Nel luglio 20013, un tempo che sembra già distante anni luce, ma che,, con i suoi moltiplicati problemi, come nel romanzo di Cannobio, tiene in incubazione il complesso presente, in una intervista su Repubblica, Massimo Cacciari ricordava che “sinistra” è parola maldestra (voluto l’allusivo bisticcio), dal destino inscritto nella sua stessa etimologia: sinisteritas, che significa inettitudine, goffaggine.
In quello stesso articolo si ricordava che già nel 1981 il filosofo veneziano aveva aperto queste “difficili” considerazioni uno “scandaloso” convegno romano su “Il concetto di sinistra”, con una ironia filologica che sembrò del tutto fuori luogo nell’era Reagan-Thatcher, con tutto il suo cinico vigore e di sinistra sembrava esserci un gran bisogno ed una assoluta necessità.
Ed invece, al solito, sono i poeti ed i filosofi a vedere le cose meglio e prima degli altri, tanto che, dopo più di trenta anni, la parola “sinistra” non ci serve più, è disossata, desemantizzata e continuare ad usarla è dannoso, perché offusca la visione della realtà.
D’altra parte, a ben vedere ed in tempi ormai remoti, “sinistra” indicava socialdemocrazia, welfare postkeynesiano, ridistribuzione del reddito. Gli altri progressisti erano i comunisti ed era difficile che un comunista si definisse “di sinistra”.
La parola sinistra, allora, aveva un forte contenuto politico, era una distinzione riconoscibile anche sul piano valoriale, ma tutto questo perché esisteva la destra, c’erano i non-democratici, c’erano i fascisti.
Però, già allora, chi voleva capire, sapeva che quella distinzione non era universale, era legata a una stagione della storia e stava ormai evaporando con essa.
Ora l’evaporazione è completa, come completamente dissolta, da Reagan e Tacher in poi, è la vera destra, con una politica interessata solo a se stessa, in modo totale e trasversale, un modo fermo nel proprio garantismo ed incapace di definire un vero cambiamento, perché le soluzioni non si collocano più a un preciso punto della scala che va da destra a sinistra, non le trovi nell’apposita casella, ma le devi cercare nelle trasgressioni della topografia politica, nell’uscita “catastrofica” dal piano bidimensionale dove urgente è fare, rivolgersi ai problemi, chiedersi cosa è Europa, cosa è nazione, come si affronta la globalizzazione e farlo in forme multidimensionali.
Per questo a Cacciari Renzi piace e non solo perché ha promesso di rivolvere i veri problemi e fatto, in materia di riforme, più di tutti ed in minor tempo; ma anche perché, a differenza di Bobbio e dei suoi discepoli, non si limita a dire che occorre eguaglianza e a misurare la diseguaglianza, ma perché pare avere buoni progetti e sembra l’unico credibile in questo senso.
Ora però va detto, in termini di rigoroso e completo ragionamento, che sempre Cacciari ha detto anche: “Essere è fare, politica è actuositas ed i veri i rivoluzionari hanno sempre pensato questo: io sono quel che faccio. Il viceversa, faccio perché sono, faccio quello che sono, è la radice dei totalitarismi”.
Sicché, al momento, a me pare che sebbene fatto molto, Renzi ha soprattutto promesso e creduto nella forza delle promesse e, da questo punto di vista, può ricordare sia la furbizia mediatica di Berlusconi e dei patti firmati in tv, sia i populismo gridato a squarciagola da Grillo a dai suoi.
Norberto Bobbio diceva che il significato di destra e sinistra cambia continuamente e non c’è dubbio che oggi entrambi i termini significano qualcosa di diverso rispetto al passato.
Ed un intellettuale di destra, Anthony Giddensm, ha più di recente aggiunto che mancando una vera destra manca di conseguenza una vera sinistra, sicché, anche se la destra tradizionale di oggi in Europa e in generale in Occidente crede nel libero mercato, in uno stato poco invasivo e contenuto, in un conservatorismo sociale nella sfera privata e la sinistra, invece, su un governo attivo più che nello statalismo, in una maggiore regolamentazione del mercato e nel liberalismo sociale, poi le scelte appiano sempre identiche e, spesso, solo manifestate e poi disattese, non si attuano affatto politiche diverse. Anzi, non si fanno per nulla politiche, ma solo ritorsioni o minacce monetarie.
