Il 3 Dicembre 2011 in un comunicato-appello si ricordava l’urlo di don Peppe Diana, il sacerdote assassinato nel 1994 perché non si arrendeva ad una Campania “unica grande Gomorra” in mano alla camorra. Nei mesi precedenti, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, in visita in Abruzzo, lanciò un fortissimo allarme sulla speculazione edilizia e su come le mafie vi riciclano “denaro sporco”. Ma tanti erano i segnali che non bisognava assolutamente abbassare la guardia. Si chiese quel giorno, provocatoriamente ma non troppo, “arriverà una Histonium 3?” facendo riferimento alle inchieste degli anni precedenti della locale Procura sulla nascita a Vasto di una vera e propria ‘ndrina tutta abruzzese. Poco più di un mese dopo, con l’operazione Tramonto, a Vasto venivano sgominate tre organizzazioni legate al traffico di droga. Era il gennaio 2012. Due anni dopo il cerchio di quelle operazioni si è concluso con l’operazione Adriatico, che ha ricostruito almeno 10 anni di presenza criminale in Abruzzo. 10 anni di attentati, spaccio, intimidazioni, controllo mafioso del territorio, su tutta la costa teatina. L’operazione Adriatico ha documentato quanto la presenza nella nostra Regione di organizzazioni camorristiche sia molto più penetrante, diffusa e consolidata di quanto in questi anni in molti hanno voluto credere e far credere. Anche se i segnali c’erano, e ci sono ancora, tutti. Il Vastese, Pescara e L’Aquila del post-terremoto sono tra i territori dove più questo avviene. Sfruttamento della prostituzione e dell’immigrazione clandestina, speculazione edilizia, droga, rifiuti sono alcuni dei lucrosi affari della penetrazione mafiosa dell’Abruzzo.
Tanto, troppo spesso sulle mafie in Abruzzo si è seguita una narrazione rassicurante ma totalmente fuorviante. Una narrazione che racconta una presenza marginale e insignificante, totalmente avulsa e lontana dal tessuto sociale. Confidando che ogni tanto basta che la magistratura faccia arrestare qualche “mela marcia” (che ovviamente “non è dei nostri, non c’entra nulla con l’Abruzzo” et similia) e la coscienza si può rassicurare. Non è così, come in questi anni si è denunciato. La droga non viene soltanto prodotta e venduta, viene anche acquistata da qualcuno. Nel marzo 2009 una massiccia operazione anti-droga stroncò un traffico tra i locali di Pescara vecchia, la zona della movida. La “Pescara bene” non era esclusa dal traffico di droga, che la narrazione voleva confidata nella periferia della città. Ma in quante delle nostre città e dei nostri comuni è così? In Abruzzo son giunte droghe come il cobrat, un nuovo stupefacente derivante dal processo di raffinazione dell’eroina, e il ritrovil, uno psicofarmaco facilmente reperibile sul mercato illegale di cui fa uso chi non può pagarsi l’eroina e che ha effetti simili ma conseguenze peggiori. Chi compra queste droghe? Chi alimenta i traffici criminali? Città come Pescara e Montesilvano sono da tantissimi anni (in aumento, nonostante la repressione) teatro della tratta della prostituzione. Periodicamente si alzano cori di riprovazione e si chiede di togliere le prostitute dalle strade, sventolando motivazioni di ordine pubblico, pudore pubblico e argomentazioni simili. La città bene non vuole le lucciole, se ne schifa. Non ci si interroga su come si alimenta la tratta. E soprattutto chi la alimenta…
Negli ultimi mesi si è tornato a parlare dell’ex fornace Gagliardi in contrada Venna a Tollo, il luogo dove negli anni Novanta sono stati stoccati rifiuti chimici pericolosi provenienti da varie regioni del Nord. Ma tantissimi sono stati i traffici di rifiuti che hanno coinvolto l’Abruzzo negli anni. Nella legislatura 1996-2011 la relazione relativa alla Regione Abruzzo della Commissione Bicamerale d’inchiesta “sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse” (la stessa che ascoltò le dichiarazioni poi secretate di Schiavone…) fece riferimento ad una rotta adriatica della quale l’Abruzzo era uno degli snodi più importanti.
