Bari è una delle “capitali italiane” del gioco d’azzardo, con una media di slot machine per negozio che fa paura: 4,5 per ogni esercizio commerciale, in luoghi come bar, ristoranti, edicole, alberghi e tabaccherie. Nell’intera città le slot sono 6.154, posizionate in 1.375 esercizi: per averle non occorre l’autorizzazione della questura. A tutto ciò si aggiungono tre sale bingo, 1.154 apparecchi di videolottery (Vlt) distribuite in 142 casinò e 406 centri scommesse, oltre alle sale scommesse illegali, gestite dalle mafie, che non si contano e che attraggono maggiormente la clientela in quanto offrono vincite più alte. Queste ultime sfuggono alla rete controllata dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Aams) gestita dalla Sogei, la società generale d’informatica controllata al 100 per cento dal ministero dell’Economia e delle Finanze, che gestisce il sistema informativo del gioco pubblico in Italia.
Le organizzazioni criminali che lucrano sul gioco d’azzardo, mettono tranquillamente in conto, alla voce “perdite”, le multe comminate dall’Agenzie delle dogane: 2 milioni di sanzioni registrate nel 2013 per irregolarità sono ben poca cosa rispetto ai lauti guadagni che la malavita ottiene sfruttando la dipendenza dal gioco di tanti. Per i controllori (Guardia di finanza, Carabinieri, Agenzia delle dogane e dei monopoli e Polizia postale) districarsi in una siffatta giungla non è semplice: le sale scommesse illegali possono nascere con autorizzazioni diverse, come quelle per centri di trasmissioni dati, cartolibrerie, foto copisterie. Del resto, nella sola Bari, ci sono pur sempre 1.583 operatori del mondo del gioco d’azzardo da tenere d’occhio, fra concessionari, esercenti, costruttori di “macchinette”, gestori e proprietari di apparecchi. Un business vero ed estremo che sta rovinando una città.
A dipingere le tinte fosche del quadro, una vera e propria emergenza sociale ai tempi di una crisi economica che non passa, è l’Osservatorio della Fondazione antiusura “San Nicola e Santi Medici”, presieduta da don Alberto D’Urso, che ha dedicato la sua vita al riscatto di chi si lascia depredare dal gioco d’azzardo e dall’usura. «Slot machine e gioco d’azzardo hanno ridotto sul lastrico numerosi nuclei familiari. Il lavoro non c’è e si prova l’azzardo. Purtroppo lo Stato, pessimo maestro e primo indebitato, non dà buon esempio. La gente si sta vendendo tutto, nelle sale bingo ormai si vedono anche bambini di 6 anni con le loro famiglie, negli autogrill gli adolescenti in gita scolastica buttano al vento le loro paghette col gratta-e-vinci», afferma il sacerdote che denuncia questa vera e propria subcultura del rischio.
Basti pensare che la spesa pro capite per il gioco, in Puglia, è in media di circa mille euro all’anno; Taranto, con la crisi dell’Ilva in casa, sperpera nel gioco d’azzardo ben 1.066 euro per persona, Brindisi arriva a 1.089 euro e Bari a 1.022 euro. Rovinati dal gioco e dall’usura (c’è chi chiede in prestito soldi poiché “dannato” dal vizio del gioco), secondo l’identikit fatto dalla Fondazione di don D’Urso, sono soprattutto uomini tra i 40 e i 55 anni, impiegati e operai, capifamiglia che dovrebbero portare il pane a casa invece di infilarlo nelle slot. Il legame fra usurai e gioco d’azzardo è strettissimo. «I casi di dipendenze croniche, di persone che ormai sono per la strada, di intere famiglie tenute sotto scacco dagli strozzini fanno parte della vita quotidiana di Bari», continua don D’Urso.
Tra lotterie, gratta e vinci, scommesse online la provincia di Bari brucia in media 1.600 milioni di euro ogni anno. I numeri del consumo dell’azzardo in Puglia restano allarmanti: quasi 4 miliardi di euro consumati dai pugliesi nel 2012, senza contare quelli dissipati nel cosiddetto gioco online, non facilmente quantificabili e quelli dilapidati nel gioco illegale.
Paolo Giovannelli-RS
Lascia un commento