“Se l’uomo vuole colpire deve colpire la maschera!”
Hermann Melville
Bisognerebbe avere l’amara ironia di Ben Hetch per un commento non banale sui nostri mondiali di calcio ed il vigore di Honorè De Balzac o di Vittorio Andreoli, per descrivere la tragedia di una città uccisa più volte, tradita dalla natura e dagli uomini, scaraventata in un dramma variopinto, con il dolore, l’affanno, il trionfo della perfidia, il fatale precipizio dei giusti e degli innocenti.
L’indagine si chiama “Dirty job”, condotta dalla Procura distrettuale antimafia de L’Aquila ed in quella i militari del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza stanno eseguendo sette ordinanze di custodia cautelare (quattro in carcere e tre agli arresti domiciliari), emesse dal giudice delle indagini preliminari Marco Billi, nei confronti di altrettanti imprenditori, operanti nella ricostruzione post-terremoto, per i reati, a vario titolo, di estorsione aggravata dal metodo mafioso e di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
C’e aria di “Casalesi” nella ricostruzio post-sisma, che di fatto è ferma, con i pochi cantieri aperti che sono quelli destinati al risanamento dei condomini privati, che pure prestano il fianco allo svilupparsi della microcriminalità, essendosi verificati casi di ingiustificata estensione dei lavori pagati con soldi pubblici a danni non causati direttamente dal sisma, oppure di gonfiamento abnorme dei prezzi.
Per quanto riguarda la ricostruzione vera e propria, la città, con i suoi palazzi antichi e gli edifici pubblici, versa nella stasi più completa e melmosa.
L’evolversi dei rapporti tra la Prefettura de L’Aquila e gli organi giudiziari, ossia la Procura distrettuale del capoluogo abruzzese e la Direzione nazionale antimafia, basato su un protocollo redatto subito dopo il terremoto, grazie al quale questi uffici giudiziari ricevevano periodicamente delle richieste di informazioni da parte della Prefettura dell’Aquila, che pure dispone di organi investigativi per una prima scrematura delle imprese concorrenti per eliminare quelle che risultavano a vario titolo contigue ad associazioni criminali di stampo mafioso; mostra chiaramente l’opacità inquetante della situazione.
Solo pochi mesi fa, nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, la sostituta procuratrice nazionale Olga Capasso, scriveva che la situazione degli appalti per la ricostruzione in Abruzzo da una parte è rimasta immutata, dall’altra ha visto un allontanamento degli interessi criminali da quel settore.
Una città che resta agonizzante e l’affare ricostruzione che si rivela sempre più sporco, infiltrato da quelle presenze mafiose che si dovevano tenere lontane, metastatizzato da loschi figuri che sembrano usciti da “La commedia umana”, concepiti nelle viscere di questo secolo corrotto e che produce più male che bene e senza che, troppo spesso spesso, le azioni riprovevoli, le colpe, i crimini, dai più lievi ai più gravi, trovino una giusta punizione.
In questa società senza ideali, non verrà il Leviatano di Melville né la storia veritiera e sublime di Walter Sott, ma solo una tragica e grottesca progressione del distruttivo interesse, come in “Patologia della vita sociale” di Balzac, con intrighi, omicidi, insabbiamenti, corruzione diventatati un clichè da cui sembra ormai impossibile uscire.
Come in Poe e in Colderidge, come in Melville, non resta che la miseria ed il dramma la contraddizione suprema di un vuoto che si è riempito di orrore, una sorta di misterioso cimitero come nell’episodio degli specchi, dove Borges avvertiva tutto lo sgomento del” Gordon Pym” di Poe.
Questa è diventata una città “bianca” , ignota e terrificante, spalancata sul nulla del Maelström che è voragine tenebrosa e senza fine.
Una città di mostri, di “Sarrasine” che divorano gli altri e loro stessi, con modelli antropologici che si riflettano nei ruderi scomposti e nelle periferie, caotiche e prive di bellezza.
Carlo Di Stanislao
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