Alcuni fatti particolari ed incresciosi hanno popolato la domenica, fatti emblematici della situazione del Paese, ancora incerto fra decadenza o cambiamento.
Un intercalare napoletano, decisamente duro ed insopportabile, costa il posto al prefetto di Perugia, che “vuole dare una scossa” ed invece riceve censura e rimozione da Alfano, indignato, come tutti, perché un prefetto non può dire che se una madre non si accorge che il figlio si droga è “una fallita e si deve suicidare”.
Certo ci sino, purtroppo, genitori che pur di non costatare il loro fallimento chiudono gli occhi e le orecchie e fanno finta che tutto va bene e il proprio figlio è solo la vittima di un professore che lo prende di mira o un datore di lavoro troppo esigente ed altrettanto certamente, se vogliamo salvaguardare i ragazzi, anche le famiglie debbono fare il loro dovere.
Ma le parole hanno un peso e vanno scelte sempre con cura, soprattutto quando si è un rappresentante dello stato, nei suoi livelli più alti.
Non si può dire, insomma, come invece ha fatto Ricucci, ex prefetto ormai di Perugia che: “non possiamo fare da badanti e tutori al posto delle famiglie, se uno mette al mondo dei figli poi deve stare attento a quello che fanno. Se io avessi un figlio e lo vedessi per strada con la bottiglia in mano lo prenderei a schiaffi. Uno che beve per strada imbambolato io non lo accetto proprio”.
Le tematiche afferenti al consumo ed alla cessione di sostanze stupefacenti sono complesse e riguardano sia l’aspetto della repressione (proprio delle forze dell’ordine e della magistratura) che quello della prevenzione attraverso politiche sociali rivolte alle famiglie, che non devono sentirsi isolate ma piuttosto supportate e coinvolte.
Questo avrebbe dovuto dire Antonio Reppucci e non usare parole che si prestano ad una idea repressiva e disattenta e che non possono essere correte con la smentita successiva, su Repubblica ed il Corriere, in cui l’ex prefetto dice: “La mia era una provocazione, bisogna andare oltre il senso delle parole, capire se vuole difendere e costruire o distruggere, io voglio costruire e il mio era solo un modo di dire di fare squadra tutti insieme”.
Non meno increscioso quanto accaduto ieri a Pompei, con 500 visitatori, arrivati da tutto il mondo, che hanno trovato i cancelli chiusi ed un cartello che avvertiva che il sito contenente i ruderi ‘congelati’ dall’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo, era chiuso per una protesta sindacale a oltranza promossa da Cisl, Unsa, Filp e Usb.
Ed ad arrabbiarsi è stavolta il ministro dei Beni Culturali Franceschini, che parla di un danno incalcolabile all’immagine del Paese, con il presidente dell’osservatorio patrimonio culturale Antonio Irlando, che ricorda che le ragioni delle proteste dei dipendenti della Soprintendenza sono le stesse da sempre e di semplice soluzione, non riferibili al solo soprintendente di turno, perché: “”Da alcuni decenni si evidenzia la sproporzione inammissibile tra le ordinarie rivendicazioni dei lavoratori e i danni incalcolabili, in termini economici e di reputazione dell’Italia, che derivano dalla chiusura degli scavi di Pompei, Ercolano, Oplonti e Stabia. Infatti, pagare con regolarità gli arretrati di prestazioni svolte dai custodi, adeguare i loro luoghi di lavori alle norme di salute e sicurezza dei lavoratori, organizzare con maggiore efficienza le prestazioni quotidiane di lavoro, potenziare gli organici di chi deve vigilare sugli scavi di Pompei ricorrendo anche alla mobilità del personale, non sembrano proprio questioni che, per la loro risoluzione, debbano sottoporre migliaia di turisti a restare bloccati sotto il sole o, addirittura, a rinunciare alla visita di Pompei dopo essere giunti in Italia dall’altra parte del mondo”.
