Non sono state rinvenute tracce di amanitina (la tossina presente nel velenosissimo fungo Amanita Phalloides) nelle urine della donna di 44 anni morta a Chieti il 25 marzo scorso, tre giorni dopo il ricovero del marito in gravissime condizioni. Il Centro Antiveleni di Pavia ha comunicato questa mattina al Servizio di Medicina Legale della Asl Lanciano Vasto Chieti, diretto da Pietro Falco, l’esito degli esami eseguiti per verificare se la donna avesse consumato funghi velenosi prima del malore che le era stato letale.
I test di laboratorio, dunque, hanno confermato quanto era emerso già in sede di esame autoptico, quando il medico legale e l’anatomopatologo Giuseppe Lattanzio non avevano riscontrato a carico del fegato esiti di intossicazione fungina. Esclusa l’ipotesi dell’avvelenamento, resta in piedi quella della morte improvvisa e inattesa, avvenuta certamente in un contesto di forte stress emotivo per le gravissime condizioni di salute del marito, ricoverato in coma presso la Rianimazione di Chieti.
E’ stata scartata, dunque, l’ipotesi della tossinfezione alimentare come causa del decesso, elemento, questo, suffragato anche da altri test eseguiti dall’Istituto Zooprofilattico di Teramo su varie specie di funghi prelevati dai veterinari del Dipartimento Prevenzione nella zona dove la stessa famiglia era solita raccoglierne. Tutti i campioni erano risultati commestibili.
Per avere elementi più completi sull’intera vicenda, bisognerà attendere l’evoluzione del quadro clinico del marito, ancora ricoverato al Policlinico Umberto I di Roma il quale, una volta ripresa coscienza, potrebbe aggiungere particolari importanti ai fini della ricostruzione dei fatti avvenuti nelle ore precedenti la tragedia.
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