Matteo Renzi ha dato il via al suo tour per l’Italia ed è partito da Siracusa, dove ha parlato di ripartire dalla scuola ed ha ricevuto applausi e fischi, con vari cartelli che recavano scritte allarmanti come: “Non sei credibile” e ancora “Devi pasare per il voto popolare”. Secondo Antonio Polillo (e non solo), il filo da acrobata su cui Renzi cammina ha resistito alla prima prova della legge elettorale, ma si è fatto molto più sottile ed ora che è al governo, il premier ha dovuto scegliere tra le due maggioranze, e ha ovviamente preferito quella di governo. Più ancora che Alfano, a imporlo è stato il Pd, quello non renziano, tuttora in maggioranza a Montecitorio, da cui viene l’emendamento vincente che limiterà la riforma elettorale alla Camera.
Berlusconi, il contraente dell’altro patto, ha dovuto accettare, seppure con “grave disappunto e per un po’ di tempo il Cavaliere non potrà fare molto altro, amareggiato anche dal divieto imposto dalla giustizia di lasciare l’Italia per partecipare in Irlanda al congresso del PPE.
Comunque Renzi è già ridimensionato e non solo perché da adesso le due maggioranze di cui disponeva si sono ridotte a una e mezza: quella con Alfano, che si allarga a Berlusconi sulle riforme, facendo riflettere sul fatto che l’ultima volta che una doppia maggioranza ha funzionato risale ai tempi di De Gasperi a Palazzo Chigi e Terracini alla Costituente e da allora sono cambiati tempi, profili e soprattutto uomini.
Renzi insomma inizia con uno scivolone, sensa considerare il caso Gentile e quello di altri cinquwe indagati nel suo governo che doveva essere tutto fulgido e nuovo.
Infatti il compromesso trovato sulla prima riforma è abbastanza risibile e vuol dire che se per caso o per scelta il Parlamento non eliminerà del tutto il Senato elettivo, alle prossime votazioni avremo un sistema che dà certamente una maggioranza a Montecitorio e altrettanto certamente non la dà a Palazzo Madama.
Situazione ingarbugliata e che non cambia le fumisterie di una Nazione che continua a duellare su codilli e dialettica ed è continuamente dominata non da logiche basate sui problemi, ma solo sui partiti.
Meglio distarsi e pensare a quanto profondo è il film di Sorrentino che ha vinto l’Oscar e ieri, con una incvasione disturbante di pubblicità, è andato su Canale 5, oscurando ma solo in parte la seconda ed ultima punta della miniserie di Rai 1: “Il giudice meschino”, storia del riscatto morale di un uomo che, dopo aver messo da parte la passione per il proprio lavoro, scosso da un tragico evento, torna a combattere con tenacia ed impegno, tratto dall’omonimo romanzo di Mimmo Gangemi edito da Einaudi e commedia umana dove si muovono personaggi verissimi, contraddittori, sfaccettati, che inseguendo il proprio meschino tornaconto arrivano a svelare una realtà che va molto oltre la ‘ndrangheta e riguarda la nostra povera e macerata Nazione.
Leggo con ammirazione l’intervista di De Bartoli sul Corriere a Papa Francesco che si definisce “una persona normale” e fa salite la normalità a livello di mito quando risponde con intelligente apertura sui temi etici, snocciolando il suo pensiero su aborto , divorzio, unioni civili ed eutanasia.
Un messaggio quello di Francesco dopo un anno di pontificato che è tutto incentrato su ciò che affermò fin dalla’inizio a Roma: “la tenerezza e la misericordia sono l’essenza del Vangelo. Altrimenti non si capisce Gesù Cristo, la tenerezza del Padre che lo manda ad ascoltarci, a guarirci, a salvarci”.
Cresce in noi l’ammirazione per Bergoglio, mentre decrese in misura progressiva quella per Renzi che, disattendendo quando detto al Senato, ha referito imboccare una strada più facile ma anche decisamente insidiosa ed intorno alla sua improvvisa e irruenta premiership ha piazzato una compagine di modesta caratura, impossibilitata a fargli ombra e da consumato piazzista, del Pd ha concentrato la sua attenzione più su un accattivante packaging che non sulla reale qualità del prodotto.
Francesco rivendica le operazioni di responsabilità e trasparenza fatte da Benedetto XVI e affronta le tematiche della povertà proprio citando l’enciclica “Evangeli Gaudium”: ”A chi tiene i granai pieni del proprio egoismo il Signore, alla fine, presenta il conto”.
Renzi, che sostituisce Letta, rinnwega quando aveva da poco affermato e preferisce manovrare che affondare, sopravvivere che portare avanti riforme vere, rapide e sostanziali.
Mi viene in mente il succo de “la grande bellezza” e ne comprendo ora, pienamente e in un lampo, l’enorme contenuto.
.Il titolo del film non fissa soltanto un’immagine estetica, o morale, ma un’esperienza del tempo e dei suoi “incostanti sprazzi di bellezza”, come dice Jep-Servillo uscendo di scena e dando inizio al suo romanzo. Il passo di Céline usato sulla soglia iniziale (“Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. […] è dall’altra parte della vita”), acquista così significato pieno solo se recuperiamo il dialogo che intrattiene con la soglia finale, quando Jep-Servillo dice: “Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove”, accettando di stare al di qua dell’illusione di oltrepassamento, di non cercare più la grande bellezza pensando la vita come un “apparato”, cioè una macchina organizzata per uno scopo unico che è occuparsi degli ideali e dei sentimenti sotto il chiacchiericcio e il rumore, le false promesse e le delusioni.
La saturazione visiva del racconto, intesa non come affermazione prepotente e drammatica dello sguardo soggettivo ma, al contrario, come forma di narrazione della catastrofe in una prospettiva antiromantica e antiromanzesca, cioè senza sviscerarne le cause, ma presentandone le manifestazioni, ricorda Andrè Brteton (citato da Jep), tanto grottesco e caricaturale da fare da potenziatore all’onirismo visionario (con un uso straniante della colonna sonora), spiegando, senza spiegare, ma procedendo per sovraccarico e condensazione.
Al racconto dei pensieri del protagonista si alternano immagini: di monumenti, dei personaggi incontrati, dei disegni reali ed io penso di essermi sbagliato quando, per qualche ora, ho pensato che un grande disegno fosse in testa a Renzi, mentre il suo unico sogno era quello di perdurare.
Matteo Renzi rischia di essere una trappola vintage, un ennessima trovata barocca, un vuoto patinato e calibrato, l’attualizzazione di un berlusconismo fatto di apparenza, di un imbroglio che pare perpetrarsi, mutando forma, nell’irrespirabile clima nazionale.
Carlo di Stanislao
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