Il lavoro non fa piu’ identita’, è crisi per la rappresentanza. “Lavoro ibrido” per il 51% degli occupati di 15-24 anni. E sono quasi 9 milioni gli italiani in transizione da una condizione professionale a un’altra. Tutti senza rappresentanza. La segnalazione arriva dal Censis, che ha presentato oggi il rapporto “Il vuoto della rappresentanza degli interessi”, in occasione del primo dei quattro incontri di giugno dell’iniziativa “Un mese di sociale”, dedicato quest’anno a “I vuoti che crescono”.
Oggi in Italia ci sono complessivamente 8.963.000 persone che si trovano in una fase di transizione da una condizione professionale a un’altra. Si tratta di 1.448.000 italiani che tentano di entrare nel mercato del lavoro, cercando attivamente un lavoro per la prima volta nella vita (815.000) o dopo un lungo periodo di inattivita’ (633.000). Sono 6.379.000 le persone che vivono una situazione di transizione interna al mercato del lavoro: sono 1.664.000 ex occupati che hanno perso un lavoro e ne stanno cercando un altro, 3.383.000 lavoratori impiegati in modo instabile o precario, 1 milione di occupati che stanno cercando di cambiare lavoro, 443.000 assenti dal lavoro per motivi personali o di salute, 368.000 lavoratori che si trovano in una fase di passaggio particolarmente rischiosa, perche’ cassintegrati o sottoccupati a causa della crisi. Infine, ci sono 1.381.000 lavoratori over 60 anni colpiti dalle recenti riforme che hanno fatto slittare in avanti i tempi di maturazione dei requisiti previdenziali, allungando la fase di uscita dal lavoro. Considerando l’insieme delle posizioni mobili, sono 66,6 ogni 100 posizioni lavorative fisse: un dato eclatante, se si considera che nel 2008 queste ammontavano a 47,6 e che nell’ultimo quinquennio l’universo complessivo dei lavoratori in transizione ha registrato un incremento del 18,8%.
All’origine della crisi di identita’ e appartenenze dei nostri giorni c’e’ lo sgretolamento di quelli che in passato erano stati i fattori aggreganti: lavoro e ideologie, che oggi appaiono sempre meno capaci di fare tessuto. Una indagine del Censis dimostra che solo il 15,2% degli italiani condivide ancora una qualche forma di appartenenza di classe, dichiarando che le persone a cui si sentono piu’ vicini sono quelle che svolgono lo stesso lavoro (7,9%) o che hanno lo stesso reddito (7,3%). Ancora piu’ debole e’ la forza delle ideologie: solo il 5,2% degli italiani si sente vicino a persone che hanno le stesse idee politiche (2,8%) o la stessa fede religiosa (2,4%). I fattori che invece innescano meccanismi di appartenenza oggi riguardano la dimensione individuale delle persone: al primo posto (26,6%) c’e’ la condivisione dello stesso stile di vita. Interessi culturali, vacanze, sport riescono a sviluppare maggiore senso di appartenenza.
In una terra di mezzo tra il lavoro dipendente tradizionale e quello autonomo di tipo imprenditoriale e professionale, si e’ sviluppata un’area del ‘lavoro ibrido’ che ha impattato negativamente sul sistema tradizionale della rappresentanza, articolato in associazioni datoriali, da una parte, e sindacali, dall’altra. Quest’area conta 3,4 milioni di occupati (il 15,1% del totale) tra lavoratori temporanei, intermittenti, collaboratori, partite Iva, prestatori d’opera occasionale. Soprattutto per i giovani e’ sempre piu’ ardua l’autocollocazione rispetto alle categorie del passato. Tra gli occupati di 15-24 anni la quota di «ibridi» e’ maggioritaria, pari al 50,7%. Tra loro e’ forte la paura di perdere l’impiego: circa 1 milione di giovani con meno di 35 anni (il 18,8%) teme di perdere il posto di lavoro nei prossimi mesi e solo l’11,1% ritiene che poi sara’ relativamente facile ritrovarne uno simile.
I percorsi di lavoro sono diventati sempre piu’ frammentati. Si moltiplicano i tempi di non lavoro nell’ambito della vita delle persone: il 14% degli occupati si e’ trovato negli ultimi tre anni a interrompere il proprio percorso professionale, incorrendo in uscite temporanee o ripetute dall’attivita’ lavorativa. Tale rischio e’ maggiore nelle fasce generazionali piu’ giovani, tra i 16 e i 34 anni, dove il 20,5% degli occupati si e’ trovato a vivere periodi di non lavoro, e anche nel Mezzogiorno, dove la percentuale arriva al 21,5%. Assistiamo anche a un progressivo sfilacciamento dei legami di appartenenza aziendale: sono 2.229.000 gli occupati dipendenti (il 18,9% del totale) che hanno con le aziende presso cui lavorano un rapporto a termine, e tra i giovani con meno di 35 anni la percentuale arriva al 27,7%. Anche la riduzione dell’impegno lavorativo, e conseguentemente dell’investimento professionale, accomuna sempre piu’ occupati: tra il 2008 e il 2013 il numero dei lavoratori part time e’ aumentato del 19,9%, arrivando a quota 4.013.000 (il 17,9% del totale). Pesa il deterioramento delle relazioni nei luoghi di lavoro: gli italiani sono il popolo europeo tra cui si registra il piu’ basso livello di collaborazione tra colleghi (il 51% contro una media europea del 73%). E aumenta la disaffezione verso un lavoro divenuto troppo spesso fonte di problemi: il 30% dei lavoratori italiani (contro il 27% della media europea) dichiara di avere accusato nel corso dell’anno stress, depressione e ansia legati alla propria condizione lavorativa.
Negli ultimi anni la voglia degli italiani di impegnarsi nella tutela di interessi collettivi e’ diminuita. Si riduce la quota di cittadini che svolgono attivita’ gratuite per sindacati o strutture di rappresentanza: dall’1,3% del 2003 all’1,1% del 2013 (571mila persone). Le associazioni impegnate nelle grandi battaglie per l’ambiente, la pace, i diritti civili perdono attivisti: dal 2,3% all’1,5% degli italiani (778 mila persone). Malgrado la sfiducia generalizzata verso le classi dirigenti del Paese, rappresentanze sociali comprese, la maggioranza degli italiani (59,7%) continua pero’ a considerare gli organismi intermedi come un elemento centrale nel funzionamento democratico del sistema: il 42,5% li ritiene importanti in quanto rappresentanti di interessi e valori comuni a gruppi di cittadini e il 17,2% ritiene un valore la loro presenza come collante aggregativo in una societa’ sempre piu’ individualista. Il 40,3% degli italiani invece ha un giudizio negativo: il 12,7% considera il loro ruolo del tutto inutile perche’ gli interessi devono esprimersi attraverso la politica e le istituzioni, il 16,9% pensa che siano superati perche’ superate sono le logiche aggregative degli interessi secondo le appartenenze professionali, e il 10,7% punta il dito sull’approccio corporativo dei soggetti di rappresentanza e sulla loro tendenza a chiudersi nella difesa di interessi settoriali.
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