del Pd i sia nella telefonata che nell’incontro serale di due ore, aggiungendo che sarebbe un “capolavoro, in quattro mesi, mettere in crisi il governo e riconsegnare Alfano a Berlusconi”, soprattutto ora, nella cornice di un “dialogo che resta aperto su tutti i fronti” e con l’aggravio del caso De Girolamo.
Insomma per Letta (ma anche per altri del Pd, come Civati e Onofrio, ad esempio), continua l’opera renziana di demolizione del governo, aggravata dalla disunità entro le file del partito, che così diviso non può essere di grande aiuto all’esecutivo ed invece di esserne il traino, rischia di schiacciarlo.
Pertanto, nonostante l’incontro serale, resta la sensazione che il contributo di Renzi al contratto di coalizione che Letta sta scrivendo sia minimo e si mormora che, fra pochi giorni, il primo minostro chiederà un via libera su un documento e un metodo di lavoro, con cui attuare il nuovo programma.
Oppure, come sembra, sceglierà il passaggio parlamentare per una ripartenza istituzionale e, a quel punto, si vedrà quanto il Pd sia ora realmente unito e quale direzione intende prendere.
Mi è venuto in mente il IV quadro di “Un marziano a Roma” di Flaiano, quando uno scrittore fallito, confessa a Kunt, il protagonista, per telegramma la propria ignoranza, grida il sospetto di tradimento e invoca un segno. E tempo di vacanza, e la città comincia ad abituarsi alla novità; lo stesso Kunt sente il bisogno di prendere una qualche decisione che gli consenta finalmente di “agire”. In nome dell’azione lui e Anna rinunciano al matrimonio che stavano per celebrare e fuggono insieme da Adriano, lo scrittore, al mare.
Forse Renzi e Letta dovrebbero mettere da parte l’idea di leadership di partito, rinunciare a vedere chi è più forte e chi ha più consenso e decidere di “fuggire” nel mare magno dei grandi problemi italiani, tutti da risolvere e non solo in tema elettorale.
Noi intanto restiamo in attesa, ciol fiato sospeso, inotonando la prima strofa del Marzianop, alla fine del racconto di Flaiano: “La cosa significa tutto / e niente. È soltanto un rito. / Sta a voi darle un costrutto, / fingendo di aver capito”.
Carlo Di Stanislao
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