Parla alla Camera come ieri aveva fatto al Senato, più da sindaco che da politico, rimarcando il fatto che lui la gente la conosce e la ascolta, non rinchiuso in un mondo di privilegi che allontana dalle reali esigenze delle persone comuni.
La dialettica è efficace ed i temi quelli giusti: innanzitutto scuola e cultura ed ancora lavoro e ripresa, ma anche lotta alla mafia e recupero della dignità della politica attraverso un operato virtuoso e non solo parolaio, soprattutto per chi si dice “onorevole” e deve meritarsi questo titolo.
Renzi ha ripetuto anche oggi che non possiamo chiedere all’Europa che risolva i nostri problemi; ha parlato dei Legge elettorale e riforma del Titolo V, ma soprattutto avvertito che non sta cercando alibi ed è pronto a ritirarsi senza scuse se fallirà.
Lo aveva detto ieri ed oggi ha rincarato la dose, affermando: “La nostra generazione non ha più alibi. Il momento che stiamo vivendo non può farci avvicinare con il senso di chi accusa sempre gli altri” ed aggiungendo che: “Il grande dramma di una mancanza di una legge elettorale chiara è il fatto che impedisce al cittadino di dare una responsabilità e una colpa. Per questo governo non ci devono essere alibi, Se non riusciremo la responsabilità sarà mia. Questo non è un atto di coraggio, ma di lealtà”.
Sono del tutto d’accordo col politologo Rusconi che commenta a caldo i due discorsi di Renzi definendoli nuovi e pieni di brio, capaci di ridare vigore alla politica e speranza alla Nazione.
Il Pd lo sostiene, come anche la nuova compagine di Alfano, mentre Forza Italia nutre qualche perplessità ma non è belligerante e negativi sono solo la Lega e i Cinque Stelle che, anche oggi, dicono che lui, Renzi, mai eletto e giunto ai vertici con manovre della politica più becera ed antiquata, è un emissario della “troika”, aiutato dal ministro Padoan e che ora, in tandem, non fanno altro che tramutare in programma i temi contenuti in un documento della Ubs di alcuni mesi fa.
Il senatore Romano, portavoce di Forza Italia, ha un atteggiamento più prudente e diverso, ma si dice perplesso che tante riforme (cuneo fiscale a due cifre, pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, fondi di garanzia per piccole e medie imprese ed interventi strutturali sulla edilizia scolastica) ci vogliono non meno di 100 miliardi e la cassa depositi e prestiti né possiede così tanti ed inoltre è legalmente fuori dal perimetri dei beni di cui lo stato può attingere direttamente.
“Servono sogni e coraggio e se falliamo sarà solo colpa mia”, aveva detto il premier nel suo irrituale discorso ieri a Palazzo Madama ed oggi, alla Camera, non è stato meno eterodosso e perentorio, salutato da diversi parlamentari del suo partito e soprattutto da Pier Luigi Bersani che, convalescente, è arrivato inaspettato e che dichiara che voterà la fiducia, anche se dice che è lì soprattutto “per abbracciare Enrico”, riferendosi al “trombato” Letta, già suo vice e a capo di un governo che, secondo Renzi, prometteva senza nulla realizzare.
Per tutta la durata dell’intervento del nuovo presidente del Consiglio Enrico Letta, suo predecessore, che non aveva nemmeno guardato al “passaggio della campanella”, ha ascoltato immobile e attento, senza prendere appunti. Alla fine del discorso, però, anche lui ha applaudito a lungo, prima di ricevere la processione di deputati (e qualche ministro) che lo hanno voluto salutare.
Anche alla Camera certamente Renzi ce la farà, ma sarà da domani che il suo governo verrà giudicato nei tempi e nei modi, perché, come lui stesso ha detto, la gente è stanca di “una politica che è un fiume di parole vuote” ed i problemi da affrontare, a partire da quello occupazionale, sono drammaticamente presenti nel vivere quotidiano dei cittadini stanchi di una Italia che “frana” ed di una politica che affina le sue armi dialettiche ed inconcludenti.
Nel discorso di Renzi i punti sono quelli che tutti conoscono e, a parte la forza convincente con cui le parole sono state pronunciate, non è entrato nel dettaglio di come reperirà le coperture.
I lemmi più usati sono stati, secondo il Corriere, “Paese”, “fiducia”, “essere” e “fare” e certamente i termini creano un clima di entusiasmo gioioso e di forte positività dopo i cieli plumbei dei governi tecnici o semi-tecnici che hanno sostituito quello di Berlusconi.
La Repubblica ha rimarcato le differenze fra i discorsi di Renzi e quelli che fece Letta e la distanza più vistosa sta nel fatto che l’attuale premier ha voluto dire che lui è estraneo alle logiche di partiti litigiosi, che pensano in maniera antidemocratica, bloccano la modernità dell’Italia, supportati da funzionari che sarebbero da cacciare a calci nel di dietro perchè cialtroni incompetenti e profumatamente pagati anche se senza meriti.
Mentre la stampa americana se lo augura, noi speriamo sia davvero così e che, soprattutto, Renzi porti a segno quanto promesso e nel giro dei pochi mesi che si è dato.
Sono pronto ad entusiasmarmi e, per il bene del Paese, riconoscere che mi ero sbagliato nel dire che lui è capace solo di generiche promesse.
Per ora non mi sbilancio in attesa degli eventi e spero che, se la ciambella non uscirà con il buco, non dia la colpa, imitando Berlusconi, al sistema che lo imbriglia.
Se invece riuscirà a mettere mano, in quattro mesi ed in modo chiaro, a temi come occupazione e riforma elettorale, sono anche pronto a perdonargli ciò che è imperdonabile e cioè, come detto dai 5 Stelle, non solo di non “aver smacchiato il giaguaro”, ma di aver “ridipinto il gattopardo”.
Insomma spero di non dovere, a luglio, constatare più che mai affranto (ed anzi angosciato e sfinito), che ciò che Renzi ha detto è solo una bella favola raccontata ad adulti, pronunciata e disegnata con stile, ma priva di costrutto e di morale, in cui diversamente dai Leo e Lia, scritta al’inizio del secolo scorso da Laura Orvieto, il senso del doveroso ci fa tutti servitori degli altri e della comunità, senza mai furbizie né fingimenti.
Che la storia cominci dunque, con l’’augurio che Renzi ce la faccia, perché così che ce la farà anche L’Italia, perchè altrimenti il nostro Paese sarà ridotto a pezzi, come nel romanzo di Ammanniti “Che la festa cominci”, con gli ultimi Cavalieri dell’Apocalisse che fanno riunioni sataniste in una pizzeria e danno vita ad una festosa Apocalisse che tutto trascina nel gorgo e distrugge.
Nel caso Renzi risultasse un bluff, sarà stata la seconda sua favola ben raccontata, dopo la prova eccellente in “Pierino e il lupo”, in cui si è esibito senza sfigurare nei confronti di giganti come Dario Fo, Roberto Benigni e Paolo Poli.
Carlo Di Stanislao
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