“L’integrità strutturale di un edificio non è più forte dell’integrità sociale del costruttore: un’industria delle costruzioni fuorilegge è il potenziale killer”(Nicholas Ambraseys e Roger Bilham). La corruzione uccide più delle catastrofi naturali, parola della scienza ufficiale. L’apocalisse antropologica, politica, giuridica, sociale, economica, etica, e culturale pare che sia ben peggiore dei disastri naturali in Italia e nel mondo. A 60 mesi dalla catastrofe sismica aquilana (Mw=6.3; 1600 feriti; 311 morti) la Giustizia faccia il suo corso per l’immediata ricostruzione della Capitale d’Abruzzo, L’Aquila, e il celere trionfo del principio di legalità che è sempre strettamente connesso al principio di responsabilità, quindi alla vera natura del benessere economico, sociale e spirituale di una Nazione. Stop ai mille condoni ed alle mille proroghe, varate a getto continuo dal Parlamento, vere cause del collasso suicida italiano. Altro che Pompei! In un famoso studio pubblicato su Nature (469, 153–155, 13 Gennaio 2011) due anni dopo la tragedia aquilana, a cura di Nicholas Ambraseys, Department of Civil and Environmental Engineering dell’Imperial College di Londra (London SW5 2BU, UK: n.ambraseys@imperial.ac.uk) e di Roger Bilham, Cooperative Institute for Research in Environmental Sciences and the Department of Geological Sciences, dell’Università del Colorado (Boulder, Colorado 80309, USA: rogerbilham@googlemail.com) vengono analizzate scientificamente le cause delle più micidiali tragedie dell’Umanità. I palazzi uccidono le persone. Non i terremoti, non le eruzioni vulcaniche, non gli tsunami. Palazzi costruiti male e gestiti peggio laddove avrebbero dovuto reggere alle forze della Natura. I sismologi sono da sempre convinti che la verità nuda e cruda sia sempre la stessa in Italia e nel mondo. La corruzione amplifica il numero dei morti. Un tragico bilancio destinato a salire vertiginosamente in futuro nonostante le innovazioni scientifiche e ingegneristiche in materia di design e resistenza degli edifici. Una lezione fondamentale per ricostruire la Città di L’Aquila nella regione appenninica più sismica d’Italia. Due anni dopo la catastrofe abruzzese, un anno dopo gli orrori di Haiti, alla vigilia dello spaventoso terremoto nipponico, la rivista Nature pubblicò una spietata analisi sul collegamento diretto tra la corruzione politico-istituzionale e le vittime dei terremoti. Il collasso delle case è strettamente connesso al livello di degenerazione politica, morale e giuridica di un popolo, di una nazione, di una cultura. L’equivalenza di massa ed energia della famosa equazione di Einstein, in termini sociologici. Il potente messaggio a sei cifre delle vittime della catastrofe haitiana, a parità di magnitudo momento 7 di energia equivalente liberata dalla Terra, comparato con il numero zero nel terremoto della Nuova Zelanda, ricorda che nella maggior parte dei disastri i principali responsabili sono coloro che favoriscono vergognose pratiche edilizie folli con il beneplacito, diretto o indiretto, di istituzioni internazionali che dovrebbero non soltanto vigilare ma anche agire direttamente con pressioni politiche e mediatiche adeguate, prima delle catastrofi. Insomma, anche i terremoti di moderata intensità, in assenza di Responsabilità soggettiva e personale dei costruttori, dei giudici, dei governanti e dei politici che consentono di edificare case e vie di comunicazione vulnerabili, poco resistenti, scoraggiandone la messa in sicurezza ed alimentando la spirale di condoni, proroghe, corruzioni, povertà, abusi, malversazioni, prescrizioni, amplificando così l’energia sismica/vulcanica equivalente, possono causare tragedie umanitarie in grado di mettere in ginocchio un’intera nazione. Indipendentemente dal grado di qualità dei materiali utilizzati, dei metodi di costruzione e d’insediamento delle infrastrutture in aree più o meno vulnerabili. Questa consapevolezza autocosciente potrebbe ridurre a zero il numero delle vittime nelle future catastrofi naturali. Come? Grazie al rispetto della Legge e del Diritto. Nazioni più corrotte di altre, però, non hanno scampo. Anche in caso di impatto cosmico devastante. Perché la Protezione Civile internazionale per intervenire prontamente deve poter dialogare con una classe politica di persone responsabili. Degli indici sono stati inventati all’uopo per calcolare nella popolazione il grado di approntamento e di risposta delle singole nazioni alle catastrofi naturali, sulla base della percezione della corruzione (http://cpi.transparency.org/cpi2013/results/) nel proprio Paese. Questi dati sono di pubblico dominio mondiale. L’Italia peggiora e incassa la solita magra figura di sempre con il suo 69mo posto in classifica. Altro che crescita economica! È già un disastro totale. Chi di dovere dovrebbe sinceramente vergognarsi. Trasparenza, legalità e responsabilità sono le tre parole-chiave per ridurre