In occasione del quinto anniversario del terremoto invaderemo il centro storico con la mostra fotografica “L’Aquila [sur]reale – precarietà e spopolamento dietro i riflettori“: un viaggio visivo – sui luoghi della città – che rappresenta per noi una chiara azione politica.
Ogni anno i riflettori su L’Aquila si riaccendono in occasione dell’anniversario del terremoto: telecamere sui «cantieri dell’asse centrale», turisti che partecipano alle commemorazioni, passerelle di una classe politica nazionale e locale che ha evidentemente fallito.
Attraverso le immagini, che contengono in sé la forza della narrazione, vogliamo continuare a denunciare le reiterate promesse mancate in questi anni, l’abbandono delle frazioni e dei piccoli comuni del cratere, la totale assenza di politiche sociali e per il lavoro, il folle scempio del territorio, la mancanza di una visione comune per il futuro di una città, che continua irrimediabilmente a spopolarsi.
L’Aquila è diventata una dispersa e disagiata periferia, dove le fasce sociali più deboli soffrono maggiormente una quotidianità difficile per tutte e tutti, ed i riflettori che si riaccendono ogni 6 aprile rappresentano la sur-realtà del centro storico, “dimenticando” ogni anno dove davvero vive la vita, quella degli infiniti luoghi satellite e delle persone con i loro carichi di problemi. La nostra città è un non-luogo dal quale i giovani vanno via sempre in maggior numero, in cui ci sono persone che vivono in case popolari inagibili, in cui non esistono politiche per il lavoro, né ci sono sostegni al reddito e la speculazione economica e politica regna incontrastata.
Noi non ce ne vogliamo andare dall’Aquila, continuiamo a lottare ogni giorno per un posto migliore, dentro e fuori le mura della città.
Le trentotto fotografie di questa mostra raccontano, in maniera del tutto evidente, proprio i cinque anni trascorsi da quella notte: dal primissimo periodo post-sisma, in cui i nostri sguardi hanno malinconicamente iniziato ad abituarsi all’abbandono degli edifici feriti o distrutti, delle strade e delle piazze; ai mesi del timido, impacciato e graduale ritorno ai luoghi disastrati della vita passata; al disagio dei più piccoli e dei più anziani nell’approccio abitativo e di vita con le nuove C.A.S.E. e i non-luoghi della precarietà e provvisorietà; alle immagini della vita attuale, con cantieri, operai, demolizioni, e una vitalità che tenta con forza di riemergere, ma in cui il disagio persiste prepotente.
Alcune delle fotografie sembrano essere, inoltre, senza tempo: potrebbero essere state scattate cinque anni fa o ieri, perché lì tutto è rimasto uguale ad allora. Nel multiforme percorso di immagini si passa dal “crudo” reportage di chi, per professione, è abituato a confrontarsi con le tante situazioni di “emergenze”, a narrazioni prevalentemente “pittoriche”, allo stile della fotografia architettonica, a quello della fotografia di chiara denuncia sociale. Infine, la differenza anagrafica e di provenienza degli artisti presenti (non tutti sono aquilani) dà vita ad un insieme visivo variegato e interessante.
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