Nell’Ucraina dell’est la tensione cresce e regna sovrano il caos, dopo che, da giorni, filorussi e milizie irregolari spingono per separarsi e tornare alla Russia seguendo l’esempio della Crimea. Ieri mattina blindati della’esercito regolare ucraino hanno fatto la loro minacciosa comparsa nelle strade di Kramatorsk, nella regione orientale di cui è capoluogo Donetsk, città sconvolta da diversi giorni dall’insurrezione dei separatisti filorussi in cui si è proclamata una repubblica indipendente sul modello di Sinferopoli.
Alcuni abitanti – dicono i testimoni oculari – hanno tentato di ostacolare il passaggio dei mezzi, che scortano, si dice, circa 300 i militari ucraini in pieno assetto di guerra. Per ora non sono segnalati scontri e a Kramatorsk i filorussi mantengono il controllo del municipio, del commissariato e della sede locale dei servizi segreti.
Intanto anche i russi si starebbero muovendo e secondo alcune fonti cinque blindati con bandiere di Mosca sono arrivati da Stari Gorad a Kramatorsk, diretti a Sloviansk, sempre nella regione ucraina orientale di Donetsk. Tuttavia, secondo altre fonti, i tank con le bandiere russe non sarebbero di Mosca ma si tratterrebbe dei mezzi “sottratti” ai soldati di Kiev dai cittadini filo-russi.
Le notizie si sovrappongono contraddittorie, facendoci capire in quale stato di totale confusione si stia nella regione, dove, da ieri, all’indomani dell’annuncio del presidente ad interim Oleksandr Turcinov, è l’operazione “anti terroristica” contro i filorussi che hanno occupato numerosi edifici pubblici in una decina di città diverse, con una operazione che doveva svolgersi in maniera moderata e invece conta già i prima quattro morti in un blitz aereo con cui le forze militari di Kiev si sono rimpossessate dell’aeroporto di Kramatorsk. Una nuova telefonata incandescente si è svolta fra Putin e la Merkel ed il mondo tiene il fiato sospeso perché sa che quella ucraina può essere una scintilla fatale per tutti.
Un mese fa, su il Sole 24 Ore, Piero Fornara ci ricordava che Crimea ed Ucraina, da sempre, sono un irrinunciabile “pezzo di storia” e che la base navale di Sebastopoli ospita la flotta russa del Mar Nero dai tempi della zarina Caterina II, verso la fine del XVIII secolo e che mentre nel 1954, il leader sovietico Nikita Kruscev (originario di una zona al confine tra Russia e Ucraina) “regalò” la Crimea all’Ucraina, peraltro nell’ambito dell’Urss; con il crollo dell’Unione Sovietica, Kiev mantenne la Crimea, ma nel 1997 fu stipulato un accordo ventennale che consentiva la presenza della flotta russa e in virtù del trattato, Mosca ha il diritto di dispiegare a Sebastopoli e in Crimea un centinaio di navi e 25 mila militari. La base è stata utilizzata per la guerra del 2008 contro la Georgia e nel 2010 i parlamenti russo e ucraino hanno ratificato un nuovo accordo che estende di altri 25 anni la permanenza della flotta in cambio di uno sconto del 30% sulle forniture del gas russo, per un valore complessivo di 40 miliardi di dollari; condizioni radicalmente mutate oggi, dopo la caduta del presidente filorusso Viktor Ianukovich.
Nella questione l?Italia si tiene su un basso profilo e cerca (al solito) di fare “il pesce in barile”, anche perché, dai ricordi di scuola, fra i libri che gli insegnanti consigliano (o forse consigliavano, fino a qualche tempo fa) in lettura ai loro studenti figurano “Centomila gavette di ghiaccio” di Giulio Bedeschi e “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern, sulla ritirata dei soldati italiani dalla Russia – e dall’Ucraina – durante la Seconda guerra mondiale, quando la Germania nazista nel giugno 1941 decise l’attacco contro l’Urss ed anche Mussolini volle mandare un corpo di spedizione italiano (contro i desideri di Hitler e senza chiedere il parere dei suoi generali), con la conseguenza di formare una Armata italiana in Russia (Armir), composta di ben 220 mila uomini, peraltro male equipaggiati e armati, che per metà persero la vita o furono fatti prigionieri. Sul Corriere della Sera, ieri, una lunga serie di interventi ci dice che quella che si sta svolgendo ora a causa della Ucraina è una “Guerra Fredda bis”.
Però questa nuova “guerra fredda” tra Obama e Putin è molto diversa da quella del ’900, perché allora la Germania era divisa in due e quasi ogni nazione europea occidentale aveva un partito comunista alleato con Mosca che creava tensioni a casa e voleva prendere il potere, creando dittature. Tutto questo oggi non esiste più, né ci sono manifestazioni nelle capitali degli stati Eu pro o contro Putin. Ci sono manifestazioni contro l’Unione europea, partiti che contestano la politica di Bruxelles e partiti che vorrebbero uscire dall’euro, se non dall’Eu.