sensibilmente il numero delle vittime causate dagli effetti delle catastrofi naturali. Nell’analisi di Nature già nel 2011 Haiti, Turchia e Italia producevano tassi di corruzione oltre la soglia del buonsenso comune. Mentre India, Cile e Nuova Zelanda apparivano come i Paesi meno corrotti sulla faccia della Terra. Nel 2013 lo sono la Danimarca, la Nuova Zelanda, la Finlandia e la Svezia. Nello studio i ricercatori osservarono il numero dei morti causati fin dal 1980 dal collasso degli edifici durante le crisi sismiche. La semplice (forse, banale come il Male) conclusione fu che ben l’83 percento di quelle centinaia di migliaia di vittime, generalmente attribuite alla Natura, si verificarono in nazioni interessate da un anomalo tasso di corruzione. Piaga mondiale apertamente condannata da Papa Francesco oggi sotto attacco! In altre parole, la maggior parte di quelle persone che oggi non ci sono più, rimasero schiacciate sotto il peso della corruzione che aveva ‘ab origine’ condannato le loro abitazioni. La soluzione è lapalissiana, semplice ma orribilmente difficile? Prevedere i terremoti, gli tsunami e le grandi esplosioni vulcaniche (compresi gli impatti cosmici sulle megalopoli) è del tutto inutile se non si estirpa la gramigna della corruzione dalle nostre nazioni. A cominciare dalle regioni d’Italia. Bisogna “purificare” il Potere con il Diritto e la Morale, non con la violenza e il moralismo! Sostenere che “il problema è particolarmente difficile, se non economicamente insolubile”, significa foraggiare i profeti di sventura, i corrotti, cioè coloro che già conoscono la fine della storia. Milioni di morti futuri. L’Industria Mondiale delle Costruzioni capitalizza la bellezza di oltre 8.7 trilioni di dollari all’anno (A.D. 2012). Pare che sia il settore più corrotto dell’economia mondiale. È il dato più allarmante. L’analisi di Ambraseys e Bilham, nelle sue drammatiche, fredde, lucide e razionali conclusioni programmatiche che ogni popolo, governo e nazione dovrebbe conoscere e divulgare, suggerisce che “i fondi nazionali e internazionali messi da parte per la messa in sicurezza antisismica delle nazioni dove la corruzione è endemica, sono particolarmente sensibili ad essere dirottati per altri usi. L’integrità strutturale di un edificio non è più forte dell’integrità sociale del costruttore, e ogni governo ha una responsabilità nei confronti dei suoi concittadini per assicurare adeguati controlli. In particolare le nazioni storicamente sismiche che ben conoscono queste tragedie e i problemi della corruzione, dovrebbero ricordare e comprendere che un’industria delle costruzioni fuorilegge è il potenziale killer”. Responsabile cioè delle centinaia di migliaia di morti che la cronaca sarà costretta, prima o poi, a registrare. Ma non a causa della Natura, bensì dell’Uomo corrotto che gioisce (facendo affari e sorridendo) della morte dei suoi simili. Possibile che questa fallimentare economia mondiale del debito, per riprendersi dalla peggiore crisi finanziaria e reale di sempre, debba campare sulla pelle di miliardi di persone inconsapevoli, potenziali povere vittime innocenti di pochi oscuri ingannatori dissennatori? Possibile che si debba morire a milioni e/o miliardi, per forza o per buona volontà, a causa di “effetti” classificati come “naturali” ma frutto della corruzione mondiale? Solo una pubblica opinione libera, consapevole e informata potrà sopravvivere alla sua impotente inutilità. Ponti, città, edifici e civiltà, si possono ricostruire anche daccapo se esistono i sopravvissuti. Le tecniche ingegneristiche, però, non bastano. Occorrono solide motivazioni che oggi abbiamo consegnato ad oscuri “potenti” pronti all’ennesimo olocausto di massa. Per affari. Ma questa è pura follia. Assimilabile a quella dei falsi “profeti” dei terremoti. Ogni anno, alla vigilia dell’Agu Fall Meeting di San Francisco (Usa) e dell’Egu Spring Meeting di Vienna (Use) la nostra conoscenza sui processi fisici responsabili di terremoti, tsunami ed eruzioni vulcaniche incrementa a ritmi parossistici, colmando gap che pochi mesi prima non ci saremmo mai sognati di acquisire. Sul piano scientifico e tecnologico. Poi, si affoga nel classico bicchiere d’acqua di una Giustizia impreparata, niente affatto sincronizzata, ahinoi, al livello delle conoscenze fisiche e matematiche dei fenomeni naturali e umani. Perché in Italia si preferisce colpire gli scienziati? La frattura geologica incredibilmente si allarga. Politica, diritto, economia e società divorziano dalla ragione in un “dialogo” ormai tra pochi sordi, muti e ciechi. Capire il “timing” e la “location” dei futuri terremoti sarà inutile, se non vinceremo la guerra contro la corruzione ovunque dilagante. In altre parole, come affermò Charles Richter in un suo famoso discorso: “For public safety we don’t need prediction, earthquake risk can be removed, almost completely, by proper building construction and