Ieri la tribuna d’onore della cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali a Sochi era quasi vuota e molti hanno ricordato che, come spesso accaduto in passato, lo sport ha messo in imbarazzo la politica.
Non si sono presentati a salutare Putin né il Presidente cinese Xi Jinping né il premier giapponese Shinzo Abe,mentre la delegazione statunitense è stata condotta dall’ex ministro Janet Napolitano, polemicamente fitta di ex campioni dichiaratamente gay.
Assenti il premier britannico Cameron, il presidente francese Hollande e la cancelliera tedesca Merkel, il presidente tedesco Gauck ed anche se nessuno ha ufficialmente motivato l’assenza come una scelta a difesa dei diritti degli omosessuali in Russia, questa è un’interpretazione largamente diffusa.
L’Italia è invece andata, con Letta presente alla cerimonia e alla cena successiva, con 150 invitati, organizzata da Putin ed ha dovuto stringere la mano ai satrapi dei Paesi post-sovietici ed al discutibile presidente ucraino Viktor Yanukovich, al centro di una violenta e dura contestazione nel suo Paese.
Google oggi, senza immagini, manda la frase tratta dalla “Carta Olimpica” che ricorda come la pratica dello sport sia un diritto dell’uomo e che “ogni individuo deve avere la possibilità di praticare lo sport senza discriminazioni di alcun genere” e come lo “spirito olimpico” esiga “mutua comprensione, spirito di amicizia, solidarietà e fair-play”.
Dopo la lettera aperta del mese scorso di 27 premi Nobel, si sono aggiunte all’appello per il boicottaggio dei Giochi anche le Pussy Riot Nadia Tolonnikova e Maria Alyokhina, defininendo quella di Putin una prova di forza machista che attraverso l’organizzazione dei Giochi invernali più costosi della storia vuole imporre la Russia come dominus dei nuovi rapporti di potere, ma che rischia di sgretolarsi davanti alle bandiere arcobaleno della comunità Lgbt.
Da San Pietroburgo a Gerusalemme, da Londra a Parigi, in diciannove città del mondo sono state organizzate manifestazioni di attivisti per i diritti Lgbt contro gli sponsor che sostengono le Olimpiadi di Sochi e il segretario dell’Onu Ban Ki-moon che nel suo intervento durante la sessione del Cio (Comitato olimpico internazionale) alla vigilia dell’apertura dei Giochi ha ricordato che il principio 6 della Carta olimpica sancisce l’opposizione del Cio a qualsiasi forma di discriminazione e ha esortato il mondo a sollevarsi “contro gli attacchi a lesbiche e gay“.
Da mesi la Russia è al centro di proteste e critiche internazionali per la legge contro la cosiddetta “propaganda gay” tra i minori, varata l’anno scorso a livello federale ed in quello che è stato letto da molti come un boicottaggio indiretto per protestare contro la controversa legislazione russa, la presenza di Letta è per lo meno discutibile ed imbarazzante.
Ma non è né l’unico né il principale dei problemi per Enrico Letta che ieri, dopo settimane di gelo e di incomprensioni, ha visto sancita in modo chiara la staffeta competitiva fra lui e Renzi che, accogliendo la richiesta della minoranza di fare chiarezza, ha fissato ad una direzione del 20 febbraio lo show down nel Pd sulle sorti del governo.
I due si sono parlati per una decina di minuti prima della direzione del partito ma, tranne la condivisione dell’analisi sul caos di M5S e la determinazione comune a “fare presto sulla legge elettorale”, i due discorsi davanti al Parlamentino del Pd sembrano andare in direzione opposte. Già nell’accenno al silenzio, anche della politica, sulle scelte della Fiat si capisce che il segretario Pd non ha alcuna intenzione di fare sconti al governo, dopo che in mattinata aveva definito “scaduto il tempo di accarezzare le riforme”. D’altra parte, per Renzi solo la riuscita delle riforme, messe da lui in cantiere, è “l’unico modo per dare il senso di una rinascita possibile” nel rapporto tra cittadini e politica.
Scrivono Stampa e Rupubblica che l’intenzione di Renzi, almeno fino alla richiesta di Gianni Cuperlo e della minoranza a mettere fine al “gioco delle parti” tra lui e il premier, era in realtà di stanare il presidente del consiglio sulle sue intenzioni. Né in questa direzione, dedicata alla riforma del Senato e del Titolo V, né negli appuntamenti di partito indicati dal sindaco per le prossime settimane, il leader dem aveva messo in agenda il rapporto con il governo, né tantomeno il programma di governo, chiesto con insistenza dal premier ma derubrica da Renzi.
