La perdita del posto di lavoro è una dramma. Ma se ne può uscire. In tre mosse. La prima è di far girare la voce: chiedere aiuto a amici, parenti, ex colleghi di lavoro. La seconda è di scandagliare banche dati, siti di annunci. Terza: andare nei centri per l’impiego o presso gli altri eventuali sportelli creati dagli enti locali. Per la verità è quello che fanno migliaia di disoccupati ogni giorno. Ora però c’è una ricerca che dimostra che è la cosa giusta da fare. L’hanno condotta docenti dell’Università Statale e della Bicocca di Milano, che hanno intervistato 994 persone che hanno avuto negli ultimi anni un periodo di disoccupazione. “Quel che emerge è che ci vuole un grande dinamismo personale per ritrovare il lavoro – spiega Maurizio Ambrosini, docente all’Università Statale- . Chi più si da fare riesce a risolvere più velocemente il problema. Prendiamo gli stranieri: sono una delle categorie più svantaggiate, almeno in partenza: eppure sono in grado di risolvere il problema molto in fretta. Come? Con una ricerca forsennata, attivando tutti i canali possibili, senza tregua”.
Dalla ricerca emerge, a sorpresa, anche un quadro positivo dei centri per l’impiego. I ricercatori hanno passato lunghi periodi di osservazione in questi centri per capire come funzionano. “Non sono così inutili come si crede -sottolinea Ambrosini-, perché sono luoghi di scambio di informazioni tra le persone. Inoltre gli operatori danno informazioni importanti non solo per la ricerca di un impiego, ma anche per le misure di sostegno all’affitto oppure sulle possibilità di sconti nei trasporti pubblici ecc. La gente va in questi centri perché non sa dove altro andare per avere informazioni”.
“Perdere e ritrovare il lavoro. L’esperienza della disoccupazione al tempo della crisi”, così s’intitola la ricerca, è pubblicata da Il Mulino. Verrà presentata martedì 10 giugno, dalle ore 15, alla Facoltà di Scienze politiche (in via Conservatorio). (dp.RS)
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