regulation”(Anno Domini 1970). Se si conoscono le cause delle vittime del terremoto, dello tsunami e dell’eruzione vulcanica e, soprattutto, le modalità per farvi fronte minimizzando le perdite, perché le persone continuano a morire? La risposta alla domanda non è semplice. Molti fattori partecipano alla strage prima, durante e dopo gli eventi naturali. Tra le concause sono da annoverare la corruzione, l’ignoranza dei politici e degli attori istituzionali, l’insufficiente comunicazione ai cittadini, l’ingiustizia sociale e l’ateismo. Tutte pratiche devastanti contro la Persona. La corruzione si incarna nell’uso di materiali inadeguati e pericolosi nell’edilizia e nelle infrastrutture vitali di un Paese; nella compravendita di parlamentari, ispettori, autorità civili e giornalisti; nell’assemblaggio industriale di un sistema mafioso di metodi e pratiche illegali e inappropriate che autoalimentano la catastrofe finale. Edifici nati male e gestiti peggio collassano spontaneamente anche senza terremoti. È quasi all’ordine del giorno sulla Terra. La tragedia della fabbrica di Savar presso Dhakar in Bangladesh, il 24 Aprile 2013, uccise 1129 persone e ne ferì 2515. Fu la conseguenza più terrificante della corruzione. Immaginate cosa potrebbe accadere in Italia durante un forte terremoto. Due miliardi di persone vivono sulle coste del nostro pianeta. Un impatto cosmico di un asteroide o di una cometa di un solo chilometro di diametro nell’Oceano Pacifico, Indiano o Atlantico, segnerebbe in pochi minuti la loro fine! Furono 18mila i morti del terremoto di Izmit nel 1999 (magnitudo 7.4) in Turchia. Si capì che la metà di tutte le infrastrutture e gli edifici all’interno del “cratere sismico” non erano affatto in regola. Corruzione, ignoranza e povertà sono una miscela esplosiva perché essenzialmente indistinguibili in molte nazioni anche quando la Giustizia cerca di porre un freno alle pratiche illegali che poi conducono al disastro sismico e vulcanico. Le falsi ispezioni sono la classica ciliegina sulla torta. Le nobili eccezioni non mancano. Grandi esempi di come la Ricostruzione possa procedere correttamente e speditamente secondo le regole e senza soffocare le imprese oneste, incrementando la resistenza di intere infrastrutture, città e regioni alla furia degli elementi, dovrebbero ispirare la nuova L’Aquila in Abruzzo. Nell’Anno Domini 2012 il governo turco ha approvato la famosa Law on the Regeneration of Areas Under Disaster Risk, una serie di norme edilizie per tutti gli edifici pubblici e privati che insistono sulle famose pericolose faglie anatoliche. Le strutture non in regola devono essere demolite, senza condoni e senza proroghe. Per poi essere ricostruite secondo la Legge e le norme di sicurezza antisismiche. Per un totale di sei milioni e mezzo di abitazioni ad alto rischio che in Turchia saranno abbattute nei prossimi venti anni. Sarà mai possibile in Italia prima della prossima tragedia nazionale, prima delle lacrime di coccodrillo dei politicanti? La Ricostruzione di Skopje, la Capitale della Macedonia, dopo la distruzione sismica subita nel 1963 è l’altro grande esempio. Non solo fu riedificata l’intera infrastruttura civile, a prova di terremoto, ma la città è oggi al sicuro anche dalle future alluvioni del fiume Vardar. Questi risultati sono possibili solo grazie a una forte governance e un management di eccellenza, nelle mani di persone preparate, oneste e sincere che antepongono l’interesse pubblico a quello personale. Cioè, solo grazie alla trasparenza amministrativa. Insomma, niente tangenti e niente distruzione del Senato della Repubblica come auspicato dai “senatori” che hanno votato la fiducia “ultima” al governo Renzi! L’Italia può permetterselo? In caso contrario, si cominci subito la conta delle prossime vittime ovunque colpisca un violento tsunami con annessi tremori ed eruzioni vulcaniche. La realtà concentrazionaria mondiale, niente affatto logica, in megalopoli di oltre 10 milioni di abitanti, in regioni ad alto rischio sismico e vulcanico, annulla le virtù politiche, morali e giuridiche di governanti che contano davvero molto poco. Possono fare la differenza tra la catastrofe e la tragedia, solo le decisioni più autorevoli e responsabili. Non si è ancora verificato il Big One, l’evento distruttivo da un milione di morti sulla Terra. Ciò non significa affatto che non accadrà o che la previsione-profezia sarà sufficiente a mettere in salvo la popolazione senza inutili marce forzate. Conta la Prevenzione e, soprattutto, la Cultura della Vulnerabilità e la Responsabilità degli addetti ai lavori di qualsiasi ordine e grado. Nella Pubblica Amministrazione e nella libera Impresa privata. Le megalopoli, ahinoi, non possono permetterselo. Qui la Democrazia è inversamente proporzionale all’incremento demografico. E i rischi di catastrofe sono praticamente astronomici. Le Nazioni Unite, ben prima di attaccare la Chiesa Cattolica di