Adesso la minoranza spinge e va evidentemente acconteteta sicché si vedrà se fartlo saltare Letta o tenerlo in piedi, ma con un ampio rimpasto.
Il più polemico fra i non renziani resta Giuseppe Civati che ricorda che si fanno ancora schermaglie e guerre fra correnti e politici e non si parla di Jobs Act mentre l’Italia produttiva (e non solo) va in malora.
In questa situazione gongola la destra che è per andare al voto, sentetosi ora sufficientemente forte e sottolinea la parte del discorso di Renzi in cui il segretario afferma che la soluzioni di un rimpasto ricorda la Prima repubblica, anche se lascia a Letta la decisione di farlo.
Letta è stretto fra i problemi interni al suo partito, gli industriali che premono e la finanza che si è inventata “le banche cattive” per salvare se stessa, non finanziando l’impresa nonostate gli interventi della Bce e l’unico che continua a sosternerlo, con vari e ripetuti endorsement, è Napolitano.
Verdremo cosa si inventerà in sole due settimane ed intanto pensiamo al protagonista del film di Andò “Viva la libertà”, con un cambiamento sostitutivo imprevisto e repentino che trasforma il “politico” decotto con un gemello scrittore e filosofo sopra le righe e con risultati che portano a piacevoli sorprese.
Secondo quanto appreso ieri da MF-Dowjones, sarebbero in corso colloqui preliminari tra Intesa Sanpaolo ( salita del 2,95%), Unicredit (+1,38%) e il fondo private Usa Kkr per la realizzazione di un veicolo in cui far confluire i crediti ristrutturati. Tutti gli analisti hanno apprezzato questa ipotesi soprattutto per il fatto che permetterebbe ai due istituti di gestire meglio i crediti ristrutturati e di accelerare quindi il processo di recupero. Questa bizzarra 8perrb i comuni mortali) trovata e la rassicurazione di Draghi circa la situazione dei mercati europei, ieri ha fatto salire tutte le Borse, con Piazza Affari in testa con un 2,28% in più ed ottime prospettive future.
Forse anche letta potrà inventarsi un “ricettacolo” su cui scaricare le lentezze del governo, ma, forse, il vicolo su cui scaricare tutte le responsabiluità sarà proprio lui.
Sciascia, percorrendo Voltaire, in “Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia”, quaranta anni fa ci diceva che il nostro è un problema di classe dirigente che ha dato vita ad una società piena di tartufi, arrivisti, mistificatori, conformisti, ipocriti, affaristi e finti rivoluzionari, nemica acerrima della verità e lontanissima dal volerli risolvere i problemi.
Ma mi piace a questo punto pensare alla frase finale di Candido Manufò, pronunciata quando incontra la madre mai conosciuta e che lo vuole portare in America, a cui risponde, declinando l’invito ad abbandonare L’Italia: “Qui si sente che qualcosa sta per finire e qualcosa sta per cominciare: mi piace vedere quel che deve finire “, mentre Don Antonio Lepanto, che è presente conferma “Hai ragione, è vero: qui si sente che qualcosa sta per finire”.
Forse sono finiti i giorni di Letta, mandato a casa da Confindustria e dal suo stesso partito. O forse no. Non ha importanza.
L’importante è vedere che largamente si diffonde non solo il malcontento, ma anche la capacitòà di esprimerlo senza le brutalità violente dei Cinque Stelle ma con chiarezza su ciò che si predente dalla politica e dagli amministratori.
Ad esempio è ormai chiaro che, poiché lesportazioni italiane vanno benino e tengono in piedi per quel che si può la baracca , questo significa che il nostro sistema industriale è ancora abbastanza competitivo all’estero e che iIl problema impellente è la domanda interna perchè la gente non ha più soldi.
E siccome hanno anche capito che i politici sono diventati “piccoli piccoli” (come scrive il Fatto Quotidiano), sta ha loro crescere e maturare e rinnovare tutto, con un campio di passo personale, che porti a scenari diversi rispetto al piccolo Letta e all’altrettanto piccolo Renzi, chiacchierone, festoso ma anche lui decisamente imbarazzato per la vastità della scena e la complessità dei problemi che vanno dal lavoro alle strutture, dalle garanzie per i giovani al sostegno per la cultura.
Carlo Di Stanislao
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