Peggio di così non poteva andare. Si torna a mani vuote, senza neppure un solo podio conquistato: è stata una Paralimpiade deludente, anzi fallimentare, per la squadra italiana che a Sochi ha trovato solamente risultati al di sotto delle aspettative. Merito degli atleti delle altre nazioni, almeno in parte, con un livello complessivo che negli ultimi quattro anni è cresciuto tantissimo, ma le responsabilità sono anche in casa azzurra: a Sochi si chiude un ciclo, si ferma una generazione che ha dato in passato tantissimo ai colori azzurri e ora consegna il testimone ai giovanissimi: quei pochi già presenti in Russia e i tanti che dovranno essere individuati nel prossimo quadriennio.
Orfana della squadra di curling in carrozzina, che non si era qualificata, l’Italia era presente negli altri quattro sport: le notizie positive sono arrivate solamente dall’ice sledge hockey, con la nazionale capace di chiudere al sesto posto finale. Arrivare quinti sarebbe stato un risultato eclatante, ma anche la sesta piazza rappresenta il miglior risultato mai ottenuto nella storia di una squadra che ha appena dieci anni di vita. Ottavi a Torino 2006, settimi a Vancouver 2010, sesti a Sochi 2014. Con una squadra che andrà comunque rinnovata. Nello sci alpino, si attendevano medaglie da Daldoss e Corradini: per loro anche i guai fisici a giustificare i risultati sotto le aspettative poi ottenuti. Ma a parte loro, il migliore è stato Christian Lanthaler, inossidabile come sempre ma pur sempre uno dei veterani della squadra: alcuni giovani ci sono, ma il movimento fatica assai. Discorso simile nel nordico, sci di fondo e biathlon: bravi Francesca Porcellato ed Enzo Masiello, così come Pamela Novaglio, ma Sochi 2014 è stata la loro ultima Paralimpiade e dietro non c’è nessuno che appare capace di seguire nei risultati le loro orme. Lo snowboard, infine, al suo debutto: azzurri bravi e con un’età media ancora non altissima, ma il livello tecnico degli atleti ai vertici è decisamente un’altra cosa.
PANCALLI – “Mai – dice Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico – avremmo immaginato di trovarci con questo tipo di risultati, bisogna avere la consapevolezza e la serietà per capire da dove ricominciare: senza fare drammi, perchè i veri drammi nella vita sono altri”. Pancalli ripete le considerazioni già svolte nei giorni scorsi: “Io lavoro per uno sport che sappia interpretare il ruolo nel grande palcoscenico paralimpico con i grandi risultati ma che al contempo sia in grado di svolgere la propria funzione culturale di sviluppo dello sport di base”. “Non si può – dice Pancalli – non tenere insieme queste che sono le due facce di una stessa medaglia, ma occorrono risorse e un impegno più importante: il Cip è fiero di ciò che fa per tanti ragazzi che non arriveranno mai ai livelli di una Paralimpiade, ma vorrebbe essere messo nelle condizioni di esserci anche ad alti livelli”. E ricorda uno dei punti dolenti della situazione italiana: “Tutto lo sport, ma in misura maggiore alcune discipline, e fra queste quelle invernali, costano tantissimo: non siamo in grado di fornire direttamente delle attrezzature a tutte le famiglie, ma bisogna trovare percorsi virtuosi per favorire la pratica dello sport. Che tali percorsi si chiamino agevolazioni fiscali per le società sportive o detrazioni per le famiglie che spendono in attrezzature sportive per i propri figli disabili, poco importa: la cosa fondamentale è tirare fuori un po’ di intelligenza politica per trovare il modo concreto per sostenere gli atleti fin da giovanissimi. In caso contrario continueremo a raccontare Paralimpiadi come questa”.
I TECNICI – “I risultati parlano chiaro, è stato un fallimento totale”, dice il responsabile tecnico dello sci alpino, Dario Capelli. “L’unico lato positivo è quello che chi fra i giovani è venuto a fare esperienza lo ha fatto e potrà continuare”. Per il resto “bisogna mettersi al tavolo e riflettere seriamente: non si tratta neppure di voltare pagina, ma di cambiare completamente e rivedere tutto. Del resto, da Vancouver a qui i nomi sono rimasti quasi gli stessi”. Peraltro, precisa Capelli, “non si può dire che in assoluto la squadra non ci fosse: la stagione di Coppa del mondo non è andata malissimo, ma al quadro non siamo riusciti a mettere una cornice degna”. Il rammarico, sul lato medaglie, è soprattutto al supergigante di Alessandro Daldoss, uscito a poche porte dalla fine dopo aver fatto segnare il miglior tempo all’intermedio: “Per vincere ci vuole anche un po’ di fortuna, che stavolta ci ha voltato le spalle”. Il problema dello sci azzurro però è a monte: “Il livello delle prestazioni degli atleti che occupano le prime dieci posizioni di ogni gara – fa notare Capelli – è ormai altissimo: sono in larga misura atleti professionisti, in Francia ad esempio sono sostenuti direttamente dal ministero, mentre da noi purtroppo gli atleti che fanno questo sport lo fanno per passione, perché la loro principale attività è il lavoro: su questo bisogna riflettere e trovare soluzioni per riuscire pur in un momento economicamente difficile come questo a trovare fondi e ad individuare un modo per sostenere gli atleti”. L’obiettivo deve essere allora “non aspettare che i giovani arrivino, ma andarli a prendere e farli crescere, potendo però garantire loro che se si impegnano seriamente, ad alti livelli, possono anche avere la garanzia di un ritorno: in caso contrario fare sport è bello, ma eccellere diventa molto difficile”.
“Il gruppo che è venuto a Sochi –dice dal canto suo Alessandro Gamper, tecnico dello sci nordico – è composto per lo più da atleti che hanno dato tantissimo negli anni passati e che sono nella parte conclusiva della loro carriera: gente che è stata al top a Vancouver e con i quali abbiamo continuato anche nel quadriennio successivo. Ora è evidente che non si può più continuare con loro e che occorre rafforzare un percorso di promozione che nel nostro paese, viste le tante difficoltà, non è affatto facile”. “Del resto – ricorda Gamper – finora per trovare nuovi atleti ci siamo anzitutto rivolti ad altre discipline, esplorando la possibilità che atleti impegnati in altri sport fossero compatibili con lo sci e potessero iniziare a praticarlo: questa modalità non può più bastare e occorre invece fare ricerca ad ampio raggio”. Il che, precisa il tecnico dello sci nordico, “richiede anni di lavoro”: “Probabilmente per il prossimo quadriennio dovremmo abbandonare l’idea di ottenere grandi risultati e di lavorare sulla lunga durata, non a breve”. (ska)
Paralimpiadi: l’Italia torna a mani vuote
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