Cristo e Papa Francesco, vararono il famoso International Day for Disaster Reduction. In prima linea, per la riduzione del Rischio naturale, troviamo le donne e i bambini, cioè il futuro del genere umano. Le parole-chiave del Motore della Ripresa sono Sviluppo Sostenibile, per depotenziare la carica distruttiva della Natura sulla Terra, in particolare nelle aree più depresse del mondo. Come? Con la onestà, la preparazione nella gestione delle risorse e la buona governance. I Motori del futuro sono i Nascituri che l’aborto di stato distrugge. Finora sono stati praticati 5 milioni di aborti in Italia e 55 milioni ogni anno sulla Terra. Chi prova vergogna? I geoscienziati oggi insegnano che la cultura, le scienze naturali, la comprensione dei meccanismi fisici e il governo dei Rischi ambientali, fanno parte di un unico processo cognitivo e decisionale. Il solo in grado, se capillarmente acquisito e condiviso, di influenzare le scelte strategiche dei governanti, una volta sradicata la corruzione che si alimenta di ignoranza e povertà. L’uso appropriato dei social network, della televisione e del cinema, ossia della buona Geoscienza, nel pieno rispetto delle Leggi naturali, è essenziale per l’effettiva riduzione del Rischio di disastri naturali (Disaster Risk Reduction, DRR). La comprensione dei processi naturali e della loro interazione con la società è altrettanto importante. Le tragedie insistono sempre laddove è carente la cultura geologica del territorio, la preparazione dei governanti e dei giudici, la libertà dei giornalisti e l’ignoranza dei costruttori. In Cina, tuttavia, le misure adottate per incrementare la preparazione delle popolazione locali per far fronte a queste minacce di ordine naturale, sta sortendo l’effetto opposto, esacerbando i problemi. La DRR è molto più di una dettagliata Lezione sull’uso appropriato delle conoscenze geologiche e ingegneristiche. In primis l’educazione, certamente anche in Italia prima che sia troppo tardi. Cioè fin dalla scuola dell’Infanzia. Ma poi servono le esercitazioni di protezione civile territoriale per tutti. Non soltanto per gli studenti. Bisogna partecipare attivamente da protagonisti. Non subendole perché imposte per Legge. L’educazione delle comunità adulte al Rischio naturale è un’operazione cruciale ma delicata. Spesse volte si cade nella trappola delle parole e si finisce col pensare che l’informazione sia sufficiente per salvarsi dai disastri. No. Conta il lavoro di squadra. Conta la responsabilità di ciascuno di noi per governare la complessità dei processi decisionali, prima, durante e dopo le tragedie. In Italia, l’impreparazione personale è totale. Che cosa fare durante una qualsiasi emergenza? Come sopravvivere in una città isolata dal resto del mondo? Come aiutare se stessi e gli altri in attesa di soccorsi che potrebbero anche non arrivare? La nostra più grande vulnerabilità può coincidere con quella del prossimo e, a volte, sommandosi all’impreparazione, può causare la vera catastrofe. Sbagliare la diagnosi è letale come la non corretta interpretazione di un’informazione di protezione civile. Se poi le norme, i regolamenti e le leggi complicano il meccanismo logico decisionale, allora è davvero la fine. I programmi di Educazione al Rischio ed alla Mitigazione degli effetti dei disastri naturali, debbono procedere parallelamente per tener conto di tutte le variabili possibili e immaginabili. Sia nelle comunicazioni vitali tra istituzioni, imprese e cittadini sia nella gestione di queste informazioni facilmente interpretabili tra i differenti membri di una comunità e di una famiglia. Solo le informazioni utili immediatamente attuabili dovrebbero essere diramate e pubblicizzate capillarmente. In Italia siamo ancora all’Anno Zero. Altri fattori sono vitali per ridurre significativamente la vulnerabilità e garantire l’elasticità di edifici e infrastrutture strategiche, comprese le centrali elettriche, di comando e controllo, gli uffici governativi di Protezione Civile, tutti a prova di shock elettromagnetico e di terremoto. La partecipazione delle comunità ai programmi ufficiali mondiali sia di riduzione del Rischio sia di gestione delle Emergenze, è fondamentale per l’inculturazione intergenerazionale. Le famiglie devono essere le protagoniste della protezione civile territoriale grazie anche al Volontariato. Serve il Vademecum universale in grado di “dialogare” efficacemente con i diversi sistemi normativi mondiali. Porsi in una prospettiva esterna per analizzare i problemi interni, può risultare utile perché senza l’integrazione delle varie “azioni” di protezione civile nazionale e internazionale, come dimostrano le gradi catastrofi planetarie del passato, non c’è salvezza. Urge la Metodologia degli interventi nelle varie aree di crisi senza creare inutili “compartimenti stagni della conoscenza” che possono soltanto contribuire a sottostimare il Rischio e la Vulnerabilità (www.unisdr.org/) nelle varie popolazioni urbane e rurali della Terra. In Italia a che punto siamo? La DRR è l’Affare del XXI Secolo. L’integrazione delle conoscenze acquisiste nello studio delle varie discipline scientifiche e umanistiche può contribuire a fare la differenza tra la tragedia e l’apocalisse. Lo hanno capito i giovani geoscienziati non necessariamente “sociali”. Il concetto di Vulnerabilità è diverso persino tra uomini e donne. Capire il contesto in cui si lavora è essenziale per comprendere meglio le ragioni della vulnerabilità fisica e psichica, personale e sociale, e per comunicare meglio con i diversi attori istituzionali e privati coinvolti nella DRR. Sono i temi dell’Egu Spring Meeting (www.egu2014.eu/) di Vienna (27 Aprile – 2 Maggio 2014). La comunicazione tra accademici, politici, giornalisti e governanti, è fondamentale alla luce del ruolo-chiave svolto dai geoscienziati nella comprensione dei fenomeni fisici, i cui tragici effetti vengono poi amplificati nelle varie aree del mondo dalle emergenze planetarie. La cui mitigazione spetta ai responsabili politici e istituzionali, eletti dai cittadini, i soli deputati per Legge a risolvere i problemi delle persone. Gli scienziati dovrebbero limitarsi al solo ruolo accademico e informativo nell’analisi del Rischio e della Vulnerabilità. È stata ad esempio confermata da una campagna oceanografica e dalle analisi di un team di scienziati, la natura potenzialmente esplosiva del più grande vulcano d’Europa e del Mediterraneo. I risultati sono pubblicati dagli autori dello studio (Gianluca Iezzi, Carlo Caso, Guido Ventura, Mattia Vallefuoco, Andrea Cavallo, Harald Behrens, Silvio Mollo, Diego Paltrinieri, Patrizio Signanini, Francesco Vetere) hanno pubblicato l’articolo “First documented deep submarine explosive eruptions at the Marsili Seamount (Tyrrhenian Sea, Italy): A case of historical volcanism in the Mediterranean Sea”, su Gondwana Research. È ancora attivo il Marsili che si estende sui fondali del mar Tirreno, tra Calabria e Sicilia, per una lunghezza di 70 km e per una larghezza di oltre 30. A stabilirlo è un gruppo di ricerca internazionale che comprende l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Roma (Ingv) e l’Istituto per l’ambiente marino costiero del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Iamc-Cnr). Una campagna di esplorazione, cominciata nel 2006 a bordo della nave oceanografica Universitatis, ha fatto chiarezza scientifica sulla natura di questo vulcano sottomarino, della cui potenziale attività si discute molto. Poichè è nota da tempo la sua attività sismica e idrotermale. “L’ipotesi più accreditata dagli studiosi era quella che considerava cessata, all’incirca 100mila anni fa, l’attività eruttiva del vulcano – osserva Mattia Vallefuoco dell’Iamc-Cnr – nel corso della nostra missione, finalizzata ad acquisire nuovi dati sui prodotti emessi dal Marsili e sulla loro età, è stata prelevata, ad una profondità di 839 metri, una colonna di sedimento che ha evidenziato due livelli di ceneri vulcaniche dello spessore di 15 e 60 centimetri, la cui composizione chimica risulta coerente con quella delle lave del vulcano”. Per risalire all’età degli strati di questa ‘carota’ di ceneri, i ricercatori si sono serviti del Carbonio14. “Le due analisi eseguite sui gusci di organismi fossili contenuti nei sedimenti hanno fornito rispettivamente età di 3000 e 5000 anni – rivela Guido Ventura dell’Ingv – datazioni che testimoniano una natura almeno parzialmente esplosiva del Marsili in tempi storici. A questo punto sono necessarie nuove ricerche per implementare un sistema di monitoraggio che possa valutare l’effettiva pericolosità connessa a una possibile eruzione sottomarina. Non è da escludere che il Marsili venga inserito nella lista dei vulcani italiani attivi come Vesuvio, Campi Flegrei, Stromboli, Etna, Vulcano e Lipari”. Alla ricerca hanno collaborato anche l’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti, la Schlumberger Information Solutions di Madrid, la Leibniz University di Hannover e la società Eurobuilding Spa di Servigliano. La ricerca geofisica e vulcanologica per il monitoraggio dei Rischi naturali e ambientali, per la tutela e la fruizione delle risorse del territorio, è prioritaria e fondamentale grazie al rafforzamento delle strutture e dei centri di ricerca per lo studio di aree vulcaniche ad alto rischio e del loro valore geotermico nel contesto della dinamica geologica e ambientale Mediterranea. Negli ultimi anni l’Ingv ha dato un contributo importante alla determinazione dei gas serra, in particolare Metano di origine geologica. Sulla base delle valutazioni fatte, il nuovo rapporto IPCC (www.ipcc.ch/report/ar5/wg1/#.UvOyMfuLWM1) per la prima volta include nei bilanci di gas serra la frazione dovuta alle emissioni geologiche. Tre studi pubblicati in riviste internazionali (Global Change Biology, J.Geophysical Research e