Ma Tollo è solo uno dei capitoli dei traffici criminali di rifiuti in Abruzzo. In fondo riportiamo alcuni degli episodi più significativi[*]. Ma sicuramente altri ce ne sono.
La politica in questi anni non sempre ha mostrato il suo lato migliore. Non abbiamo notizie di Comuni sciolti per mafia o di politici organici alla camorra, ma di arresti, scandali, corruttela l’Abruzzo (come abbiamo scritto in un comunicato a Gennaio) è sostanzialmente saturo. Ma non è solo questo. Nella notte tra il 5 e il 6 ottobre 1991 fu assassinato l’avvocato Fabrizio Fabrizi. Le indagini su quel delitto non giunsero mai a condannare definitivamente mandanti ed esecutori. Ma da quelle indagini partì una valanga che travolse quello che il compianto Sergio Turone definì anni dopo un “regime in agonia”. Crollarono le giunte comunali di Pescara e Chieti, erano gli anni di Tangentopoli e decine di personaggi finirono in carcere e sparirono dalla scena politica abruzzese. E’ la dimostrazione che anche qui la narrazione di cui abbiamo prima parlato colpisce e falsamente rassicura. E’ troppo facile pensare che i “soldi sporchi” servano solo per le ville lussuose di esponenti di clan considerati non italiani (sbagliato! Sono italianissimi come tutti!) o viaggino verso altre regioni (perché sicuramente non sono abruzzesi ma “vengono da fuori e rovinano l’Abruzzo”). Assolutamente no.
La speculazione edilizia, la devastazione dei territori, la non gestione virtuosa dei rifiuti sono stati favoriti negli anni anche da scelte di precise parti politiche. La politica, che dovrebbe difendere e tutelare il bene comune e i suoi cittadini, si è anche piegata ad interessi particolari, alle pressioni di lobby speculative. E così abbiamo Riserve Regionali che vengono ripetutamente tagliate negli anni, Parchi Nazionali che non si vogliono far nascere, piani regolatori e non solo scritti, disegnati a tavolino, contrattati con lobby speculative. Nella Regione che si definiva la Regione Verde d’Europa. I soldi delle mafie, dei traffici sporchi e dello sfruttamento criminale non rimangono nascosti nei cassetti. Vengono riciclati, ripuliti. I colletti bianchi raccolgono e re-distribuiscono, si nascondono nei gangli dell’economia legale e così nascondono i loro soldi lucrandoci ancora. Abbiamo già fatto riferimento alle dichiarazioni del procuratore Gratteri. Nel vastese vari sono stati i sequestri edilizi avvenuti negli anni ad imprenditori considerati vicini a cosche camorristiche. In un testo universitario teramano, Vasto viene considerata una città dove altissimo è il livello del riciclaggio di denaro sporco nell’edilizia. Nel novembre 2012 un’inchiesta della DDA di Catanzaro svelò una triangolazione tra imprenditoria, la ‘ndrangheta e una loggia massonica che puntava anche ad appalti nel post-terremoto aquilano. Nel 2007 si scoprì che Sandokan Schiavone aveva beni immobili e terreni a Pizzoferrato. L’anno successivo le indagini della magistratura documentano come parte del “tesoro” di don Vito Ciancimino è stato investito nella Marsica. Sempre nel 2008 parte nella Marsica un procedimento per 416 bis, ai danni di abruzzesi e siciliani, con il sequestro di beni e capitali a Giovanni Spera, figlio del boss siciliano Benedetto Spera. E con una riflessione, ripartendo dai primi fatti riportati e arrivando a questi ultimi, vorremmo chiudere. Alla luce delle risultanze