Tra il 1941 e il 1942 il regime fascista ha deportato in Abruzzo 167 cinesi. Ci sono rimasti fino alla Liberazione, nel giugno 1944. Il rastrellamento degli immigrati (oltre ai cinesi, soprattutto rom ed ebrei dell’Europa centrale) è cominciato nel 1940, quando l’Italia è entrata in guerra. In un decreto regio si stabiliva che i nemici dei Paesi alleati italiani (in quel momento Germania e Giappone) avrebbero dovuto subire l’arresto e l’isolamento, per evitare che raccogliessero informazioni sensibili. Terre di mezzo street magazine ha ricostruito per la prima volta l’elenco completo degli immigrati internati tra Tossicia e Isola del Gran Sasso, in provincia di Teramo. Sono i due campi d’internamento dove sono passati dei cinesi. Il terzo è a Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza. Alcuni degli internati si sono sposati e hanno avuto figli: i primi immigrati di seconda generazione d’Italia. Insieme a Daniele Cologna, ricercatore di lingua cinese dell’università dell’Insubria e socio fondatore dell’agenzia di ricerche sociale Codici a Milano, Terre di mezzo li ha incontrati e ne ha ricostruito la storia. La potete leggere su “Identità perdute”, articolo pubblicato nel numero 46 del giornale, in distribuzione alla fiera Fa’ la cosa giusta! Dal 28 al 30 marzo, a Milano.I campi d’internamento abruzzesi erano abitazioni private o ostelli per pellegrini, marchiate fuori da un’immagine stilizzata del Duce. Gli internati erano liberi di muoversi, a patto che relazionassero tutto al podestà, responsabile dei campi. È nella piazza di Isola del Gran Sasso che Ching Ting Shen, uno dei 116 trasferiti nel paesello da Tossicia il 16 maggio 1942, ha conosciuto la sua futura sposa Domenica Benvenuto. Qualche traccia della sopravvissuta in alcuni documenti sepolti negli archivi dei due paesi abruzzesi. Come la conversione al cattolicesimo, insieme ad altri 40 compagni di campo, sotto la guida spirituale di padre Antonio Tchang, prete mandato in Abruzzo direttamente dalla Santa Sede. Questa storia ha un finale a lieto fine, nonostante tutto. Terre di mezzo ha potuto conoscere alcuni discendenti degli immigrati: “Non ho mai avuto problemi d’integrazione – racconta Luigi Ching Ting, uno dei tre figli di Ching Ting Shen – certo, i coetanei mi guardavano con curiosità e volevano sapere delle mie origini”.
Ching Ting non è l’autentico cognome di Luigi. Tanto è vero che, causa traslittterazioni imprecise, solo la sorella Paola ha lo stesso cognome. L’altra, Giuliana, ha un nome diverso: Chiu Ting. Daniele Cologna attraverso i documenti cinesi originali ha stabilito il nome originale. Qiu [pronuncia Ci-où], famiglia probabilmente è originaria di un villaggio del distretto di Qingtian, nell’entroterra della città costiera di Wenzhou. Come i Ching Ting sono probabilmente una decina le famiglie che ancora ignorano le loro origini a causa di traslitterazioni sbagliate e documenti perduti. “Tanti di questi primi immigrati di seconda generazione non hanno voluto ricercare le proprie origini”, spiega Daniele Cologna. Ma la loro è una pagina di storia italiana che meritava di essere riscoperta.(lb)
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