Biogeochemistry) rivelano che in certe aree della Terra, dove esistono faglie attive e sistemi geotermali, i bilanci di Anidride Carbonica (CO2) biologica dovuti alla respirazione del suolo possono essere errati. Poiché in realtà nel suolo è presente anche una componente di CO2 geologica. Questi risultati, illustrati al congresso internazionale dell’AGU di San Francisco nel 2013, costituiranno un nuovo riferimento per gli studi futuri sugli ecosistemi e i bilanci del Carbonio. Il campo magnetico terrestre ha svolto nel corso dell’evoluzione delle forme di vita terrestre, un ruolo fondamentale. Esso agisce da schermo contro le particelle elettriche e le radiazioni mortali di raggi cosmici (Protoni) che provengono dallo spazio profondo, assolvendo così a un ruolo di difesa della vita sulla Terra. È accertato che alcuni animali hanno dei recettori biologici sensibili al campo magnetico terrestre. Uccelli e tartarughe marine durante le loro migrazioni possono orientarsi, seguendo le linee del campo. Meno conosciute sono le eventuali sensibilità del mondo vegetale. In un recente articolo su Trends in Plant Science, si avanza ora l’ipotesi che analoghi magneto-recettori siano presenti anche in alcune piante. In particolare, l’eventuale assenza di campo magnetico terrestre sembra influenzare i cripto-cromi di alcune piante con fiori (Arabidopsis) ritardando significativamente la fioritura. Per cui le inversioni del campo magnetico potrebbero avere contribuito alla loro evoluzione, portando a fenomeni di diversificazioni di alcune specie. Le angiosperme sembrano aver dato vita a nuove specie, proprio in periodi di polarità magnetica normale, cioè di polarità del campo magnetico terrestre analoga a quella attuale. Per approfondire queste ricerche sono in corso studi tra ricercatori dell’Università di Torino e l’Ingv per valutare la risposta delle piante a diverse intensità del campo magnetico, sia ai valori più bassi sia a quelli più elevati rispetto ai valori tipici osservati sulla superficie terrestre. Un nuovo studio dal titolo “Vertical GPS ground motion rates in the Euro-Mediterranean region: New evidence of velocity gradients at different spatial scales along the Nubia-Eurasia plate boundary”, pubblicato sul Journal of Geophysical Research, mostra che la regione euro-mediterranea si muove verticalmente fino ad alcuni millimetri all’anno. L’analisi è stata ottenuta con più di 10 anni di dati di circa mille stazioni geodetiche permanenti Global Positioning System (GPS) poste nella regione euro-mediterranea. Un lavoro lungo e complesso che è stato possibile svolgere anche attraverso l’ASI e il MIUR. Gli scienziati hanno dovuto mettere a punto un’accurata tecnica di analisi capace di discriminare le deformazioni verticali della crosta terrestre a livello submillimetrico. Una volta raggiunto un risultato affidabile, è stato confrontato con modelli matematici che descrivono i movimenti verticali della crosta terrestre causati dall’effetto isostatico, iniziato con lo scioglimento dei ghiacci dal termine dell’ultima glaciazione, circa 20mila anni fa. I risultati mostrano che oltre alle già note deformazioni orizzontali, agiscono anche quelle verticali, con ondulazioni e variazioni locali. Movimenti verticali significativi si verificano sia in aree caratterizzate da intensa attività tettonica (catena Appenninica e Alpi orientali) sia in zone stabili, più distanti dal margine di placca, ed in maniera non strettamente dipendente dai tassi di deformazione orizzontale e di sismicità. Tutta la penisola Iberica è caratterizzata da subsidenza, mentre le Alpi occidentali, gli Appennini centrali e meridionali, e parte della Calabria mostrano sollevamenti fino a circa due millimetri all’anno. La maggior parte delle coste sono in gran parte subsidenti. È stato anche evidenziato che le zone in sollevamento corrispondono alle aree topograficamente più elevate. Questi movimenti misurabili in superficie sono dovuti alla sommatoria di diversi processi che agiscono su scale temporali ed areali molto diverse. Oltre alla generale subsidenza dovuta all’effetto isostatico post-glaciale, si verificano deformazioni legate alle faglie attive ed al sollevamento causato dall’erosione delle catene montuose. Il più delle volte la somma di questi fenomeni non è in grado di spiegare i movimenti osservati, ma un ruolo importante è certamente legato ai processi geodinamici che avvengono nel mantello, a oltre 50 Km di profondità dalla superficie terrestre. In generale, si osserva un’istantanea dei processi che hanno creato la topografia attuale dell’area euro-mediterranea. Nel Novembre 1820 il Lago Piccolo di Monticchio, in Basilicata, fu sconvolto da una serie di fenomeni che sembravano presagire il risveglio di un vulcano. Getti d’acqua si sollevarono in aria, accompagnati da un acuto odore sulfureo, mentre tutto il lago ribolliva con cupi brontolii infernali. Nel maggiore di questi