L’intervento dell”Arcivescovo Petrocchi durante l’omelia della Santa Messa celebrata mezz’ora dopo la mezzanotte nella chiesa delle Anime Sante, nel cuore del centro storico dell’Aquila.
Quel suono mesto, e al tempo stesso austero e solenne, ricorda le vittime del catastrofico terremoto che ha colpito L’Aquila cinque anni fa. La voce di quella campana ha un valore non solo commemorativo, ma anche esistenziale: infatti, richiama volti ed evoca storie, che non sono state ingoiate dal nulla, ma restano vive e presenti, perché l’amore non muore. Il Vangelo ce lo insegna: tutto ciò che è sigillato dal vero, dal bene e dal bello non passa, ma resta per sempre. Per questo i vivi “di qua” (che camminano nel tempo) possono rimanere in comunione con i vivi “di là” (che sono già entrati nel Giorno eterno, che non conosce tramonto).
Perciò la memoria di quella tragedia, che rimane indelebilmente impressa nella mente e nel cuore di chi l’ha vissuta, non può limitarsi a rivisitare il passato e a scandagliare, con nostalgia, i sentimenti più cari, ma deve vigorosamente proiettarsi verso il presente e aiutare a progettare il futuro: perché dal sacrificio e dal dolore di tanti fiorisca rigogliosa la Vita.
Gli “sciami” problematici provocati dal sisma
Da vescovo e da neo-cittadino di L’Aquila, dopo aver cercato di tenere la mano al polso della Città, ho l’impressione che occorra incrementare una “consapevolezza corale” e sempre più lucida degli eventi accaduti. Oggi, più che di “dopo-terremoto”, parlerei di “terremoti-dopo”: il sisma, infatti, pur essendosi esaurito come “scossa tellurica”, prolunga la sua nefasta azione propagandosi attraverso “onde sussultorie” spirituali, antropologiche, economiche e sociali, che determinano profonde fratture nel vissuto religioso, psicologico e sociale della popolazione.
Le vittime del sisma, ufficialmente conteggiate, sono 309: ma la lista di questo “necrologio” va rivista e, purtroppo, aumentata. Infatti, sacerdoti, medici, ed esponenti della pubblica amministrazione mi hanno riferito che – nei periodi successivi al terremoto – molte persone (soprattutto anziane) sono decedute per infarto, per tumore o per malattie riconducibili a sindromi cardiovascolari o a drastiche diminuzioni delle difese immunitarie, causate da forte stress. Questo triste esito viene interpretato, da diversi clinici, come un atteggiamento di “congedo anticipato” dalla vita.
Anche i fenomeni di tipo depressivo o di tristezza rassegnata hanno conosciuto, nel territorio, un improvviso e vistoso incremento, come è dimostrato dalla accentuata e atipica crescita nell’uso di psicofarmaci. La gente di montagna, molto dignitosa ma di indole introversa, tende a mantenere “serrati dentro” i sentimenti che prova, lasciando che il dolore scavi solchi interiori e provochi relazioni personali impoverite. In sintesi: il tessuto sociale si è fortemente sfibrato e parcellizzato.
Migliaia sono le persone ancora residenti fuori delle loro case. Gran parte della gente che ha subìto questo “trasloco forzato” ha sofferto la perdita di legami affettivi di primaria importanza e si è ritrovata priva degli spazi tradizionali di aggregazione come anche delle aree che ospitavano consolidate “abitudini” religiose e sociali.
Robusto, inoltre, appare l’ “esodo silenzioso” di tanti Aquilani che – pur risultando anagraficamente residenti nel territorio – di fatto hanno lasciato l’area del “cratere”, per insediarsi nei centri urbani del litorale abruzzese. La causa principale di tali spostamenti è da ricercarsi nelle fosche incertezze che gravano sul presente di questa zona e ne ipotecano negativamente il futuro. Il “tasso di allontanamento” risulta ancora più alto e preoccupante tra i giovani: per questo recentemente ho parlato di una allarmante “emorragia generazionale”, ormai in atto. Flusso questo che – se non fermato per tempo – è destinato ad arrecare gravi danni, alla comunità civile come anche al tessuto socio-culturale aquilano. In particolare, nei gangli vitali della Città, che hanno subìto il “salasso demografico”, si avvertono tensioni e squilibri, che si manifestano nei sintomi di una vistosa “astenia imprenditoriale e produttiva”.