Non meno increscioso e sorprendente è vedere che la “rispuntata” immunità per i senatori nella riforma di Palazzo Madama, spuntata fra un emendamento e l’altro e firmata da Anna Finocchiaro del Pd e Roberto Calderoli della Lega, ora sembra piovuta dal nulla ed è misconosciuta da tutti, dal governo e dalle opposizioni, con il partito di Grillo che si infuria e l’opposizione Pd che parla dei soliti privilegi insopportabili.
I tecnici di Palazzo Madama, intanto, dicono che togliere l’immunità ai senatori potrebbe andare contro il “principio di ragionevolezza”, mentre , a 72 ore dal termine stabilito per la presentazione dei sub-emendamenti , la polemica non si placa, con i fuoco di fila che proviene principalmente da fronti di Cinque Stelle e Sel, ma anche dalla minoranza del Pd.
Altro scoglio i senatori a vita. Il ddl del governo, scrivono i tecnici, “conferma che il Presidente della Repubblica, dopo la cessazione del mandato, diviene Senatore di diritto e a vita” e in questo caso per lui si determinerebbe “una riduzione delle prerogative sulla libertà personale e sulle comunicazioni”. L’esclusione dell’immunità, nel ddl Boschi-Renzi, riguarda tutti “i senatori, siano essi ordinari o, come nel caso dell’ex Presidente della Repubblica, di diritto e a vita”. E “tale ‘reductio’ potrebbe ritenersi propria anche dei senatori a vita attualmente in carica, a meno che il permanere nella stessa carica non si intenda in modo comprensivo del medesimo status“. Tradotto: l’abrogazione dell’immunità nel Senato.
Comunque Civati e critico, la Finocchiaro cade dalle nuvole e si dice esterrefatta; ma intanto, esclusa nel testo della riforma voluta da Matteo Renzi, l’immunità per i senatori torna in gioco, anche se tutti i politici se ne dicono estranei e si dichiarano innocenti.
Mentre cala, in una sola settimana, di 4 punti la fiducia degli italiani verso il governo, sale il gradimento per Renzi, che supera il 70% e, secondo Ilvo Diamanti, è secondo solo al Papa, ben al di sopra di Berlusconi anche negli anni di maggior gloria e fortuna.
Ma la vera domanda resta sull’idea che gli altri, gli stranieri, hanno di noi e del nostro Paese, fra musei e siti chiusi, territorio abbandonato, lavoro in crisi, università e cultura allo sfacelo e politici sempre più tenacemente a garantirsi nei privilegi, aiutati da una burocrazia tanto autocertificata quando incapace e farraginosa.
Per dirla ancora con Ilvo Diamanti, il post-berlusconismo di sinistra di Renzi piace, pur non nella differenza delle opinioni politiche, ma il fatto è che ora ci si aspettano i fatti oltre le parole.
Ci si aspetta il recupero dei 620 miliardi che Equitalia deve riscuote sino alla fine del 2013, che equivarrebbero ad un forte abbattimento del debito pubblico o a un pagamento dell’Irper per tutti i cattidini e per un decennio o al varo di oltre 100 grandi imprese su tutto il territorio con centinaia di migliaia di posti di lavoro attivati o stabilizzati.
E’ il momento, quindi, che Renzi ed i suoi ministri, si mostrino capaci davvero di governare di decidere e di fare attuare le proprie decisioni, altrimenti finirà nel modo peggiore questa luna di miele con il Paese che ora attende fatti su temi quali il lavoro, la crescita o lo sviluppo, le tasse, l’aggiornamento anche radicale della Costituzione e quello delle infrastrutture (che, secondo la Bocconi, ci fa perdere altri 60 miliardi ogni anno). Su tutto questo, dopo le belle frasi e le splendide idee, ora ci vuole chiarezza e, soprattutto, risoluzione. Quanto a noi italiani occorre migliorare ed in fretta, migliorare singolarmente nei nostri difetti e nella nostra inaffidabilità, per superare l’idea che gli altri si sono fatti in anni tenaci di errori, furbate e cattivi comportamenti, che ci assimila alla “Allegoria dei Cinque Mostri” di De Warminiaen, realizzata nel 1618 e che da allora ci ricorda che la irrealtà delle percezione genera mostri, rendendo vuote le nostre intenzioni e la scatola dei nostri desideri.
Carlo Di Stanislao
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