La scuola italiana è sempre più povera, ma decine di milioni di euro vengono spesi per la “migrazione” digitale: meno insegnanti, ma più tecnologia, in altre parole. E il dibattito, su un tema così caldo, non può mancare. Ad accenderlo e alimentarlo, stanno provando, a Roma, i genitori della scuola elementare Iqbal Masih, che hanno organizzato un incontro per il prossimo 22 gennaio (ore 17, via Ferraironi 38), sul tema “Media digitali: didattica, apprendimento e formazione”. Interverrà, come relatore, Roberto Casati, direttore di Ricerca al Cnrs (Ecole Normale di Parigi), che riferirà i risultati di studi scientifici sulla didattica digitale, sui suoi risultati e sui suoi possibili effetti negativi.
“Da anni i governi riducono fortemente le risorse per la scuola pubblica – denunciano i genitori – Hanno tagliato oltre 8 miliardi di euro in tre anni. In questo e nello scorso anno scolastico, il taglio di insegnanti elementari ha decretato la scomparsa del tempo pieno. Eppure il Miur (ministero Istruzione, università e ricerca) ha stanziato, solo nel 2013, nell’ambito del Piano nazionale scuola digitale (Pnsd), decine di milioni di euro per fornire le scuole di lavagne elettroniche e per ‘digitalizzare’ la didattica, modificando l’ambiente di apprendimento attraverso la dotazione individuale di tablet e computer ad un certo numero di alunni”.
Una scelta vista con favore da alcuni docenti e genitori, ma accolta invece con prudenza da molti altri, che osservano: “Partendo da una presunta ‘mutazione antropologica’, secondo cui i giovani avrebbero sviluppato il digitale come nuova e vera lingua madre, si vuol modificare radicalmente la didattica, realizzandola attraverso i media digitali: per questo si stanno fornendo in alcune classi tablet/pc ad ogni alunno. Non quindi l’utilizzo episodico ma ‘costante e diffuso’ dei dispositivi digitali”. Alla luce di questa possibilità, occorre “valutare quale sia l’impatto dell’uso intensivo delle tecnologie digitali nello specifico campo dell’apprendimento e della formazione dei soggetti in crescita, bambini ed adolescenti”. Ed è proprio questo l’obiettivo dell’incontro del 22 gennaio, che prenderà le mosse da numerosi “studi condotti da oltre 15 anni negli Usa, in paesi europei, in Nuova Zelanda, i quali – spiegano i genitori – hanno verificato che l’utilizzo precoce dei media digitali nei bambini ha conseguenze negative su diverse abilità cognitive quali attenzione, memoria, sviluppo del linguaggio e dell’intelligenza, che influiscono sui processi emotivi, sull’autocontrollo, sulla socializzazione reale, fino a condizionare le posizioni etico-morali e la stessa identità personale”.
Alcuni esempi concreti: “In Corea del Sud, il paese con la maggior diffusione di media digitali nelle scuole, un’indagine ministeriale ha evidenziato che già nel 2010 il 12% degli studenti avevano dipendenza da Internet: perciò proprio in questo paese è stata coniata la definizione di ‘demenza digitale’. Persino l’indagine PISA/OCSE (che effettua una misurazione massiva e quantitativa e non va ad analizzare le peculiarità individuali ed il pensiero divergente) indica che l’uso di Internet a scuola determina risultati scolastici peggiori e ugualmente l’uso di tablet ed e-book. Addirittura, a Los Angeles, dopo aver speso un miliardo di dollari per informatizzare le scuole, hanno fatto marcia indietro perché si sono accorti che tablet e internet sono ‘armi di distrazione di massa’. Ma allora – si chiedono infine i promotori dell’incontro – perché alcuni governi non tengono conto delle esperienze passate e di tutte queste risultanze scientifiche ed invece cantano le lodi dell’apprendimento digitale, introducendolo massicciamente nelle aule?”.
Alla luce dei dati e delle riflessioni portate avanti e condivise in questi mesi, i genitori della scuola chiedono quindi una “moratoria temporanea dell’affidamento di gadget digitali e schermi ai bambini, affinché si possa realizzare un’analisi approfondita degli studi internazionali già esistenti e si avviino studi indipendenti, seri ed interdisciplinari”.
Scuola: rischio di “demenza digitale”
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