parossismi, riferisce una cronaca del tempo, una colonna liquida raggiunse i sei metri d’altezza e “tutti i pesci ne furono gittati morti sulle rive”. Il Lago Piccolo e il suo fratello maggiore, Lago Grande, sono due vicini crateri innestati sul fianco sud-occidentale del vulcano Vulture che, fra 750mila e 130mila anni fa, ebbe intensa attività intercalata da lunghi periodi di quiescenza. I due crateri si formarono proprio nella fase conclusiva dell’attività di questo apparato, in seguito ad eventi esplosivi di straordinaria potenza, e rappresentano le bocche da cui vennero emessi enormi quantità di ceneri e di piccoli frammenti del mantello terrestre, a testimonianza della rapida risalita di magmi profondi. Esaurita l’alimentazione magmatica, le due cavità, entrambe di modeste dimensioni (170 mt. e 780 mt. di diametro e quasi 40 mt. di profondità) si sono riempite di acque di falda e piovane, trasformandosi in laghetti pittoreschi, soprattutto il minore che dell’antico cratere conserva le pareti a strapiombo, ormai ricoperte da un fitto bosco di faggi. Tuttavia, nelle acque dei due laghetti il gas vulcanico, per lo più Anidride Carbonica, ha continuato ad accumularsi, talvolta raccogliendosi in grandi bolle che, esplodendo, polverizzano e lanciano in alto l’acqua, con effetti spettacolari e inquietanti. “Fino alla metà dell’800 questi parossismi gassosi erano frequenti, poi si sono attenuati ed ai tempi nostri non si sono più manifestati, ma l’attività di degassamento sul fondo del lago continua, sia pure in forma ridotta, e quando i sedimenti del fondale vengono smossi, si manifesta con queste bollicine che si vedono emergere in superficie – osserva il professor Mario Nuccio, associato di ricerca alla Sezione di Palermo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ordinario di Geochimica Applicata all’Università di Palermo. Si nota una specie di effervescenza che punteggia le acque del Lago Piccolo. Con la risalita dell’Anidride Carbonica, si ripropone l’interrogativo amletico: quanto è profondo oggi il sonno del vulcano Vulture? La risposta è affidata a un drone subacqueo, un robot telecomandato capace di operare sott’acqua, battezzato Muddy in una delle sue prime missioni operative nel Lago Piccolo. Muddy viene portato sulla zona d’immersione trainato da un pedalò, l’unica imbarcazione con cui è permesso solcare le acque del lago, da alcuni anni riserva naturale popolata da vari tipi di fauna protetta. Accanto all’apparecchio, somigliante più ad un modulo di atterraggio interplanetario che ad un mezzo acquatico, lavora un gruppo di vulcanologi della Sezione di Palermo dell’Ingv e dell’Università della Basilicata, coordinati dal professor Nuccio e dal dottor Antonio Caracausi. A più riprese, il drone viene zavorrato e calato fino a poggiare sui sedimenti fangosi del fondo, col compito di effettuare misure di temperatura, di pH e di raccogliere in appositi contenitori i gas presenti a varie profondità dei sedimenti. Il campionamento gassoso è integrato da un carotatore, una specie di siluro d’acciaio, immerso a più riprese per prelevare cilindri di sedimenti profondi. “Precedenti studi indicano che il vulcano del Vulture, quiescente da oltre 130mila anni, potrebbe essere ancora dotato di un certo dinamismo profondo: lo dimostrano gli anomali flussi termici misurati nelle acque dei laghi e la risalita di Elio magmatico, un gas tipico dell’attività endogena – spiega il prof. Nuccio – ora, se la composizione isotopic dell’Anidride Carbonica disciolta nelle acque del lago fosse tipicamente magmatica, assieme ad altri dati già acquisiti, avremmo la prova che il vulcano è ancora attivo; ma il guaio è che alla produzione di questo gas concorrono pure i batteri presenti nei sedimenti del lago. Quindi, l’obiettivo dei nostri campionamenti è discriminare quanta Anidride Carbonica è biogenica e quanta magmatica, cosa possibile attraverso complesse analisi geochimiche da effettuare in laboratorio sui vari campioni che stiamo raccogliendo”. La ricerca al Vulture ha una ricaduta tecnologica di non secondaria importanza. Muddy, la cui abilità nel prelevare campioni di gas nel fondo del lago è fondamentale per l’esito delle indagini, non è un apparecchio acquistato chiavi in mano da qualche azienda estera. “È stato concepito e realizzato, pezzo dopo pezzo, nei nostri laboratori, proprio in funzione dei compiti che deve svolgere – precisa il geochimico Rocco Favara, direttore della sezione Ingv di Palermo – a partire da un’idea originale del professor Nuccio, si è sviluppata un’intensa ed efficace collaborazione con alcuni ricercatori e con l’officina meccanica di precisione del nostro Istituto, di cui è responsabile Giuseppe Riccobono. Questa collaborazione ha portato, nel giro di pochi mesi, alla progettazione e creazione di un prototipo assolutamente innovativo nel campo della campionatura in ambiente sottomarino”. Il robot Maddy potrà essere utile anche