Condannata a morte perché ha ucciso il suo violentatore per legittima difesa. E’ la drammatica storia dell’iraniana 26enne Rayhaneh Jabbari, in carcere da sette anni la cui impiccagione è in attesa di esecuzione. Non certo l’unica condanna a morte in Iran, dove l’impiccagione è una forma di giustizia adottata dallo Stato e dove le esecuzioni dall’inizio del 2014 sono già oltre 200. Un’esecuzione contro la quale si sta mobilitando mezzo mondo. Sono già state raccolte circa 160 mila firme da ogni angolo del pianeta grazie alla petizione on line.
Una mobilitazione che ha già portato i suoi frutti, visto che la ragazza doveva essere uccisa lo scorso 14 aprile e invece tutto è stato rimandato. Tra le tante firme in difesa di Rayhaneh c’è anche quella del regista iraniano dissidente Ashgar Fahradi, vincitore dell’Oscar nel 2012 con il film ‘Una separazione’. Pronta all’impegno in prima persona anche la regista Tahmineh Milani, che nel 2001 rischiò la condanna a morte all’indomani di un suo film che fu accusato di usare l’arte in senso controrivoluzionario per appoggiare la lotta delle opposizioni iraniane.
L’episodio per cui è stata condannata risale a sei anni fa, quando la ragazza aveva 19 anni. Faceva la interior designer e un potenziale cliente, nonché membro dei servizi segreti iraniani, Moretza Abdolali Sarbandi, la contattò per chiederle suggerimenti su come rinnovare il suo ufficio. Moretza però non portò la ragazza nel suo ufficio, bensì in una casa fatiscente dove tentò di violentarla grazie anche ad una bevanda con sedativi che somministrò alla giovane donna. Tentando di difendersi, Rayhaneh pugnalò il suo aggressore e fuggì. Nonostante la ricostruzione della dinamica, la ragazza venne arrestata.
Per tentare di salvare Rayhaneh, nei giorni scorsi hanno inscenato una grande protesta anche le Femen, il gruppo di donne attiviste nate in Ucraina, che hanno finto un’impiccagione pubblica supportata da scritte e cartelli contro le leggi islamiche. (js – RS)
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