Omaggiare Federico Fellini e ospitare il lavoro di un artista visionario e poetico insieme come Roberto Di Costanzo è la felice sintesi di questo appuntamento espositivo de Il Margutta RistorArte, in via Margutta 118. E’ stata inaugurata la mostra Sotto casa di Federico curata da Francesca Barbi Marinetti con una trentina di opere ad inchiostro di china che per l’occasione Roberto Di Costanzo ha dedicato all’immaginario felliniano.
La mostra, ad ingresso libero, sarà visitabile sino al 16 giugno 2014, e gode del patrocinio del maestro Pierre Cardin, del Centro Sperimentale di Cinematografia, e di Editions Nomades. Madrina d’eccezione dell’evento inaugurale è stata Rossella Brescia, anche ritratta dall’artista nelle vesti di Gradisca. Tra gli altri ospiti che sono intervenuti, il truccatore Francesco Freda, il coreografo Luciano Cannito e le attrici Samya Abbary e Maria Rosaria Omaggio.
“Claudio Vannini mi ha raccontato di lui, della loro amicizia risalente agli anni Ottanta – spiega Tina Vannini, organizzatrice della mostra – Federico abitava sopra Il Margutta RistorArte e tutte le mattine passava davanti al locale che allora era piccolissimo. Una sola entrata, e sulla porta “Circolo di cultura vegetariana”. Passava e sbirciava curioso come solo lui sapeva essere. Una mattina, quando Claudio era sulla porta, Federico gli chiede: “Posso sapere cosa succede qui?”. Poi entrò: da quel momento fu il luogo degli incontri più pazzi e divertenti, attraverso i quali sono nati film, progetti e soprattutto risate”.
Una occasione importante, addirittura doppia, che consente di ricordare i 20 anni dalla morte del regista, e i 50 anni dalla vittoria dell’Oscar per 8 e ½. L’appuntamento con Federico era da tempo nelle intenzioni di Tina Vannini essendo il marito Claudio Vannini legato al regista da ricordi personali. Fellini infatti, che abitava alla porta accanto dove si legge la targa che lo commemora, è stato negli anni Ottanta un assiduo frequentatore del vegetariano di via Margutta e molti sono gli aneddoti che ancora circolano ricordandone l’eccezionale presenza.
“Credo che questa mostra di Roberto Di Costanzo – spiega la curatrice Francesca Barbi Martinetti – sia riuscita ad emozionare il pubblico perché ha saputo recuperare quelle visioni felliniane che sono borderline tra sogno e infanzia. Nei disegni a china di Roberto c’è la cucitura magica che Fellini operava tra libertà di immaginazione e la cognizione delle cose. “Il visionario – diceva Federico Fellini – è l’unico grande realista”. Con un omaggio ai luoghi e ai celebri personaggi del cinema felliniano, Di Costanzo ci racconta questo. Con garbo, eleganza e poesia coglie il senso leggero e acuto di uno stile che volteggia tra immaginazione e realtà e si sofferma a raccontare il mondo come dovrebbe essere piuttosto che come è”
Federico si firmava Federico. Così piaceva essere identificato il grande Fellini. Già dall’esperienza del Marc’Aurelio scriveva i propri pezzi firmandoli con il proprio nome di battesimo. Secondo la testimonianza di Gianfranco Angelucci persino dal letto di ospedale quando alla fine dei suoi anni fu ricoverato per la grave ischemia che poi gli sarà fatale, scherzava raccontando che quando le infermiere lo chiamavano Signor Fellini, gli veniva spontaneo girarsi come se si rivolgessero a suo padre. Da qui il titolo della mostra, ad indicare una familiarità con il luogo e nel rispetto di uno spirito geniale che attingeva a piene mani dal rapporto diretto con il mondo e le persone.
“Raccontare Fellini attraverso il disegno per un illustratore di libri è quanto di più evocativo si possa immaginare – dichiara l’artista Roberto Di Costanzo – Specialmente se a questo si aggiunge una formazione nel cinema con il maestro Piero Tosi ed un immaginario prolisso e sempre dinamico. L’ emozione più grande è nell’attimo un cui il foglio traduce un’ intuizione in segno”.
Federico amava Roma, città dalle mille stratificazioni che rispondeva alla sua sete continua di novità. Ma soprattutto amava Cinecittà, il luogo perennemente cangiante che assumeva di volta in volta le forme, i colori, lo stile del suo prolifico immaginario.
A Roma Roberto Di Costanzo ha già dedicato un tributo visionario raccontando questa città complicata con occhi di bambino. La sua storia illustrata prendeva il via con il volo di palloncini rossi dal ponte di Castel Sant’Angelo. Palloncini che rispuntano In Amarcord, dove ritrae Federico bambino seduto accanto ai genitori a via Margutta sprofondato nei propri infiniti rigagnoli visionari. Sono sogni leggeri di fanciullo che volano alti come i palloncini che animano il gioco di una bimba senza peso. Mentre con La Dolce vita lo sguardo abbraccia i tetti di Roma dominati dal saluto ironico e surreale della capriola di Marcello insieme alla benedizione dall’alto dei cieli di Federico. Ne La Grande Bellezza, omaggio dichiarato al recente film di Sorrentino, Anita è un’imponente e meravigliosa gigantessa che incarna l’esplosiva abbondanza di una femminilità diventata icona. È una Polena voluttuosa che si staglia in un crescendo da dimensione onirica a struttura sovradimensionata e imprescindibile.
Il Casanova, invece, è ritratto con il massimo estetismo che può assumere un pallone gonfiato. “Sono un gran bugiardo”, diceva di sé Federico Fellini. La fantasmagoria felliniana contempla anche la bugia, ne è nutrimento indispensabile. Sono bugie che alimentano il sogno, che recidono i legami liberando l’arte. Ma ecco l’altra faccia della medaglia: il Casanova. Fellini non ha simpatia per il grande seduttore veneziano che definisce “un supervitellone antipatico… un sinistro Pinocchio che si rifiuta di diventare una persona per bene”. Il confronto con questo antieroe aveva messo alla prova il regista anche da un punto di vista stilistico, che ne ha fatto un “totem” e un “quadro incompleto” al tempo stesso. “L’idea sarebbe fare un film con una sola immagine, eternamente fissa e continuamente ricca di movimento. In Casanova avrei voluto veramente arrivarci molto vicino: un intero film fatto di quadri fissi”.
Lascia un commento