per le ricerche nel Lago Cheko, protagonista del famoso Impatto Cosmico di Tunguska, la devastante esplosione termonucleare atmosferica che il 30 Giugno del 1908 abbatté 80 milioni di alberi, vaporizzando 2150 Km quadrati di taiga siberiana. “Per il successo delle analisi geochimiche è indispensabile che i campioni prelevati, spesso in condizioni fisiche estreme, non subiscano alterazioni ed arrivino nel laboratorio di analisi tali e quali erano nel loro contesto originale – rivela Caracausi – Muddy sta soddisfacendo con abilità a questa esigenza, tanto che abbiamo deciso di pubblicarne il progetto, rendendolo disponibile alla più vasta comunità scientifica”. Sciogliere il dubbio sull’attività profonda del Vulture non ha soltanto una valenza scientifica, ma serve soprattutto a garantire la sicurezza delle persone che vivono a Monticchio Laghi e negli immediati dintorni. Il pericolo non è solo legato all’improbabile ripresa dell’attività eruttiva, piuttosto alla possibilità che questi gas si accumulino nella crosta terrestre e vengano poi improvvisamente rilasciati, generando flussi di letale Anidride Carbonica più abbondanti del solito. Altrove, i rilasci di CO2 geologica sono stati responsabili di stragi silenziose di uomini ed animali per anossia. Il più tragico e recente evento di questo tipo si è verificato a Nyos, nel Cameroon, il 21 Agosto 1986, quando dall’omonimo lago, un cratere di un vulcano quiescente, fuoriuscì una densa nube di Anidride Carbonica che soffocò in pochi minuti 1800 abitanti e 3500 capi di bestiame. Per questo, anche nelle aree dove esistono vulcani apparentemente estinti ma ancora attivi quanto a emissioni gassose, il monitoraggio geochimico assume il valore di prezioso contributo alla Prevenzione di simili tragedie. Raffaele Azzaro e Viviana Castelli sono gli autori di “L’eruzione etnea del 1669 nelle relazioni giornalistiche contemporanee”, edito da Le Nove Muse in collaborazione con l’Ingv. Il volume di 232 pagine contiene le testimonianze contemporanee dell’eruzione del 1669 che è certamente l’evento di maggiore rilievo negli ultimi mille anni di storia del vulcano siciliano. Il fenomeno naturale viene raccontato attraverso un percorso di raccolta di informazioni originali che permettono di ricostruire l’evoluzione dell’eruzione attraverso documentazioni di tipo giornalistico che, rispetto ai trattati scientifici, sono state prodotte a pochissima distanza dal fenomeno eruttivo. Carteggi grazie ai quali si ricostruisce non solo la fase eruttiva e i suoi effetti, ma le relazioni sociali e il rapporto con la fede. Attraverso le pagine di Azzaro e Castelli si evince che, fatta eccezione per la città di Napoli, dall’eruzione catanese nacque la prima editoria giornalistica nel Sud della nostra Penisola, cosa che prima di allora avveniva solo nel Centro-Nord. Così, se quasi tutta l’informazione del tempo si focalizzò sul conflitto tra la Repubblica di Venezia e l’Impero ottomano per il dominio su Creta, l’Etna si trovò tra gli indiscussi protagonisti della cornice geopolitica europea. La nuova iniziativa nasce grazie ad un’idea dell’Ufficio di Redazione del CEN che ha da poco realizzato i primi esempi di “flipbook”, iniziando con la rivista Quaderni di Geofisica. Il flipbook è un documento ideato per la visualizzazione on-line di documenti elettronici tramite vari dispositivi. Con i flipbook l’utente può sfogliare il documento direttamente sul proprio dispositivo senza necessariamente doverlo scaricare e/o stampare. L’operazione al momento è applicata a tutti i documenti editoriali di cui la Redazione si occupa: Quaderni di Geofisica, Rapporti Tecnici Ingv, Miscellanea Ingv e Monografie Istituzionali Ingv. Il flipbook non va a sostituirsi totalmente alle versioni sia cartacee sia “pdf”, ma le andrà semplicemente ad affiancare. L’utente così avrà più possibilità di scelta sul metodo di fruizione del document da leggere. Rispetto ai “vecchi” formati, il flipbook potrà essere arricchito di “link” ipertestuali, link esterni, immagini sensibili, filmati e tracce audio. La creazione dei flipbook consente, infatti, una fruizione multimediale da parte degli utenti interessati. La realizzazione di flipbook può contribuire in modo non trascurabile al risparmio di risorse interne come carta, toner, al risparmio di tempo del personale impiegato per stampa e rilegatura, al risparmio di tempo del fruitore, tramite l’impiego esclusivo di risorse di personale Ingv. Questo nuovo e moderno modo di fare editoria potrebbe anche essere applicato a tutti gli altri prodotti editoriali dell’Ingv, garantendone così una maggiore visibilità e possibilità di fruizione. D’altra parte i progetti scientifici Ingv futuri e in esecuzione dall’Anno Domini 2014 raggiungono la quota di novantasei, per il raggiungimento di obiettivi prioritari nell’ambito delle Scienze della Terra.
© Nicola Facciolini
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