Basta pensare all’UK, non certo accusabile di fascismo, antisemitismo, etc. Kiev e la cosiddetta rivolta di Kiev non rappresenta affatto il clima antieuropeo o euroscettico dei paesi membri dell’Eu.
Nè l’Eu sembra poi molto interessata al contenzioso tra Putin e l’attuale governo ucraino. E’ piuttosto Obama a darsi da fare, forse per fare dimenticare la sconfitta di tutta la sua politica mediorientale e l’Afghanistan. Non ci sono più neppure i fantasmi del comunismo o dell’anticomunismo, anzi la situazione sembra del tutto capovolta, perché la Russia difende la sovranità nazionale, mentre gli Stati Uniti difendono i loro interessi in Europa e quindi bollano come nazionalista, populista, antisemita chiunque come Farage in UK sia antiEu. E’ piuttosto un problema degli Stati Uniti, che hanno alimentato arab spring e rivolte dovunque in questi ultimi anni, con risultati pessimi, facendo diventare Putin, il leader di cui il mondo ha bisogno, come lo ha definito il Times, un giornale certamente non clasificabile come populista, fascista e antisemita.
Nelle 44 righe ispirate a Primo Levi, con incipit più che provocatorio: “P2 macht frei“, cioè “la P2 rende liberi“, chi ha confermato su di lui la certezza di populismo becero e reazionario è stato Beppe Grillo, che vuole apparire come novello simbolo della Resistenza al nazismo indossando i panni dello scrittore torinese che, dopo essere stato deportato ad Auschwitz nel ’44, scrisse i più importanti libri sulla memoria dell’Olocausto, con un post a pochi giorni dal 25 aprile, in cui si appropria del celeberrimo incipit di “Se questo è un uomo” per stravolgerne il significato e usarlo per un nuovo l’attacco (l’ennesimo) a Renzi (“un volgare mentitore assurto a leader da povero buffone di provincia”), criticare Napolitano (“un vecchio impaurito delle sue stesse azioni che ignora la Costituzione”) e soprattutto continuare la predica ai cittadini-elettori “disinteressati della cosa pubblica”, agli “ignavi” affinché “meditino sul fatto che “per i vostri figli non ci sarà speranza”. E la guerra, tutta’altro che fredda, è subito divampata, con reazioni indignate nel mondo della politica e nella comunità ebraica, resa più incandescente dalla replica, in serata, dell’ex comico, che nel corso del suo show al Palottomatica di Roma, ha risposto alle accuse che gli sono piovute addosso affermando: “Primo Levi scrive un libro straordinario, prendo una sua poesia per onorare uno scrittore come lui, uno che dice di non abbassare mai la testa e cosa succede? Si prendono questa roba per depistare l’attenzione dal contenuto“.
“Se questo è un Paese” è il titolo dell’intervento di Grillo, accompagnato anche da una foto ritoccata che ritrae l’ingresso del campo di stermino di Auschwitz. L’idea di attaccare i soliti politici, specialmente Renzi e Napolitano, a quei cittadini – sicuramente non gli iscritti e i militanti del Movimento 5 stelle – disinteressati alla politica.
L’esito mostrare quanto pericoloso sia il grillismo e la sua ideologia, fatti di urla, fango e bestemmie, un fascismo di stampa nazista che si riscopre di una veste mediatica. E non si scusa Grillo, anzi, rincara la dose e dice che “anche la comunità ebraica deve cambiare comunicatore”, perché quello di adesso è “stupido e ignorante” ed aggiunge che la Shoah è dietro l’angolo, e ne succede forse una al mese o una all’anno: dal Ruanda alla Siria, a un sistema bancario e finanziario che fa migliaia di morti all’anno.
Approssimazione e confusione, insulto ed aggressione. E’ questo l’ingrediente che lo muove e che infiamma i suoi. Anche prima di questo fatto si era capito in varie occasioni), che lui è un pericoloso tiranno, abituato ai monologhi ed insofferente ai confronti.
Anche il metodo con cui ha messo in atto le espulsioni di tre consiglieri dissidenti, ha messo in chiaro la sua concezione personale della politica: in pratica, il M5S è suo perché il logo è suo e fatto capire che ho si accetta ciò che lui dice e stabilisce o, altrimenti, fuori dalle palle con un post o una raccomandata. Ed è evidente, in questo modo, che il suo è un movimento pericoloso, fatto di yes-man, cioè gente che dice sì al capo e si guarda bene dal contestarlo, altrimenti rischia lo stesso metodo di espulsione.
Un movimento che ignora sia la politica che la vera democrazia.
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