Dopo aver preso un Maalox (o fose più di uno) ed averne offerto a Casalegno, Grillo vola a Bruxelles per incontrare il leader del partito più euroscettico del Regno Unito Nigel Farage, trionfatore delle europee a Londra ed andare a pranzo con lui ed anche Claudio Messora, l’uomo della comunicazione del M5S che sta curando da tempo i rapporti con altre forze politiche per formare un gruppo al Parlamento di Strasburgo.
Certo Grillo ha perso, ma il suo resta comunque il primo partito euroscettico d’Europa, con voti superiori nettamente a quelli che la Le Pen, che pare invece saia a pranzo con Salvini segretario federeale della Lega, ha preso in Francia.
Prove tecinico-culinarie di fusione fra gruppi che intendono non farsi da parte, mentre Renzi, sempre a Bruxelles, è al vertice europeo, dopo aver incontrato Napolitano e parlato al telefono con Obama e si presenta come l’uomo nuovo del Vecchio Continente ed insieme il salvatore del socialismo continentale. Chiede con forza ai suoi partner di cambiare l’Europa e salta la cena con i colleghi primi ministr per andare in visita al museo ebraico a rendere omaggio alle vittime di una comunità sempre minacciata, volendo sottolineare, come aveva già fatto con un messaggio da Napolitano, l’impegno e la vicinanza sua e della Nazione al mondo delle Comunità ebraiche ancora una volta duramente colpito.
Prima però, al vertice dei capi di governo, lui, vero ed unico trionfatore, sorridente e con faccia da pokerista, aveva messo una zeppa negli ingranaggi ripetendo serafico quel che aveva già detto a Roma, e cioè che: “i nomi vengono dopo rispetto all’accordo sulle cose da fare. Prima vengono le cose da fare, gli argomenti su cui trovare un equilibro, poi i nomi”; facendo capire a tutti, Merkel in testa, che l’Italia non darà via libera né a Jean Claude Junker né ad altri candidati senza contropartite precise e che intende usare il suo rafforzato peso contrattuale sulle nomine per condizionare le scelte politiche ed economiche dell’Unione.
Scrivono i giornali che sul fronte nomine si gioca una partita tutta italiana: in ballo, oltre alla nuova Commissione, ci sono la presidenza del Parlamento, il rappresentante della politica estera e il presidente dell’Eurogruppo e Renzi gioca da una posizione di forza anche se l’Italia, avemndo già Draghi al vertice della Bce, non può pretendere tantissimo.
Comunque, dicono sempre i giornali, di aspiranti alla Presidenza della Commissione, ve ne sono a iosa (come meraviglirsene): Massimo D’Alema, Enrico Letta (molto accreditato negli ultimi giorni), Gianni Pittella che sta smuovendo mari e monti, Pier Carlo Padoan che secondo alcune voci Renzi vorrebbe alla testa dell’Eurogruppo.
La partita è appena cominciata, e Renzi ha intenzione di giocarla a tutto campo e puntando in alto, per far capire, fin da subito, che adesso il suo peso è tale da dover essere molto considetato ed ascoltato.
E sa bene, da uomo intelligente, che non deve fallire adesso sulle riforme che, anzi, vanno addirittura accellerate, sicché su quella del Senato domani arriveranno gli emendamenti e dalla settimana prossima si inizierà a votare e, dopo lasua schiacciante vittoria, certo si mostrerà molto disponibile alla trattativa con le opposizioni, Forza Italia in testa, per chiudere in fretta e su un testo solido.
Il questo modo intende rispettare la dead line che Palazzo Chigi ha fissato il 10 giugno, per iniziare il semestre di presidenza europea con un risultato tangibile anche in campo pratico, reso ancor più preniante dall’Italicum che vorebbe incassare prima delle vacanze estive.
Ciò che per ora e certo è che quella che si è aparta martedì a Bruxelles sulle poltrone è una lunga trattativa, fatta di mediazioni in cui il Renzi, guarda per giocare i suoi assi. Di certo si guarda a portafogli di peso, dall’Antitrust e in particolare al commercio estero destinato a giocare un ruolo clou nel confronto con gli emergenti e gli Usa. E questo, renzi lo sa, è forse anche meglio di una presidenza.
Carlo Di Stanislao
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