“Speriamo che la situazione non si scateni come tre anni fa quando in Libia c’era una violenza aperta e una vera e propria caccia contro gli africani in tutto il territorio. Per questo è certamente auspicabile che si attivino dei canali umanitari”. Le notizie di un tentativo di golpe a Tripoli, avvenuto nel fine settimana con l’attacco da parte di alcuni blindati contro la sede del Parlamento libico, preoccupano la comunità internazionale, ma per Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, sono solo un tassello di una confusione ormai radicata nel territorio libico. A farne le spese, oltre alle popolazioni locali, ci sono anche i rifugiati siriani scappati dalla guerra o africani rinchiusi nei centri libici stracolmi a cui non è riconosciuto alcuno status.
“Quel che è successo in questi ultimi tre giorni in Libia è in continuità con una situazione fuori controllo da parte del governo centrale – racconta Hein -. C’è una lotta tra varie milizie armate che sono nate durante la rivoluzione del 2011. Una parte di queste si dichiara fedele al governo, mentre altri no. Il problema è che controllano parte del territorio, incluse le coste, e in molti dicono che sono le stesse milizie ad avere contatti con i trafficanti di persone e che, come abbiamo visto una settimana fa, mettono rifugiati e migranti su barconi ancora meno adatti alla navigazione come di consueto. Il barcone dell’ultima tragedia si è spezzato in due. Era assolutamente incapace di attraversare perfino le acque libiche”.
Secondo Hein è difficile fare una stima esatta di quanti siano i migranti presenti in Libia in attesa di partire verso l’Europa. “Dobbiamo considerare una presenza, da nessuna parte censita, ma sicuramente abbastanza numerosa di siriani arrivati in Libia attraverso l’Egitto o direttamente per via aerea, perché non hanno bisogno di un visto d’ingresso. Certamente non hanno intenzione di rimanere in Libia, visto che non possono avere alcuno status legale e alcuna protezione perché per il governo libico non riconosce rifugiati”. Per Hein, però, a rischiare maggiormente sono i migranti dell’Africa subsahariana. “I siriani certamente vengono trattati un po’ meglio dei rifugiati del Corno d’Africa – spiega Hein -. Essendo arabi c’è un legame diverso, ma non per questo c’è una situazione tranquilla. Invece, sappiamo che i centri di detenzione, dove ci sono in gran parte rifugiati del Corno d’Africa, sono strapieni e c’è una situazione disumana e indescrivibile, anche in quelli dove ci sono solo donne e bambini. È chiaro che appena possono andare via da questi centri, magari pagando, cercano di fuggire dalla Libia verso l’Italia”.
Per Hein, però, il tentativo di golpe non ha avuto un “grandissimo impatto” sulla confusione già regnante nel paese e aprire ora dei canali umanitari per portare altrove i rifugiati non sarebbe impossibile, anzi. “Le ambasciate sono aperte e funzionanti – spiega Hein -. Niente vieta di rivolgersi ad una ambasciata italiana o di un altro stato membro per chiedere un visto di ingresso per motivi di protezione. Non penso che questa situazione sia cambiata. Penso che anche dalla parte libica non dovrebbero esserci opposizioni, perché non sanno più neanche dove mettere le persone”. Intanto, conclude Hein, qualcosa almeno in Italia si sta muovendo. “Vedo con piacere che tra le mozioni di vari gruppi della Camera dei deputati, votate e accettate, per la prima volta si parla della possibilità di una prima valutazione delle domande di protezione in paesi terzi. Non c’è un esplicito riferimento alla Libia, ma è chiaro che è compresa”. L’Europa, intanto, fa fatica a trovare interlocutori stabili in territorio libico. “Ci sono stati dei tentativi, ma se nell’arco di 18 mesi abbiamo 5 ministri dell’Interno diversi è un po’ difficile stabilire contatti proficui. L’Unione europea e la sua delegazione a Tripoli non hanno neanche una interlocuzione stabile che possa portare a qualcosa. Bisognerebbe chiedersi, però, come è possibile che l’Unione europea finanzi ancora programmi in Libia nel campo delle migrazioni contrariamente a quanto detto dal Parlamento europeo in una risoluzione del dicembre 2012”. (ga RS)
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