Con le prime note sulla spending review riemergono anche le considerazioni di chi sostiene che per noi conviene uscire dall’euro, considerazioni tanto populiste quanto impraticabili in un mondo dalla economia globalizzata ed intrecci a rete, perché non ci vuole molto a capire che, una volta fuori dalla moneta unica, il cambio schizzerebbe a due euro che tradotto significherebbe un euro = quattromila lire e con il rating-contesto invariato, i nostri beni deprezzati ed il risultato di una deflazione durissima, provocata da politiche di bilancio ancora più rigide per determinare la progressiva rivalutazione della lira nei riguardi dell’euro.
Oppure un’inflazione weimariana, alimentata da una sconsiderata emissione di cartamoneta nel tentativo di annullare, si fa per dire, i distruttivi effetti interni della svalutazione esterna della lira; con entrambe, conseguenze inenarrabili per tutte le principali variabili economiche. Certo, con una valuta debole, l’Italia potrebbe esportare di più, ma come metterla con l’alto costo del lavoro e, soprattutto, col fatto che i mercati non hanno alcuna pietà per le economie deboli o poco affidabili.
Qualcuno rispolvera l’autarchia, ma, ammesso che si riesca a imporla, non si sa per andare dove e per impoverirci ancora di più, alimentando le rendite di burocrazie parassitarie e monopoli, tipici sottoprodotti di qualsiasi forma di protezionismo economico.
Dopo la seduzione, ma solo parziale, della Merkel e mentre anche per lui comincia la politica di corrosione e sospetti, con la procura di firenze che apre un fascicolo sull’affitto pagato per lui dall’imprenditore Carrai, ora Renzi deve vedersela con l’Ue, con Barrosso che ribadisce che siano rispettati i vincoli di bilancio e lui che, immediatamente replica che l’Italia lo sta già facendo.
Appena arrivato a Bruxelles per prendere parte al suo primo Consiglio Europeo, Renzi strappa un tweet a Barroso che scrive: “l’Europa sosterrà l’Italia nelle sue riforme”.
Non è molto ma è già qualcosa nella giornata in cui prende il via la discussione dedicata al semestre Ue, cioè all’adozione formale delle raccomandazioni rivolte dalla Commissione ai singoli Paesi in vista della stesura dei documenti programmatici (Def) per il 2015, che dovrebbe anche sbloccare l’intesa per lo scambio dei dati nazionali nel quadro della lotta all’evasione fiscale e per completare il quadro normativo che consentirà di dare vita all’Unione bancaria.
Insomma Renzi punta sempre a renderlo elastico il 3% di sforamento, ribadendo che una intesa no solo economica, ma politica, si renderebbe subito conto che a volte i debiti per uscire dalle crisi occorre farli Successivamente i leader dei 28 Paesi Ue affronteranno la crisi ucraina. Sul tavolo ci saranno le ipotesi di nuove sanzioni e l’annullamento del vertice bilaterale Ue-Russia previsto per giugno; o quanto meno la sospensione dei lavori preparatori.
In questo ambito Renzi è guardingo e si accoda mentre tenta di puntellare la sua credibilità internazionale facendo diramare una nota in cui Palazzo Chigi chiede alla Conferenza delle Regioni tempi certi e un contributo da protagonisti nel processo di trasformazione del Senato e sulla riforma del titolo V e all’Anci e e ai sindaci che hanno preso parte all’incontro un coinvolgimento in prima persona nel processo di trasformazione delle istituzioni.
Ieri, prima di Bruxelles, aveva intascato il sì di Camera e Senato, affermando, col suo solito modo convincente e spavaldo, che: “Il commissario Cottarelli ha fatto un elenco, ma toccherà a noi decidere dove tagliare” e rilanciando il programma del governo dei prossimi mesi, a partire dalla spending review, ribadendo la linea “decisionista” e con un paragono familiare che dice: “Come in famiglia se non ci sono abbastanza soldi sono mamma e papà che decidono cosa tagliare e cosa no”.
Anche in quella occasione ha detto che “il Parametro 3% deficit/Pil è anacronistico” e che “dobbiamo lottare contro un’Europa espressione della burocrazia”.
Però qualcuno ha ricordato che anche Prodi malconsidererà quel parametro (anzi lo definì “stupido”), per poi abbracciarlo e sostenerlo come premier.
Ma Renzi è bravo con le parole e dice che lui non vuole infrangere le regole, ma cambiarle e dice di farlo con il partito più grande del Paese ed il più grande all’interno del Pse, una forza che lui intende mettere in campo in Europa da subito, per ottenere quella flessibilità che consenta le riforme annunciate e che, nelle promesse, dovranno essere operative in tempi stretti.
Naturalmente fra il dire e il fare c’è di mezzo una già preannunciata durissima spending review, che taglia, ma poco, alla politica e molto, pare, alla solita classe media.
Carlo Di Stanislao
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