Rigenerare il complesso paesaggio urbano aquilano, dominato dalla vasta e indifferenziata città diffusa, è un’impresa che richiede un’azione di ricerca e di “scavo culturale”, che va orientata alla riscoperta degli attributi fondanti della città, riassumibili nei due concetti essenziali di “centro” e di “limite”. Sul concetto di centro e sulla sua benefica influenza sui cittadini esiste una estesa letteratura ed una larga consapevolezza sociale. Depurato dell’ambiguità a cui l’aveva costretto l’identitarismo, recentemente si è arricchito di ulteriori significati, attraverso la nuclearizzazione in più poli densificati, che favoriscono un migliore equilibrio insediativo. Il policentrismo infatti, come “sistema identitario a rete”, è penetrato nell’immaginario collettivo come una modalità organizzativa di città volta a favorire relazioni umane più qualificate, se non altro perchè più inclusive. Il concetto di limite invece rimane in gran parte nell’ombra e le sue qualità appaiono ancora sbiadite all’interno degli scenari del paesaggio urbano. Riveliamone brevemente la natura mentre ne ripercorriamo alcuni momenti evolutivi.
Il concetto di limite è presente nell’idea stessa di città, sin dall’antichità e corrisponde non solo alle esigenze di difesa, ma anche al bisogno di riconoscibilità e appartenenza ad una comunità. Tracciare un limite significa dichiarare la presenza di un confine e nel contempo evidenziare una identità. Nel corso della storia urbana il limite tuttavia, non è stato contrassegnato sempre o solo dalle mura. Dal pomerio romano ai primi interventi di contenimento del sei-settecento, esso è stato spesso contraddistinto dalle “cinture verdi”, anche loro connesse all’aspirazione di limitare la crescita e di definire la forma della città. Con l’acuirsi della opposizione città-campagna, in seguito al fenomeno dell’urbanesimo, i tentativi di sanare la dualità tra “urbanità” e “ruralità” si diffondono grazie ad alcune figure chiave della seconda metà dell’Ottocento. Howard e Olmsted danno origine a realizzazioni che prefigurano due direzioni di ricerca progettuale. Howard, in Inghilterra, propone un sistema di spazi aperti di cintura urbana (Green Belt) che separa, ma allo stesso tempo unisce la città alla campagna. Olmsted, in America, propone un sistema di connessioni lineari di penetrazione nel tessuto della città (parkway) e di collegamento con le aree rurali. Nel XIX secolo le grandi capitali europee incoraggiano la realizzazione di spazi pubblici che si rappresentano come sistemi anulari di parchi, generalmente in sostituzione delle antiche fortificazioni. Il Ring di Vienna costituisce un modello per molte città che danno inizio alla costruzione di giardini paesaggistici nastriformi. Agli inizi del XX secolo compaiono le prime cinture verdi pianificate, volte soprattutto a contenere l’espansione urbana. Iniziano a manifestarsi anche approcci diversi, attraverso cui si pianificano i “cunei verdi” agricoli e ricreativi che separano le espansioni urbane. La cintura verde è il mezzo attraverso cui definire, nei limiti e nelle dimensioni, la crescita urbana e garantire spazi per la ricreazione e l’attività agricola, allo scopo di trovare quella ideale integrazione tra città e campagna propria della città giardino. Alla fine degli anni Novanta viene introdotto in Europa il concetto di greenway sulla base delle esperienze condotte nell’America settentrionale, dove con questo termine si indica prevalentemente un’”area verde lineare multifunzionale”. Se nel contesto americano la “greenway” assume spesso il carattere di corridoio ecologico, in ambito europeo l’idea si lega a quella di percorso, benché voglia essere qualcosa di più che una semplice pista ciclabile e pedonale. E’ definita infatti come un “itinerario”, il cui principale obiettivo è la valorizzazione delle risorse naturali e antropiche del paesaggio. Questa deviazione dal tema principale delle “cinture verdi” è funzionale a definire le peculiarità di questo approccio nel fornire elementi alternativi e complementari al progetto di margine urbano. Alla fine del XX secolo questo modello assume una maggiore ricchezza spaziale, adattando il disegno circolare di cintura urbana alla specificità paesistica locale e integrandolo ad altre categorie progettuali. Nel panorama italiano il recente interesse verso l’utilizzazione del modello di “cintura verde” è stato assimilato, salvo rari casi (Milano, Ravenna), alla tipologia dei parchi urbani, che però sono ancora privi di una logica sistemica. In molte circostanze l’essere “spazi aperti di cintura” è dato ancora dalla loro posizione ai margini delle aree urbane, più che dal loro ruolo e carattere. Recenti ricerche hanno portato alla fusione tra le due direttrici di sviluppo: quella del policentrismo e quello della cintura verde. E’ nato il modello del policentrismo a cintura, una forma urbana sostenibile su cui fondare la rigenerazione di diverse città diffuse. All’equilibrio degli insediamenti di dimensioni simili, dovuto alla nuclearizzazione in più poli densificati, questo modello associa la cintura verde che, situata ai margini di ciascun polo, ne definisce l’identità, valorizza le aree verdi esistenti e mantiene un chiaro rapporto tra urbanizzazione e verde.
A l’Aquila il “policentrismo a cintura” potrebbe costituire il presupposto culturale e politico su cui articolare, in termini sistemici, la complessa rigenerazione della città diffusa; un progetto che trae origine da due parametri fondanti della città storica: il centro e il limite. E’ un progetto che incoraggia altri progetti, ma le istituzioni locali e la composita società civile saranno aperte a verificarne la valenza per coglierne l’eventuale opportunità?
Giancarlo De Amicis
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