Allora si potrebbe dare ragione a Grllo e dire che è la politica la vera rovina da sotterrare, con messa al bando dei politici, incapaci e rapaci, interessati solo a loro stessi ed ai propri lucrosi interessi.
Invece, io credo, oggi c’è ancora più bisogno di politica, perché i problemi globali, dalla drammatica crisi economico-finanziaria all’effetto serra, dimostrano che solo un intervento collettivo, programmatico, di sana governance internazionale, può mettere il nostro pianeta sulla strada giusta.
Una migliore definizione del confronto politico odierno verterebbe allora su un termine diventato assai popolare, seppure utilizzato spesso a sproposito: reformer, che, in Europa, è colui che comprende la profondità della crisi che stiamo attraversando e si rende conto delle risposte radicali che sono necessarie per superarla.
Finora sono state indicate e discusse due vie d’uscita dalla difficile situazione che attanagaglia tutti, ma che in Italia ha portato, a differenza di tutti gli altri Paesi, a più disoccupati di quanti ve n’erano nel 2003, cioè undici anni fa.
Le due soluzioni sono: o incoraggiare la crescita economica con investimenti pubblici, oppure puntare sul rigore, sui tagli alla spesa pubblica, sugli aumenti delle tasse, in una parola sull’austerità.
Certo, i tagli sono in qualche misura necessari,ma sono come le medicine : se non le prendi, ti ammali, ma se ne prendi troppe fai un’overdose e rischi di stare ancora peggio.
Per cui l’unica possibilità risiede in una ripresa in grado di preservare un welfare state che richiede sicuramente tagli e accorgimenti per fare i conti con un nuovo scenario demografico e sociale; ma che al tempo stesso non indirizzi i principali benefici della crescita sullo 0,1 per cento della popolazione, sulle fasce più alte di reddito.
Una ripresa sostenibile significa un modello economico che eviti di distruggere l’ambiente e la classe media, perché non credo che l’Occidente uscirà dalla crisi e diventerà più competitivo semplicemente vendendo sempre più automobili alla Cina, fino a quando i cinesi ne avranno tante quanto noi, o di più.
Secondo il leader emergente di Syriza, Alexis Tsipras, Renzi non è un vero riformista, ma solo “un prete di sinistra”, perché ” non basta essere giovane per fare qualcosa di positivo. Bisogna dire in quale Europa andiamo, con quali equilibri”
Ed aggiunge, parlando di lui: “ Il mio coetaneo risponde con la stessa Europa di quella già applicata. L’Europa che in Grecia ci fa ammattire”.
Certamente Tisipras è più credibile di Grillo perché non dice solo “no” e sa fare proposte alternative, ma non si può negare che esagera circa Renzi, perché anche lui di proposte ne ha fatte e nella direzione giusta: quella di una Europa unita politicamente e non più solo da un “serpente monetario”, lacerata, germanocentrica e con mille difficoltà; un’Europa con tutto il potenziale per uscire da questo periodo non solo rinsaldata e rinvigorita, ma perfino più forte degli Stati Uniti.
Quello che invece ci preoccupa è riflerttere che tra il dire e il fare… e che potrebbe trattarsi, ancora una volta, solo di una illusione: l’ennesima da cui essere avviluppati.
Il titolo emblematico dell’ultimo romanzo di Andrea Canobbio: “Tre anni luce”, distingue distanze, ma anche la necessità e la veridicità di universi che talvolta possiamo riuscire ad esplorare e costruire, rivedendo un passato di errori sommati gli uni agli altri e nonostante le molte pecche nelle nostre vite.
Ed allora spero che Renzi sia come il poeta di Pessoa, un fingitore che alla fine crede così profondamente nel suo sogno-finzione, da tramutarlo in realtà.
Mi voglio immaginare, oggi alla vigilia della nostra festa più grande come Nazione, un Renzi come un personagio del teatro di Spregelburd, talmente inverosimile da risultare perfettamente credibile.
Carlo Di Stanislao
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