dell’operazione Adriatico, dobbiamo concludere che alcuni anni fa (ma, appunto, con cascami giunti fino ad oggi) l’Abruzzo contemporaneamente ha avuto varie organizzazioni legate alla camorra nel vastese, clan locali dediti a traffici illeciti soprattutto nel pescarese, altre famiglie camorristiche dedite allo spaccio tra la zona peligna e Pescara, società riconducibili a Massimo Ciancimino che investivano il tesoro del padre Vito nella Marsica, l’agguato ad un boss deciso a Villa Rosa di Martinsicuro, il narcotrafficante Diego Leon Montoya Sanchez (tra gli 8 maggiori ricercati dall’FBI) con una base in Abruzzo, Nicola Del Villano (alla macchia dal 1994 e definito il braccio destro di Michele Zagara, capo del clan dei Casalesi) e Giuseppe Sirico (della famiglia di Nola-Marigliano) rifugiati in Abruzzo, Sandokan presente e che investiva nell’alto vastese…
Alessio Di Florio
Ass. Antimafie Rita Atria
Ass. Culturale Peppino Impastato
PeaceLink Abruzzo
[*] Tra il 1994 e il 1995 le indagini dei carabinieri del NOE scoprirono un traffico di fanghi a Scurcola Marsicana. Gli accertamenti hanno denunciato una rilevantissima quantità di materiali sversati: in pratica otto discariche, per un totale di circa 90 mila quintali di materiali depositati.
Nel dicembre 1996 viene avviata un’operazione che documenterà un giro di rifiuti speciali e industriali provenienti dalla Lombardia e smaltiti illegalmente nelle cave abbandonate della Marsica.
L’8 Agosto 1997 in un’informativa il NOE scrisse che “la malavita, direttamente o indirettamente, abbia controllato e controlli tuttora il flusso di varie tipologie di rifiuti, che, prodotti essenzialmente fuori dal territorio della regione Abruzzo, con artificiosi passaggi, sono smaltiti abusivamente come residui riutilizzabili ed impiegati infine come ripristino ambientale” di una cava ormai esaurita.
Nel 1998 in soli 23 giorni confluirono nella Marsica 440 tonnellate di fanghi provenienti da industrie di Caserta, Napoli, Frosinone, Rieti, Roma, La Spezia e Isernia. In quegli anni l’indagine “Gambero”, su un giro di traffici di rifiuti industriali, coinvolse 60 ditte di tutta Italia.
La Commissione Bicamerale Parlamentare sul ciclo dei rifiuti 1996-2001 riportò nella sua relazione finale che avevano trovato in quegli anni in Abruzzo uno “sbocco” rifiuti che “non si potevano più scaricare in Campania in seguito a vivaci e sanguinosi contrasti fra famiglie camorriste”. Tali rifiuti furono smaltiti nella cava Masci in Provincia de L’Aquila e in un’altra località. Dopo il sequestro di queste aree i rifiuti furono dirottati a Tollo e, dopo il sequestro anche di questa nuova area, “quasi sul greto del fiume Pescara, a Chieti Scalo” per poi concludere questa odissea “a Cepagatti, in contrada Aurora.”
Nel febbraio 2010 si scopre che il campo dei Vigili del Fuoco a Monticchio(AQ) era stato allestito su una discarica di rifiuti tossici.
Nel luglio 2010 l’operazione dei Noe di Ancona, ma coordinata dalla Procura di Napoli, stronca una rete criminale con base a Corridonia, in provincia di Macerata e ramificazioni in Campania, Lombardia, Puglia, Abruzzo, Lazio e Sicilia. Tra il 2005 e il 2009 centomila tonnellate di rifiuti pericolosi (compresi scarti della raffineria di Gela) sono stati smaltiti illegalmente in discariche italiane ed europee.
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