Risultano, purtroppo, accentuate le fragilità e le spinte disgregative che colpiscono numerosi nuclei famigliari, come anche appaiono in ascesa inquietanti manifestazioni di disagio giovanile, che si esprimono nel disorientamento esistenziale e in diffusi fenomeni di “dissonanza” comportamentale.
Appare, perciò, fondato concludere che – se non si trovano le vie per dare risposte concrete e rapide a queste sfide – nel prossimo futuro il senso-di-appartenenza di molti cittadini andrà incontro a fenomeni di “atrofia” e di marcata indifferenza, che, come l’esperienza insegna, si rivelano refrattari a tentativi tardivi di recupero. Di conseguenza, “lo stato di allerta” non si dovrà di fatto considerare concluso fino a quando L’Aquila non uscirà dal “tunnel-terremoto” e dai pericolosi “sciami problematici” ad esso connessi.
L’anima della ricostruzione
La ricostruzione, per essere vera ed efficace, non può contare solo su logiche ingegneristiche ed efficienze tecnico-finanziarie: ha bisogno, prima di tutto, di ritrovare un’anima, munita di intelligenza “profetica” (che sa ideare l’avvenire valorizzando l’esperienza del passato) e dotata di cuore che pulsa amore, spirituale e civile (idoneo a creare coesione sociale e cittadinanza attiva).
Non basta dire “L’Aquila non morirà”, e neppure limitarsi ad affermare che rivivrà “così com’era”. Bisogna mirare ad un progetto molto più grande, annunciando che L’Aquila “risorgerà”, più forte e più bella di prima. Ma per ridare a L’Aquila il suo volto splendido e accogliente si richiede la costruzione di un “Noi allargato”, che pensa al plurale e si protende, con tenacia, verso il bene comune.
Va dato atto, ai vari Soggetti istituzionali, che molto è stato fatto e che tanta passione è stata profusa nella fase dell’emergenza e nell’opera della prima ricostruzione. Il “sentimento adeguato”, perciò, – in risposta alle realizzazioni positive e riuscite – deve essere quello di una convinta “ri-conoscenza”, intesa come “gratitudine onesta”, che sa vedere i meriti effettivi ed è pronta a ricambiare il bene ricevuto.
Non mancano motivi di denuncia, di protesta, di delusione e di sofferenza, che vanno però gestiti con maturità etica e democratica, perché, se non convogliati correttamente, questi attriti possono alzare il tasso di conflittualità e di pretesa, abbassando – in proporzione inversa – la soglia di tolleranza e la volontà di partecipazione.
Nel promuovere le istanze ritenute giuste o per correggere aspetti considerati deficitari o sbagliati, bisogna percorrere le vie del dialogo a tutto campo, nel confronto sincero, ponderato e rispettoso. Occorre perciò immunizzarsi dalle tossine – pericolose e virulente – di una “cultura dell’urlo e del randello”, che ha origini ataviche, ma che contagia larghi strati della nostra epoca e continua ad aggirarsi, rabbiosamente, nei sotterranei della psiche: collettiva e individuale. Si tratta di forme minacciose e aggressive che – rispetto al passato ancestrale – cambiano moduli espressivi e strumenti di attacco (oggi privilegiano spesso, come strumenti di offesa, i mezzi di comunicazione sociale). Tuttavia, pur adottando sofisticate “cosmesi culturali”, esse mantengono la loro fisionomia graffiante ed ostile. Le opinioni non risultano più valide perché gridate: la verità di una affermazione non è proporzionale al volume della voce di chi la dice, ma alla oggettiva e documentabile rispondenza ai fatti. La cancrena della disinformazione e della diffamazione deve essere accuratamente evitata e combattuta: ogni notizia, infatti, va criticamente pensata e adeguatamente accertata prima di essere diffusa, altrimenti ammorba l’ “ambiente cognitivo” e rovina i “polmoni psichici”, specialmente delle nuove generazioni.
