E se avesse ragione Antonio Pascaled e tutto si riducesse, in fondo e per tutte le questioni umane, ad una esclusiva diatriba fra ragione e trance, fra razionalità e visione?
Dovremmo chiderci allora, alla luce di quanto accade, se Renzi sia un razionale o uno propenso alla trance, come lo sono stati, in passato, Diogene, Rousseau e Pasolini, per concludere che è un esempio piuttosto ben riuscito di chi sa narrare e fare immaginare e che ostinatamente non vuole considerare prove definitive ciò che nasce da convegni tecnici, frutto di competenze e ragionamenti, di valutazioni e prove in campo, che, secondo lui, possono essere superate se si ha una visione, come se questa potesse per incabto tramutarsi in denaro e, quindi, in fattibilità.
In vista dell’avvio delle riforme istituzionali, il disegno di legge che porta la firma del suo più fidato sottosegretario, si è trasformato in una prova della tenuta degli accordi di governo e lo scarso margine con il quale la maggioranza ha evitato l’approvazione della pregiudiziale al testo, presentata dal M5S ed appoggiata da Sel, ha messo in allarme Palazzo Chigi.
Renzie, l’alfiere di una cultura umanistica (come visione) che ci costringe a concentrarci sugli altri, sente puzza di palude (per usare una sua stessa metafora) e posta un tweet serale in cui prova a serrare le fila ricordando che se passa la riforma delle province “tremila politici smetteranno di ricevere un’indennità”.
Oggi si vedrà se in Senato il testo del ddl Delrio sarà approvato per poi ritornare alla Camera per la conversione definitiva in legge per rivedere funzioni e competenze degli enti provinciali in vista della loro futura soppressione.
Parallelamente, sempre nell’aula di Palazzo Madama, partirà la discussione del ddl costituzionale per l’abolizione delle Province, con maggioranza e opposizione hanno già trovato l’accordo per la calendarizzazione d’urgenza e base costituita da disegno di legge costituzionale 1373 presentato a lo scorso 11 marzo dal senatore M5S Vito Crimi, con la cancellazione della parola “provincia”dalla Costituzione.
Ma gli ostacoli per lui crescono e non solo nella “minoranza Pd” che vede tutte queste novità come pericolose e le proposte di Renzi come “fuffa” senza contenuti.
Anche se la sinistra dovrebbe essere incline al cambiamento, quello che Renzi ha in mente si definisce privo di basi e piuttosto spericolato da parte di chi vuole continuare ad ostinarsi a salvaguardare gli interessi delle singole parti: sindacati, burocrazia e via dicendo.
Alcuni anni fa Pierpaolo Antonello (per la casa editrice Mimesis) scriveva “Dimenticare Pasolini” e sosteneva, in un capitolo molto sapito, etto al contesto britannico, in Italia è mancato anche il terreno medio, ovvero una divulgazione di alto profilo che non fosse considerata una forma di annacquamento di particolari complessità disciplinari, ma come necessaria mediazione rispetto a contenuti di carattere specialistico, dove tra i compiti dell’intellettuale ci sia anche quello di traduzione dei linguaggi.
Questa difficoltà, oltre che per lo snobismo intellettuale, è stata determinata anche per il livello di astrazione della lingua italiana, malata di quello che Calvino chiamava terrore semantico, e che nasconderebbe la mancanza di vero rapporto con la vita, e che Tullio de Mauro ha reputato una delle cause del deficit di competenza linguistica nostrana. Così, mentre gli inglesi possono annoverare tra gli intellettuali Susan Greenfield, Steven Hawking o Richard Dawkins, attenti alle novità tecnologiche e scientifiche, da noi c’è stato un sostanziale rifiuto nel comprendere le novità cognitive e culturali introdotte dalle rivoluzioni tecnologiche e lo statuto dei nuovi mezzi di comunicazione.
A questo ha contribuito anche la succitata ostilità degli intellettuali nei confronti della scienza e della innovazione e della ridefinizione di modalità di intervento culturale con un trinceramento in categorie filosofiche assolutamente obsolete (si pensi alle formule usate da Emanuele Severino e Umberto Galimberti).
E, in campo politico, a guardare con diffidenza a chi porta nuove idee, sostenute da nuove parole, capaci di superare i ragionieristici discorsi economici, per aprirsi a respiri più grandi.
Anche perché, ammettendo che il mondo attuale è molto complicato e pieno di difficoltà, occorre anche chiarirsi con quale idee vincere la sfida e non solo con quali soldi ritardare o arginare la disfatta.
Altrimenti come faremo, a cose fatte, a raccontare la bellezza del salvataggio, a commuoverci quando paragoneremo Renzi a Sullerberger, il pilota che fece atterrare il suo areo pieno di persone e con tutti i computer silenziati e che disse semplicemente alla torre: “Ora li riporto tutti a casa, sani e salvi”.
Abbiamo vissuto per anni indebitandoci allegramente. Per anni l’Italia ha rappresentato un esempio da manuale di colpevole democrazia della spesa non coperta da entrate adeguate; cioè di una classe politica irresponsabile (la stessa, peraltro, che tra poco più di sei mesi ci chiederà il voto), la quale pensava sempre solo al suo consenso e mai al futuro del Paese. E anche un esempio, per favore non dimentichiamolo, di cittadini sempre avidi, ogni volta che ne avevano la forza, di chiedere soldi pubblici e privilegi a carico dell’erario.
E’ questo che Renzi vuole cambiare ed anche l’idea che la Germania non è il rappresentante autorizzato delle buone strategie di governo, ma solo un paese che ha con il nostro (e non solo, naturalmente) un assai antico e complesso rapporto di solidarietà politica a tutto campo qual è da decenni quello definito dalla costruzione europea e da una connessa, amplissima, condivisione istituzionale, in moda da squarciare l’involucro solo economico del discorso per fare emergere emergere con forza il contenuto politico che alla fine è l’unico che conta, dal momento che – qualunque cosa dicano i vari trattati, anche quelli di natura più tecnica – il senso e la ragione ultima dell’Unione Europea sono per l’appunto un senso e una ragione di natura intrinsecamente politica (anche se questa non è mai riuscita a concretizzarsi in istituzioni adeguate) e quindi di trance e di visione.
Una visione che non è quella di un pazzo ma di uno che, forse, ha capito come uscire dal Cocito dantesco, situato sul fondo dell’Inferno, che gli economisti non sono mai riusciti a capire, né a livello pratico né teorico, come si esce da questo gelido lago, ma che lui, seguendo l’esempio di Obama, si accinge a disgelare (ricordate la terzina dell’altro fiorentino: “Per ch’io mi volsi, e vidimi davante/E sotto i piedi un lago che per gel/Avea di vetro e non d’acqua sembiante”?), impegnandosi, nonostante la palude, nella direzione di una politica monetaria clamorosamente espansiva, anche se sembra che quest’arma lui non c’è l’abbia, perché, passo dopo passo e sogno dopo sogno, se la sta costruendo, con il suo agire e facendo le scelte più giuste.
Carlo Di Stanislao
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