Riaprire le chiese: parte integrante della identità aquilana
La ricostruzione di L’Aquila deve garantire la rapida e fattiva riedificazione delle abitazioni civili, per consentire alla popolazione di ritornare presto a casa, ma anche – e in modo sincronico – deve puntare al restauro delle chiese, che – insieme ai palazzi e ai monumenti di grande pregio architettonico e urbanistico – rappresentano un tesoro spirituale, artistico e storico. Esse costituiscono un fondamentale fattore “identitario” dell’“aquilanità”, che consente alla Città di rimanere se stessa e diventare – di più e sempre meglio – un polo turistico importante nel panorama regionale e nazionale. Inoltre, questi luoghi di culto e di incontro assolvono anche al fondamentale e insostituibile compito di essere “spazi-di-prossimità”, sul versante ecclesiale e sociale. Per questo ho ripetutamente invitato le Autorità pubbliche ad accelerare al massimo il processo di recupero degli edifici sacri, per impedire che la perdurante “apnea aggregativa”, da cui siamo afflitti, finisca per provocare “asfissie comunitarie”, con pesanti ricadute non solo sul piano ecclesiale, ma anche nell’ambito civile e culturale.
Fede e ragione: due “ali” della ricostruzione
L’Aquila è chiamata a potenziare lo slancio della fede, che nel corso della sua storia è stata straordinariamente feconda di opere buone e attenta a promuovere la dignità di ogni uomo e di tutto l’uomo, ma ha bisogno anche di usare la forza della sana “ragione civica”: sentinella rigorosa dell’ordinata e propulsiva vita sociale. Ragione capace di resistere agli impulsi torrentizi dell’emotività; lungimirante nel tessere intese; abile nel disinnescare contrapposizioni e rivalità; onesta nel riconoscere i risultati positivi conseguiti dagli altri; intransigente nel respingere ogni forma di illegalità; costante nell’applicazione delle regole che devono governare le interazioni tra istituzioni e cittadini; creativa nello sviluppare una prospera e innovativa produttività economica.
Occorre, di conseguenza, esorcizzare il magnetismo malefico degli individualismi sfrenati e predatori; smontare gli egoismi di casta e i monopoli dei gruppi élitari; neutralizzare le miopie ideologiche e le sterili polemiche; sminare i campi del dibattito politico dai pregiudizi, dalle faide e dagli agguati; sanare le divisioni che, infettandosi, diventano piaghe sociali.
Per un futuro carico di speranza
La Popolazione aquilana – profondamente radicata nella sua millenaria tradizione cristiana, salda nella sua robusta tempra etica e coraggiosa nella sua collaudata coscienza civica – ha affrontato con indomita fierezza la tragedia del sisma e si è rialzata subito in piedi, per affrontare, a testa alta e al cospetto del mondo, la immane sfida della ricostruzione. Sono convinto che se saprà mobilitare le sue migliori risorse, facendole operare in una concorde sinergia, la nostra gente riuscirà a riaprire le strade maestre che conducono ad un futuro sereno, solidale e promettente: per tutti e per ciascuno.
La Pasqua del Signore ci dona la certezza che Dio ha l’ultima parola: dobbiamo saperGli dire il nostro “sì”, perché vinca la Vita!
Per questo, dietro le nubi oscure, calate sulla Città, si intravedono già i bagliori di una nuova alba: annunciano che il sole della speranza tornerà a brillare sul cielo di L’Aquila.
+ Giuseppe Petrocchi
Arcivescovo dell’Aquila
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